Il 28 giugno 1940, 18 giorni dopo l’inizio per l’Italia della II° guerra mondiale, un aereo SM 79 venne colpito dalla contraerea in prossimità di Tobruch, bombardata fino a quel momento da aerei inglesi. L’aereo precipitò, si incendiò, in poco tempo divenne un grande rogo: il pilota era il Maresciallo dell’aria Italo Balbo, governatore della Libia, una delle personalità più eminenti del fascismo. Secondo un parere a quel tempo largamente diffuso, Balbo era l’unica alternativa a Mussolini, causa questa non ultima delle numerose voci subito diffusesi a proposito delle vere cause della sua morte.
Un posto di tutto rispetto nella gerarchia fascista Balbo se lo era costruito passo a passo, con molti anni di fedele militanza nel fascismo.
Nato nel 1896 a Quartesana, allora un agglomerato di poche case contadine a poca distanza da Ferrara, a quindici anni è già tra i “mazziniani” di Ferrara, l’ala più intransigente del partito repubblicano nei confronti della monarchia e della chiesa cattolica. Si schiera a favore degli irredentisti, entra in rapporto con Michele Bianchi, un socialista che avrà un ruolo importante nell’ascesa del fascismo al potere. Nel 1914 Balbo ha solo 18 anni: viene tuttavia ritenuto dalla polizia “individuo pericoloso e capace di organizzare un colpo di stato”, tale è l’impegno messo nell’attività politica.
Allo scoppio della guerra è interventista, tenta di fuggire in Francia per arruolarsi volontario, ma non ci riesce: torna a Ferrara, prende posizione contro i neutralisti, repubblicani e socialisti compresi, e si arruola volontario nell’esercito. Dopo Caporetto viene trasferito nelle truppe alpine e comanda il reparto dell’organizzatore delle grandi vittorie della nazione più che del regime fascista, ma da cui esso non poteva non trarre lustro e legittimazione.
Il 13 agosto 1922 gli venne affidato il compito di riorganizzare la milizia fascista con due collaboratori da lui stesso prescelti, che furono Cesare Maria De Vecchi ed Emilio De Bono. Saranno i capi delle tre colonne provenienti dal nord (la quarta, dal sud, sarà comandata da Michele Bianchi, il vecchio socialista divenuto vice segretario del Partito Nazionale fascista) che il 28 ottobre marceranno su Roma, i Quadrumviri di quella rivoluzione fascista che l’incarico a Mussolini di formare il nuovo governo, dopo il rifiuto di Vittorio Emanuele lii di proclamare lo stato d’assedio e le dimissioni del Presidente del Consiglio Facta, trasformarono in una festa per l’avvenuta conquista del potere.
La posizione politica di Balbo divenne solidissima, minata solo dalle accuse di coinvolgimento – che la magistratura ritenne poi in più occasioni, fino ad anni recenti, infondate – nell’uccisione (23 agosto 1923). ad opera di una “squadraccia” fascista di Don Giovanni Minzoni, parroco di Argenta, un piccolo paese in provincia di Ferrara.
Il 27 novembre 1925, dopo il delitto Matteotti, Balbo si dimise dal comando della Milizia che deteneva di fatto, specie dopo le dimissioni di De Bono che ne era il capo ufficiale.
Il 5 aprile 1925 esce il primo numero del quotidiano di Balbo “Il Corriere Padano – giornale della rivoluzione fascista”. La direzione del nuovo giornale “integralista”, come lo definivano gli stessi fascisti, fu assunta da Balbo che la lasciò sette mesi più tardi, quando fu nominato sottosegretario del Ministero dell’economia nazionale.
Fu l’organo del fascismo dissidente, di chi chiedeva un ritorno alle origini del movimento fascista. Al tempo stesso, però, Balbo per primo si rendeva conto che nel nuovo assetto politico – istituzionale lo squadrismo, i ras locali e la predicazione rivoluzionaria avevano spazi sempre più scarsi.
Era necessaria una normalizzazione del partito fascista e in questa direzione si mosse Mussolini, alla metà degli anni venti, con l’inserimento alla guida dell’apparato statale di alcuni degli uomini più prestigiosi del partito: Grandi, Bottai, Arpinati, lo stesso Balbo. Era il risultato di un calcolo preciso. Nessuno di loro rappresentava una versione del fascismo alternativa a quella mussoliniana; tuttavia, ciascuno interpretava le funzioni assegnategli con uno stile del tutto personale che non poteva non provocare il risentimento ed il sospetto di Mussolini, a capo di un regime totalmente centrato sulla sua persona e sul suo pensiero e che non rendeva pertanto possibile una articolazione del potere politico.
