CARL ORFF

Che Orff non poteva essere italiano è evidente fin dalle prime fantascientifiche righe della sua biografia.

In casa Orff la Hausmusik, (l’esecuzione di musica da camera in varie formazioni fino al quintetto con pianoforte) faceva parte delle tradizioni della famiglia e fu il terreno ideale per lo sviluppo della musicalità del piccolo Carl.”

Figurarsi da noi! Per continuare l’impietoso paragone con il tipico bambino italiano, Orff va al primo concerto a otto anni, lo portano all‘Olandese Volante di Wagner a nove, e così via per tutto Mahler e Richard Strauss. In più ha un nonno musicofilo, un padre contrabbassista e una madre ottima pianista che lo segue anche dopo che, arruolatosi ragazzo nella Prima Guerra Mondiale, nel ’17 torna a casa mezzo suonato per via di una granata che gli è scoppiata accanto in trincea.

E’ da questo periodo in poi che Carl si dedica alla didattica, nella quale riesce benissimo, e a quella che all’epoca sembra una forma di bizzarra archeologia musicale: lo studio degli antichi maestri del rinascimento (Orlando di Lasso, Byrd, Monteverdi), studio che, integrato con quello di Catullo e altri poeti latini, lo porterà dove tutti sappiamo.

Gli capita, nel momento fondamentale della vita (nel mezzo del cammin…), di sbattere contro la nascita e il trionfo del nazismo. Riesce a scansare molte complicazione, anche se ha collaboratori e amici ebrei, integrandosi fin dall’inizio, con i suoi metodi educativi, nella politica musicale della Hitlerjugend.

Però è sempre accompagnato da una scomoda ombra di “bolscevico culturale” che lo oscura pericolosamente fino al 1937, alla prima a Francoforte della sua opera più famosa, i “Carmina Burana”, una trilogia di trionfi musicali su testi medievali in latino trovati nel monastero benedettino di Bura.

Un’opera modernissima costruita su un coro immenso e un’orchestra davvero spropositata (sei pianoforti, nove contrabbassi in blocco, più la consueta ma rinforzata formazione di archi e fiati e una batteria di percussioni mai viste prima).

La stronca con insistita malvagità l’influente critico nazista Hans Gerigk che lo accusa, in un ridicolo stile burocratico-dittatoriale, di “Linguaggio jazz e malinteso ritorno a elementi primitivi di strumentalità e di enfasi sulle formule ritmiche”.

Però i Carmina sono troppo forti e alla fine, malgrado gli sgambetti del critico trombone e le trappole dei funzionari ultraortodossi, trionfano e diventano quasi un sottinteso inno identitario del regime, e comunque un solidissimo podio per la sua fama.

Così autorevolmente testimoniano per lui i suoi Carmina, che il sindaco di Francoforte gli commissiona una nuova musica per il “Sogno di una notte di mezza estate” da sostituire a quella (bellissima, ma scritta da un ebreo, e quindi da buttare) composta da Mendelssohn.

Come rifiutare, quando si rischia la pelle a ogni passo? Orff ci sta, compone, ma in seguito ripudia questo nuovo commento all’opera di Shakespeare. Benché sostenitore dell’autonomia della creazione artistica rispetto al momento politico, probabili rovelli di coscienza fanno sì che dalle mani di Orff esca non solo un’opera fiacca e insignificante, ma anche che sia consegnata in ritardo (inconscio desiderio di autopunizione?) tanto da vedersi ridotto il compenso da 5.000 a 3.000 marchi (e lui in quel momento è in grande difficoltà).

Orff non si iscrive al partito nazista né ricoprirà mai una carica importante, però per lavorare, anche se a livello di bassa visibilità, deve comunque associarsi alla Reichmusikkammer, l’unione dei musicisti tedeschi del Reich.

Orff non è un eroe. Quando arrestano (e poi giustizieranno) il suo carissimo amico Kurt Huber, la moglie di questi cerca aiuto da lui che forse avrebbe potuto usare i suoi contatti per liberarlo. Orff si fa prendere dal panico, taglia la corda e la povera signora, diventata nel frattempo vedova, non lo vedrà mai più.

E la musica del “Sogno”? Orff ha sempre dichiarato di averla composta per una sua personale esigenza, ma ha anche riconosciuto di aver scelto un momento storico sbagliato per pubblicarla.

Gli psichiatri che hanno analizzato la sua posizione hanno comunque riscontrato che di base aveva un atteggiamento antinazista e che aveva sempre cercato di evitare qualunque coinvolgimento con il partito e poi con la guerra.

Con la sconfitta del Reich, Orff, insieme a tanti altri artisti che per sopravvivere avevano accettato come lui compromessi con il regime, è “denazificato”, il che significa che una commissione americana lo ha esaminato e gli ha dato una valutazione, nel suo caso con la formula: “Grigio C – Accettabile”, ritenendolo sì compromesso con il partito, ma non con la sua dottrina. In pratica è marchiato come recuperabile dalla melma nella quale (non per sua scelta) si era trovato a sguazzare.

Quindi può andare avanti a comporre e anche a dirigere liberamente, cosa che farà, sostenuto dall’immutato successo del suo capolavoro, fino al 29 marzo 1982.

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