IL VIAGGIO, SOSTA NELLA CAMPAGNA TERNANA – 16esima puntata

Roma, Ottobre 43. Due uomini decidono di intraprendere un viaggio per tornare al loro paese in Umbria. E’ tempo di guerra, gli alleati risalgono da sud, i tedeschi invadono da nord. Nasce la Repubblica di Salò, il viaggio presenta insidie.

SEDICESIMA PUNTATA

Procedevano con passo meno sostenuto, cominciavano a sentire il morso della fame. La sbobba ingurgitata alla stazione di Narni se n’era andata nei meandri del metabolismo, urgeva altro carburante per sostenere il cammino. Sarebbe stato opportuno non arrivare stanchi ed affamati a casa della Caterina, anche per un fatto di dignità. Dopo una curva della strada bianca che stavano percorrendo, videro a breve distanza due case coloniche contigue, come accade di vedere talvolta, invece dei più frequenti casolari isolati. Si verifica quando il podere è grande e numerosa la famiglia contadina.

Le case si susseguivano una all’altra e delimitavano uno spazio su cui si affacciava una chiesetta. Era un segno della divinità che dalla trascendenza celeste si calava nella vita degli uomini per dare un senso alla loro fatica, alle sciagure, alle gioie, ai momenti di felicità, alla vita e alla morte. Era il Dio cristiano che si sostituiva agli dei pagani che avevano un tempo albergato in quei luoghi. Per il pensiero laico tutto ciò era conferma del bisogno dell’uomo non evoluto di inventare una trascendenza in mancanza degli strumenti razionali della conoscenza, che il cervello colto ed educato della modernità avrebbe conquistato. Quelli si sarebbero incaricati di fare giustizia delle superstizioni e di tutto il ciarpame ideologico che ne era a fondamento.

Ma intanto lì in quel tratto di campagna ternana l’evoluzione darwiniana non si era ancora compiuta e la gente viveva e moriva con i ritmi di sempre. Arrivarono nella piazzetta, e si avvidero dal silenzio che aleggiava nell’aria che gli uomini non c’erano, probabilmente intenti ai lavori, nei campi intorno. Si avvicinarono alla porta dell’uscio della prima casa. C’era una tenda che chiudeva il passaggio. Di quelle che le donne usano mettere l’estate per proteggere il vano dai raggi del sole e mitigare così il calore dell’aria, oltre a limitare l’ingresso di mosche e zanzare. La scostarono la tenda di lato e guadagnato il passaggio, Silvio disse “permesso, si può entrare?

Una voce di donna rispose: “favorite”. Entrarono, c’erano solo donne: un’anziana, una di mezza età e una giovane, tre generazioni raccolte in quella stanza. Silvio proseguì “siamo in viaggio diretti a Terni, stamattina siamo partiti dalla stazione di Narni scalo e ora abbiamo preso per la campagna per raggiungere la Flaminia all’altezza di Ponte san Lorenzo. Abbiamo visto le vostre case, così abbiamo pensato che, siccome sono finite le provviste, se, pagando, potevamo avere del pane e del companatico, magari anche del vino”.

Le donne risposero che gli uomini erano nei campi, avrebbero dovuto chiedere a loro, ma visto che si presentavano con una faccia di persone per bene, entrassero pure che qualcosa gli avrebbero dato. Silvio e gli altri posero per terra gli zaini e si accomodarono sulle sedie di paglia che circondavano il tavolino in mezzo alla stanza. La donna anziana aprì la “mattera” posta in un angolo della stanza, ne tirò fuori del pane, una forma di formaggio e una lonza. Mise tutto sul tavolo dove troneggiava un bottiglione di vino rosato e un bicchiere. I tre viandanti affettarono con cura e parsimonia il pane, e il companatico, lo misero su un piatto che la donna di mezza età aveva portato loro, e riposto il coltello a serramanico che avevano usato, presero a mangiare. Tra un boccone e l’altro bevevano a turno sull’unico bicchiere, versando dal bottiglione al centro del tavolo. Era un vino asprigno, di quelli che si fanno in campagna senza chimica, con l’inevitabile sapore di tannino.

Zeno e Silvio scambiarono parole con le donne, chiesero dei loro uomini, che quelle avevano detto intenti ai lavori della campagna. In casa c’era solo il nonno che ora era nella stalla ad accudire le vacche e il vitello nato la settimana precedente. Per lo più se quel giorno non ci fosse stata l’incombenza del vitellino, avrebbe passato il tempo fuori, su una sedia con la schiena appoggiato al muro di casa, sole permettendo, e se il sole non c’era, coperto da un mantello.