Era dunque necessario legarli più strettamente al carro politico del capo, smussando i loro personalismi ed insieme la loro vera (o pretesa) intransigenza. Ciò valeva in particolare per Balbo, che del gruppo dei gerarchi di vertice era quello con maggiore ambizione ed insieme spavalderia, violenza e coraggio. Giocava a suo vantaggio anche il disinteresse per i facili guadagni che la sua posizione politica gli avrebbe potuto procurare: raggiunse una solida posizione economica solo alla fine, grazie agli emolumenti elevati percepiti per le cariche ricoperte che si aggiungevano al già solido patrimonio della moglie. Un punto debole avrebbe potuto essere costituito dalla sua appartenenza alla Massoneria, come molti altri esponenti fascisti. Dopo l’abbandono (1923) della loggia, il fatto veniva spesso ricordato dai suoi nemici. Mussolini, ancora nel 1939 pa lava però a Ciano di Balbo come del “porco democratico che fu oratore della loggia “Gerolamo Savonarola”, segno di una ostilità rancorosa maturata negli anni e mai sopita.
Il 3 novembre 1925 Balbo fu nominato sottosegretario al Ministero dell’economia. Tra le competenze del Ministero c’era anche quella sul regio corpo delle guardie forestali e di vigilanza nella pesca: in pochi mesi Balbo lo trasformò nella Milizia forestale, con un organico di ben 5.000 uomini al cui comando Balbo collocò alcuni suoi collaboratori.
Il Ministero dell’economia a quel punto non offriva più alcun interesse per un uomo ambizioso come lui.
Negli anni precedenti aveva mostrato un vivo interesse per il volo: l’assegnazione delle truppe alpine dopo Caporetto gli aveva impedito di diventare aviatore, ma il suo interesse per gli aerei non era diminuito, tanto che nel 1924 era stato scelto per esaminare il problema dei campi d’atterraggio d’emergenza in Italia. Mussolini aveva intuito il potenziale di propaganda per il fascismo che poteva essere costituito da un aviazione in grado di competere con quella dei grandi paesi europei come la Francia e l’Inghilterra. Balbo, uomo d’azione, poteva essergli utile per la realizzazione del progetto: il 6 novembre 1926 lo nominò sottosegretario all’aeronautica.
Fu per Balbo l’inizio di una sorta di “seconda vita”: dimenticato lo squadrismo delle origini, dimenticati i ristretti confini del potere locale, dimenticate le lotte con i gerarchi nemici, iniziò quel distacco dalla politica, o quanto meno da quel modo di fare politica irruento, aggressivo, senza un preciso disegno, che l’aveva caratterizzato nei primi anni. Il 7 giugno 1929 dirà ad Ugo Ojetti, che lo riporta nei “Taccuini”: “La politica non mi interessa più. Facciano quel che vogliono. lo mi occupo d’aeronautica”. Continuerà invece ad occuparsi di politica, ma ad un
La resa dei conti con De Pinedo fu ancora più facile. Ad una lettera di Balbo che gli chiedeva di render conto del denaro ricevuto in occasione della trasvolata dell’Atlantico dagli italo – americani per una nuova impresa, De Pinedo rispose in termini arroganti, impiegò la somma in beneficenza e scrisse a Mussolini una lettera con una durissima requisitoria contro Balbo, accusato di portare alla rovina l’aeronautica. Per tutta risposta Mussolini lo destinò quale addetto aeronautico in Argentina. Nel 1932, a soli 42 anni, fu esautorato dal servizio. Si accingeva ad un volo New York – Bagdad, organizzato con finanziamenti privati, che gli avrebbe assicurato il primato mondiale di distanza in linea retta, quando, il 2 novembre 1932, non riuscì a decollare con l’aereo stracarico di benzina e si schiantò contro una rete ai bordi dell’aeroporto di New York finendo in un rogo.
Ebbe la medaglia d’oro solo dopo un anno che Balbo aveva abbandonato l’aeronautica. Aveva chiesto prima di partire per l’ultimo volo l’unico favore delle previsioni del tempo e l’Aeronautica italiana gliel’aveva negato.
Ferrarin, costretto ad accettare una soluzione di ripiego – incarico alla Fiat, poi revocato quando divenne amministratore delegato di una compagnia aerea privata – morì un anno dopo Balbo in un incidente aereo. De Bernardi si mise in disparte dedicandosi completamente alla sperimentazione. In poco tempo Balbo restò l’unico attore sul palcoscenico. Tutti i possibili comprimari erano stati costretti ad uscire di scena: non c’era più nessun ostacolo a passare dalle gradi imprese aeronautiche individuali ad imprese analoghe che coinvolgessero però più aerei e piloti, sotto il comando naturalmente di Balbo. Il ragionamento era semplice: se l’aeronautica doveva diventare un fatto di massa, altrettanto, ed anzi cronologicamente prima, doveva avvenire per le grandi imprese di cui protagonisti fossero piloti ed aerei e non personaggi largamente popolari che finivano per polarizzare su se stessi l’attenzione.
Iniziò il periodo delle grandi crociere aeree, con Balbo sempre in primo piano. L’inizio fu la crociera del Mediterraneo occidentale, dal 26 maggio al 2 giugno 1928, di sessantuno idrovolanti (51 SIAI A 59 bis da bombardamento leggero e 1o S 55, un tipo di aereo già utilizzato da De Pinedo nelle sue trasvolate) e 1 Cant 22 per le personalità e gli ospiti, i giornalisti e gli addetti militari stranieri. Il numero di aerei componenti la formazione non aveva precedenti: ala contro ala, la fila dei velivoli si estendeva per quattro chilometri. Con gli auguri di Mussolini, che vedeva chiaramente il senso propagandistico dell’impresa, Balbo partì da Orbetello e, dopo aver fatto tappa ad Elmas, Pollensa (Isole Baleari), Los Alcazares, Perto Alfaques (Spagna) e Berre (Francia), tornò con tutti gli aerei ad Orbetello.
Nel 1928 si recò in visita negli Stati Uniti in occasione di una conferenza internazionale sull’aviazione civile a Washington: colse l’occasione per un viaggio dalla costa atlantica a quella del Pacifico incontrando molte comunità italo – americane, oltre a personaggi come Orville Wright, uno dei pionieri dell’aviazione, ed Henry Ford. Andava maturando un’idea che sviluppò nel viaggio di ritorno a bordo del “Conte grande”: la crociera aerea del decennale, il suo viaggio più famoso, che segnò insieme la sua fortuna e la sua rovina politica.
La crociera del mediterraneo orientale del giugno 1929 fu una tappa intermedia, con fini soprattutto di penetrazione dell’industria aeronautica italiana nella Europa Orientale e in Turchia.
La crociera, a cui presero parte trentadue S 55, due S 59 bis e un Cant 22, partì ancora una volta da Orbetello e dopo aver toccato Taranto, Atene, lstambul e Varna (Bulgaria), giunse ad Odessa, per poi iniziare il viaggio di ritorno ad Orbetello dopo aver fatto scalo a Costanza, lstambul, Atene e Taranto.
Con grande scandalo dei comunisti più ortodossi, ad Odessa Balbo fu fotografato accanto ad alcuni ufficiali dell’Armata Rossa mentre faceva il saluto militare alla bandiera rossa. Meno meravigliati furono gli amici: il Balbo di un tempo, repubblicano, radicale, mazziniano, era in realtà scomparso da tempo, per diventare un generale della tradizione piemontese, con il suo patriottismo, la sua cortesia formale, il comportamento da ufficiale tra altri ufficiali, in rotta di avvicinamento al re e alla famiglia reale.
Le due crociere diedero a Balbo una fama internazionale: nel 1929 gli fu attribuito il trofeo Harmon della lnternational League of Aviators, ma Balbo chiese che fosse assegnato invece (come avvenne) al gen. Aldo Pellegrini, che aveva avuto la responsabilità diretta delle imprese. Tuttavia il grande balzo sulla scena internazionale doveva ancora avvenire: l’esordio fu nel 1931, con la prima crociera atlantica.
Il progetto era in apparenza molto semplice: una intera squadriglia di aerei che sorvolasse l’Atlantico. La difficoltà era nel numero degli aerei, che moltiplicava le difficoltà dei voli solitari.
La preparazione fu lunga e minuziosa. L’aereo prescelto fu ancora una volta l’idrovolante S 55 con un motore Fiat di nuova costruzione. Nella strumentazione di bordo furono aggiunti i giroscopi alle bussole magnetiche e gli orizzonti artificiali agli indicatori di virata e di inclinazione trasversali. Balbo considerava gli idrovolanti “imbarcazioni volanti”, con il conseguente uso di tecniche navali per il volo: su un tavolino, collocato nel galleggiante di sinistra, il navigatore preparava le mappe, controllava gli strumenti e segnava la posizione e la rotta.