Davide si era alzato e uscì sull’aia a fumare una sigaretta. Appoggiato sul muro della casa, con il sole mattutino che aveva fatto capolino tra le nuvole, godeva del calore che penetrava oltre gli abiti a riscaldare il corpo. Ad occhi chiusi aspirava il fumo della sigaretta, e si abbandonava al tepore dell’aria. La mente libera di pensieri, tutt’uno con il corpo. I sensi esaltati dal calore del sole. Sentì come un fruscio, poi una mano si strinse alla sua con dolcezza. Non si mosse, nessun pensiero turbò un languore che sapeva di piacere e di attesa di uno maggiore. Rimase con gli occhi chiusi. Labbra carnose sfiorarono le sue e premendo si schiusero un po’.

Poi la sua mano fu trascinata in alto sotto una camicetta, lasciata libera ad accarezzare un seno grande e morbido, e il bocciolo al centro diventato turgido. Il corpo della donna aderiva a lui. Davide tentò di liberarsi per abbracciare quel corpo e stringerlo ancora più a sé. Ma in quel fare questo si divincolò in un lampo. Quando aprì gli occhi era già sparita, non c’era più nessuno intorno. Davide rientrò in casa ancora sconvolto, se ne avvidero gli altri. Lui si giustificò attribuendo al sole quel rossore delle guance. C’era la donna anziana e quella che aveva dato loro da mangiare, non la ragazza. Finito di consumare il pasto e bevuto con parsimonia il vino, data l’ora del giorno, chiesero di pagare il dovuto. Le donne si schernirono, non sapevano cosa avrebbero dovuto chiedere, non sarebbe stata comunque una loro funzione, ancorché praticabile.

Il loro non era un servizio commerciale, e non era mai accaduto prima di far pagare qualcuno che si era seduto alla loro tavola. Non si era mai trattato di viandanti, la strada che passava davanti a casa non era di comunicazione, era una strada tra i campi, dunque lì non passavano viandanti e infatti non avevano capito bene perché quelli si erano trovati a passare di lì. Così dissero, ma al di là delle parole, probabilmente c’era in loro un retaggio dell’antico costume dell’ospitalità che, mutati i tempi, rimaneva nel profondo della loro mente come determinante genetico. Comunque fosse non chiesero nulla, ma Silvio lasciò sul tavolo alcune lire. Erano quelle che con un rapido conto avrebbero dovuto pagare in una locanda. Salutarono, ringraziarono, fecero auguri per tutto e se ne andarono.

Davide era rimasto silenzioso, ancora in subbuglio, guardava con gli occhi intorno per vedere la ragazza. Era certamente lei la misteriosa donna che lo aveva baciato. L’emozione era stata talmente intensa che andarsene era un dolore, come di una storia d’amore appena cominciata e subito finita, senza nemmeno vedere chi fosse l’artefice di quello sconquasso. Gli batteva ancora il cuore ed era passato ormai del tempo. Non si risolveva ad andarsene, chiese agli altri se potevano riposarsi ancora un po’, c’era molta strada da fare prima di arrivare a Terni. Ma quelli non ascoltarono, si erano ormai congedati dalle donne e non capivano il suo atteggiamento.

Lui che era il più giovane, chiedeva di riposarsi ancora! Così, oltrepassata la porta e scostata la tenda, uscirono sull’aia e presero per incamminarsi lungo la strada in direzione Ponte San Lorenzo. Davide continuò a guardare intorno. D’un tratto, dietro una finestra del piano superiore, dov’era la stanza del riposo notturno, vide il viso della ragazza. Non appena i loro sguardi si incrociarono, lei si ritrasse. Nella mente di Davide come su una lastra d’argento dei fotografi, si impresse un viso ovale dalla carnagione olivastra, due occhi neri, capelli lunghi, neri come gli occhi, che incorniciavano il volto. Sparì quell’immagine nella penombra della stanza.

Ma Davide la rivide tra gli alberi, nei campi, sospesa sulle nuvole del cielo. Gli sembrò che nel mondo in quel giorno non ci potesse essere, oltre quel viso, nulla di altrettanto bello. Un sogno materializzato da sempre rincorso, che si era donato a lui. Quel rapporto fugace, vissuto un istante, prima che si corrompesse nei meandri del sesso e della noia, era un annuncio di eternità. Metafora dell’inarrestabile fluire delle cose verso il loro dissolversi. Ma per un arcano mistero quel fluire della materia verso l’annientamento, si materializza in istanti che fermano il tempo e rimandano al sapore, al colore, alla bellezza dell’eterno prima del divenire o alla fine di esso. E dunque era giusto che in lui rimanesse l’indeterminazione dell’accaduto, che la felicità non diventasse materica, ma sospesa, che la materia coagulata in quell’attimo si dissolvesse per riprendere la corsa dei flutti verso il mare. Davide riprese la testa della comitiva a fare l’andatura, in silenzio.


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