Gli equipaggi, 32 piloti e 32 tra motoristi e marconisti, al comando di Umberto Maddalena, che era tra i migliori piloti sulla distanza, si allenarono per un intero anno presso la base di Orbetello. Ad alcuni voli di addestramento prese parte anche Balbo, che per essere più vicino alla base e anche per un certo gusto scenografico, giunse ad accamparsi in una tenda – arredata sontuosamente – in un boschetto tra Viareggio e Forte dei Marmi. Finalmente, alla metà del dicembre 1930, tutto fu pronto: si sarebbe trattato di quattro squadriglie di tre aerei ciascuna con un equipaggio di 56 uomini oltre a 12 di riserva. Mussolini aveva infatti insistito per un raddoppio delle squadriglie rispetto alle due inizialmente previste.
Il 17 dicembre, con condizioni atmosferiche pessime, gli aerei partirono da Orbetello per le Isole Baleari: vi giunsero dopo varie traversie e con qualche danno, che fu presto riparato. Il 21 dicembre nuovo balzo da Los Alcazares, nelle Baleari, a Bolama, nella costa africana, vicino Dakar.
La preparazione per l’ultima tappa, quella più importante, durò dodici giorni. Finalmente il 4 gennaio sembrò che le condizioni metereologiche fossero favorevoli e gli aerei presero il volo. Non andò per il verso giusto: un idrovolante esplose in volo, sembra per un difetto all’impianto elettrico ed un altro precipitò in mare dopo il decollo: cinque morti e due aerei perduti. Altri due idrovolanti furono costretti ad ammarare in pieno oceano: uno fu salvato da una nave appoggio e raggiunse il gruppo, l’altro affondò.
A Natal, nel nord del Brasile, giunsero nove dei dodici aerei partiti: avevano compiuto la trasvolata in circa 18 ore alla media di 162 chilometri orari. Uno degli aerei impiegò un’ora in meno: a proposito della difficoltà di volare in formazione compatta Balbo aveva avuto ragione.
In Italia l’esito della spedizione diede luogo a grandi manifestazioni patriottiche. Mussolini dette personalmente l’annuncio al re, ma mantenne il silenzio più assoluto nei confronti di Balbo.
L’11 gennaio la spedizione partì per Bahia, dove fu accolta da un’immensa folla di emigrati italiani. Il 15 gennaio giusero infine a Rio De Janeiro, dove si svolsero altre manifestazioni entusiastiche.
Balbo si trattenne in Brasile in visita alle comunità italiane, per tre settimane. Tornato in Italia, ebbe calorosa accoglienza ed una medaglia d’oro. Non fu però nominato maresciallo dell’aria né insignito del titolo di conte: fu Mussolini stesso a decidere in questo senso.
Per tutta risposta Balbo si accinse subito a preparare la sua impresa più famosa, la seconda trasvolata atlantica trovando più dissensi che consensi: anche il re e (sembra) persino Mussolini, non erano d’accordo. I rischi della nuova rotta, dall’Islanda al Labrador, sembravano eccessivi, ma per Balbo gli Stati Uniti avevano un fascino speciale. In piena depressione economica, l’Italia fascista doveva dimostrare al mondo la sua vitalità, un altro trionfo dopo quello di Primo Carnera (titolo mondiale dei pesi massimi), del transatlantico Rex (minor tempo nella traversata dell’Atlantico) e in campo aeronautico di Agello, che a Desenzano aveva stabilito il record mondiale di velocità per gli idrovolanti (682 km orari).
La preparazione durò due anni e fu molto rigorosa, con particolare cura per gli apporti logistici e il servizio meteorologico. Fu creata una rete di collaborazione internazionale per le osservazioni metereologiche, previsti collegamenti radio tra le stazioni metereologiche, le basi e le squadriglie e inviate 12 navi per rilevamenti lungo la rotta.
L’aereo prescelto fu ancora una volta l’SS 55 – X (la X stava per il decennale del fascismo) con un nuovo motore, questa volta Isotta – Fraschini.
La partenza da Orbetello avvenne nella notte del 1° luglio 1933. Partirono 8 stormi di tre aerei ciascuno, per un totale di 24 aerei più uno di riserva, ogni stormo contraddistinto da un colore diverso. Ad Amsterdam, primo scalo, un idrovolante ammarò lungo, si capovolse ed un membro dell’equipaggio morì. Il giorno seguente la spedizione fece scalo a Londonderry in Irlanda, ed il 3 luglio arrivò a Reykjavic dove restò bloccata per il maltempo fino al giorno 12 quando gli aerei ripresero il volo per atterrare la sera alle sette dopo 12 ore e 2.400 chilometri a Sandwich Bay. Effettuati i rifornimenti, il giorno successivo ripartirono per Terranova, dove trovarono ad attenderli una grande folla. La tappa successiva fu Montreal. Infine il 15 luglio arrivarono a Chicago: avevano percorso 6.065 miglia ad una media di 124,6 miglia orarie. Le accoglienze negli Stati Uniti furono trionfali: l’apice fu raggiunto il 19 luglio, quando i partecipanti alla spedizione giunsero a New York, ricevuti da centinaia e centinaia di migliaia di persone in festa.
Balbo fu invitato a pranzo alla Casa Bianca dal Presidente Rooswelt e partecipò ad una manifestazione alla quale accorsero circa 100.000 persone al Madison Square Garden.
Al successo negli Stati Uniti facevano però riscontro i problemi sorti in Italia in seguito a quel successo.
Mussolini non gradì festeggiamenti da cui era escluso, non si entusiasmò per i discorsi più patriottici che fascisti di Balbo in terra americana, non ebbe alcuna remora a mostrare la sua gelosia nei confronti di quello che era – e doveva restare – un collaboratore del Duce e non apparire come a lui uguale. Usò tutti i mezzi a sua disposizione perché ciò fosse chiaro: fece intravedere a Balbo la possibilità di ottenere il bastone da maresciallo (grado che per l’aeronautica non esisteva) e al tempo stesso chiese di ricevere gli stessi onori che riceveva Balbo, fino a chiedere, quando Balbo si recò a pranzo da Roosvelt, un telegramma di congratulazioni del Presidente degli Stati Uniti che, per ragioni di protocollo, fu invece inviato al Re.
Saputo che a Balbo era stata intitolata una strada a Chicago, chiese che a lui ne fosse intitolata una a New York o a Washington, naturalmente senza ottenerlo. Balbo intuì quello che stava accadendo e cercò di comportarsi di conseguenza: rifiutò di incontrare Peppino Garibaldi, figlio del suo vecchio amico Ricciotti, perché antifascista, e nel discorso al Madison Square Garden nominò quattro volte Mussolini attribuendogli il merito di grandi imprese.
Durante il viaggio di ritorno in Italia un idrovolante in fase di decollo si capovolse e uno dei piloti perse la vita. Il 12 agosto gli idrovolanti giunsero al lido di Roma accolti da Mussolini e da alcuni membri della famiglia reale. Seguì una marcia trionfale fino a Piazza Colonna passando sotto l’arco trionfale di Costantino. Il regista era però Mussolini. Grandi manifesti per le vie della città mostravano Mussolini in tuta da aviatore accanto agli aerei, come se avesse lui e non Balbo guidato la trasvolata e i giornali parlavano delle “Ali di Mussolini sotto la guida di Balbo” e pubblicavano telegrammi di Mussolini a Balbo che davano la sensazione che a dirigere la crociera giorno per giorno fosse stato Mussolini.
Il 13 agosto in una cerimonia al Palatino Mussolini parlò agli “atlantici” e conferì le promozioni: Balbo divenne il primo – e restato unico – maresciallo dell’aria.
Con la presentazione al re, ad Orbetello, il giorno successivo sulla crociera si chiuse il sipario per il grande pubblico: cominciò invece la resa dei conti tra Balbo e Mussolini. A 37 anni Balbo era considerato un eroe nazionale. Molto popolare per le sue imprese aeronautiche, quadrumviro, generale della Milizia, Maresciallo dell’aria, con ampie simpatie tra gli industriali come Agnelli e Caproni, i finanzieri come Volpi e Cini, gli intellettuali come Malaparte e Ojetti, era il preferito della nobiltà romana fino a quando non lo divenne Galeazzo Ciano. L’oltranzismo fascista originario si era pian piano offuscato, così come molto cauta si era fatta la sua posizione a proposito dello stato corporativo e dello smantellamento delle istituzioni come il Parlamento. I patti lateranensi lasciarono piuttosto tiepido il vecchio mazziniano, decisamente contrario alla trasformazione del partito fascista in partito di massa burocratizzato e centralizzato, privato di quello “spontaneismo” degli inizi di cui era stato ampiamente partecipe.
Il rapporto con Mussolini continuò ad essere inteso da Balbo come un rapporto tra pari, diversamente da come lo intendeva il Duce, che lo stimava, ma al tempo stesso lo temeva, tanto da dichiarare, quando Balbo era già morto da tempo, che sarebbe stato l’unico gerarca capace di ucciderlo. Le voci a proposito di complotti di Balbo contro di lui erano ricorrenti, e non tutte assolutamente infondate. Sia Grandi che De Bono nei loro diari annotano un tentativo di Balbo tra il marzo 1932 e l’inizio del 1933 di concertare con loro un piano per sostituire Mussolini, a quanto si capisce dalle poche frasi dei diari, proprio con De Bono. I rapporti della polizia politica annotano in quel periodo che tra gli antifascisti in Francia “Balbo sta diventando popolare”. Di voci nello stesso senso correnti a Londra e Parigi parla Malaparte in una lettera a Nello Quilici, diretto collaboratore di Balbo.
Voci, solo voci: non esistono prove concrete di un complotto anche se non è da escludere che effettivamente ci fu e che forse Balbo contava sull’appoggio del re: non a caso i suoi rapporti con la casa reale si erano intensificati.
I rapporti tra Mussolini e Balbo peggiorarono ulteriormente alla metà del 1933. Su sollecitazione di una parte degli alti gradi delle forze armate ma forse anche per la mancanza del necessario consenso del re, capo supremo delle forze armate, Mussolini respinse un progetto elaborato da Balbo tendente ad una ristrutturazione delle forze armate che accentuava l’importanza dell’Aeronautica e della Marina ai danni dell’Esercito e che aveva il punto più qualificante nella sostituzione con Balbo di Badoglio nel comando delle forze armate.
Il 16 ottobre Balbo ricevette una lettera di Mussolini che lo invitava a dimettersi da Ministro dell’Aeronautica: sarebbe stato nominato Governatore della Libia.
Balbo ne fu molto addolorato e attribuì (forse non a torto) il gesto di Mussolini al successo della seconda trasvolata atlantica. Sapeva tuttavia di non avere alternative: telefonò più volte a Mussolini minacciando di “rompergli il grugno”ma si dimise da Ministro ed accettò la nomina a Governatore della Libia dal 1° gennaio 1934.
Il 15 gennaio sbarcò a Tripoli, città allora ben diversa dall’attuale metropoli, con circa centomila abitanti di cui un terzo italiani, 47.000 musulmani e 17.000 ebrei. Le altre città (Bengasi, Derna, Misurata, Tobruch) erano più piccole. Mancavano strade, ferrovie, acquedotti. L’agricoltura era allo stato primitivo, con vaste zone riguadagnate dal deserto in mancanza di colture.
Balbo, con le sue indubbie capacità organizzative, riuscì a cambiare radicalmente la situazione in pochi anni. Fu costruita una strada litoranea, ancora oggi ampiamente utilizzata, tra la frontiera tunisina e quella egiziana, lunga 1822 chilometri, utilizzando in larga parte lavoratori provenienti dall’Italia, attratti da una paga che era due – tre volte superiore a quella dei lavoratori libici.
Affluirono in Libia molte migliaia di italiani, che ottenevano la concessione della terra e tutto quanto necessario per coltivarla, contraendo un debito che avrebbero potuto restituire in venti – trent’anni. Fu tentata, anche se con scarso successo, la via del turismo, costruiti alberghi, valorizzate le zone archeologiche, rilanciato il Gran Premio automobilistico di Tripoli, con una lotteria nazionale abbinata alla gara. Tripoli cambiò volto assumendo l’aspetto di una città europea, con i beduini collocati ai margini della nuova città
Nella primavera 1937 Balbo accolse Mussolini in visita con eccezionali cerimonie al termine delle quali (18 marzo) fu donata al Duce una “spada dell’Islam” quale “protettore dell’Islam e successore del Califfo”.
Per Balbo significò tornare alla ribalta politica con grandiosi piani sul futuro della Libia di cui si riteneva ormai una sorta di “grande protettore”. Aumentarono i coloni italiani, si tentò, a costi altissimi, di far decollare la produzione agricola, Ardito Desio, un geologo di fama internazionale, fu incaricato di condurre i primi studi sulla presenza di petrolio nel sottosuolo libico, con esiti incoraggianti.
Verso gli arabi Balbo seguì una linea conciliante, nei limiti del riconoscimento della sovranità italiana. Agli italiani andarono le terre migliori, molti libici con le buone o con le cattive furono costretti a lasciare le loro, molti si trasformarono da contadini in operai dell’edilizia profittando degli imponenti programmi di costruzioni di opere pubbliche e di abitazioni. Nel complesso la condizione sociale ed economica dei libici non migliorò molto anche perché Balbo tese a ricercare l’alleanza dei notabili arabi e ad operare quindi nel solco della tradizione più che introdurre innovazioni radicali che avrebbero potuto alimentare contrasti.
Con un decreto del 9 gennaio 1939 le quattro province costiere della Libia divennero province italiane a tutti gli effetti. I libici potevano ottenere la “piccola cittadinanza” acquisendo uno stato giuridico che dava loro particolari benefici, tra cui poter intraprendere la carriera militare nei reparti libici, essere nominati podestà dei villaggi arabi, prestare servizio nell’Amministrazione pubblica in Libia ed iscriversi alla Associazione Musulmana del Littorio, divenire cioè arabi fascisti. Questa “cittadinanza speciale” era valida soltanto in Libia: nessun libico avrebbe quindi potuto trasferirsi in Italia facendo valere speciali diritti.
Nel complesso, il Governatorato della Libia per Balbo fu un successo che diede nuovo slancio alla sua posizione all’interno del fascismo, caratterizzata dalle critiche sempre più fitte e pesanti a Mussolini, a Storace, segretario del Partito Fascista ed a tutti i più diretti collaboratori del Duce.
Dal 1937, all’interno del Gran Consiglio, si era formata una corrente critica che considerava se stessa una “opposizione legale” al fascismo mussoliniano, di cui faceva parte, oltre Balbo, Federzoni, Bottai, De Vecchi, De Bono, l’ex Ministro delle Finanze Alberto De Stefani e Dino Grandi, che del gruppo era forse colui che aveva maggiore sensibilità e capacità di manovra politica.
Balbo nel gruppo tese ancora una volta ad assumere una• sua posizione autonoma, ormai tutto proteso verso la monarchia e la casa regnante, ma anche sempre formalmente ossequioso verso Mussolini. Decisamente nazionalista, fu altrettanto decisamente contrario alla guerra, sia quella per la conquista dell’Etiopia che al concorso in quella civile spagnola.
Contrario all’alleanza Roma – Berlino, si schierò anche contro le leggi razziali e nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo del 6 ottobre 1938 fu tra i quattro (Federzoni, De Bono, Balbo e Acerbo) che si espressero contro il “Manifesto della Razza”. Giunse al punto di condurre, il 9 aprile 1939 Goering in visita ufficiale in Libia ad una cena con una dozzina di ebrei e di includere nel giro turistico di Tripoli una visita al ghetto, alla quale Goering riuscì a sottrarsi con la scusa di un malore improvviso.
Il dissidio con Mussolini divenne particolarmenteaspro dopo la firma (23 agosto 1939) del patto di non aggressione tra Germania e Unione Sovietci a. Balbo, con il suo “Corriere padano” scatenò una battaglia antisovietica, che finiva per diventare anche antitedesca e che irritò Mussolini al punto, secondo Ciano, da indurlo a ricordare che era “in grado di mettere al muro chiunque, nessuno escluso”.
Balbo si rese conto che si era cacciato in un vicolo cieco: l’unica speranza che poteva avere era quella di succedere a Mussolini. Nel marzo ’39 fu tra i due nomi (Balbo e Grandi) che ottennero l’adesione del Gran Consiglio per la partecipazione al triumvirato che avrebbe dovuto succedere a Mussolini, questione poi lasciata in sospeso per l’impossibilità di trovare il necessario consenso sul terzo nome proposto (Galeazzo Ciano).
Continuarono gli stretti contatti con la casa reale e iniziò un lento ma progressivo avvicinamento alla chiesa fino ad essere ricevuto in udienza privata da Papa Pio Xli il 13 dicembre 1939.
All’inizio del 1940, quando si profilò l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania, Balbo si dichiarò contrario al conflitto bellico, di cui intravedeva tutti i pericoli per un’Italia assolutamente impreparata. Al giornalista Diodace disse quasi profeticamente: “Se l’Italia entra in guerra noi saremo sconfitti, cadrà il fascismo, cadrà la monarchia, perderemo le colonie e ci potremo chiamare fortunati se si salverà l’unità italiana”.
Incontrò più volte Mussolini per cercare di convincerlo a tornare su decisioni già prese, ma si rese conto che era un tentativo inutile.
Tornò in Libia e preparò un piano d’attacco verso l’Egitto che però non ebbe il consenso dello Stato Maggiore. Chiese uomini e mezzi, ma ebbe poco o niente. Dopo il 1o giugno 1940, a guerra dichiarata, iniziò a combattere, la cosa che sapeva fare meglio. Gli inglesi scelsero la strategia dei brevi raids nel deserto, con gruppi di autoblinde che arrivavano all’improvviso sugli avamposti italiani, gettavano lo scompiglio e poi si ritiravano. Senza autoblindo, senza carri armati adatti, senza cannoni leggeri, gli italiani potevano fare ben poco ed il morale delle truppe ne risentiva.
Balbo si concentrò sul problema delle autoblinde. Il 13 giugno si trasferì a Derna, nella zona del fronte, per concertare con i comandanti delle unità una strategia che consentisse di far fronte alla superiorità aerea inglese e di affrontare gli attacchi delle autoblinde. Il 21 giugno dal suo aereo ne avvista una: atterrò e con l’equipaggio la cattura con gli uomini a bordo.
Il 20 giugno giunse finalmente da Roma l’ordine di preparare l’invasione dell’Egitto. Balbo fu galvanizzato dalla notizia: era il suo piano ad essere accolto. Non poteva ovviamente sapere o.wiame me_.sap-ere che a quella offensiva non l’ avrebbe mai partecipato.
Quello che accadde nel cielo di Tobruch il 28 giugno 1940 successivo è rimasto ancora in parte oscuro anche dopo tanti anni ed affannose ricerche della verità: l’unica certezza è che quel giorno Balbo morì a bordo del suo aereo.
Fu un caso? Fu una mancanza di coordinamento degli italiani? Fu un’imprudenza di Balbo? Fu, come sussurrano voci numerose ed anche autorevoli, una trappola diabolica ordita da Mussolini per togliere di mezzo un uomo diventato molto scomodo?
Lo svolgimento dei fatti è almeno apparentemente molto semplice. La mattina Balbo fece colazione con la famiglia e comunicò l’intenzione di partire in aereo nel pomeriggio. Perché? Secondo il tenente colonnello Sorrentino, ufficiale addetto alle operazioni, Balbo voleva raggiungere il campo di Sidi Azeis, vicino Tobruch, in visita alla 11° divisione libica. Diverso il racconto del gen. Porro, comandante dell’aeronautica libica e pilota dell’aereo che affiancava nel viaggio quello di Balbo: l’intenzione di Balbo sarebbe stata di ritentare, dopo la visita, l’impresa contro le autoblinde inglesi.
I due S 59 di Balbo e Porro partirono da Derna alle 17. Sull’aereo di Balbo, oltre al secondo pilota Ottavio Frailich, presero posto il motorista Gino Cappannini e il marconista Giuseppe Berti, con Balbo già nelle trasvolate atlantiche. Salirono sull’aereo anche il nipote Lino, tenente degli alpini, il cognato Cino Florio, Nello Quilici, direttore del “Corriere padano”, e due vecchi amici di Ferrara, Enrico Carletti, federale di Tripoli, e Claudio Brunelli.
Alle 17.30 gli aerei arrivarono in vista dell’aeroporto di Ain el Gazala, 50 chilometri prima di Tobruch. Gli accordi erano che a quel punto avrebbero dovuto compiere un giro completo a trecento metri di quota per farsi riconoscere. Ci fu un imprevisto: venti minuti prima nove aerei inglesi avevano iniziato un bombardamento all’aeroporto di Tobruch. Balbo vide gli incendi e proseguì a mille metri di quota verso Tobruch.
Racconta Porro che a quel momento si avvicinò all’aereo di Balbo per fargli segno di deviare la rotta in modo da non sorvolare il campo e trovarsi tra le bombe inglesi e i tiri di cannoni e mitragliere della contraerea italiana. Balbo non vide i segnali: guadava fisso in avanti, verso l’aeroporto in fiamme.
Alle 17.33 i due aerei giunsero su Tobruch dalla stessa direzione nella quale si erano allontanati tre aerei inglesi e controsole. Furono investiti da proiettili di artiglieria e di mitragliera sparati dall’incrociatore San Giorgio, una vecchia nave bloccata a difesa del porto. Porro iniziò una planata rapidissima e scendendo molto basso si mise fuori tiro.
Balbo invece diminuì gradatamente la quota, forse per osservare i danni subiti dall’aeroporto, forse per tentare un atterraggio. Virò di 180 gradi e si accinse a compiere un passaggio sull’asse centrale del campo.
A quel punto – e solo a quel punto: fu questo il particolare che alimentò i sospetti – la contraerea dell’aeroporto iniziò a sparare, cannoni e mitragliere. L’aereo di Balbo fu centrato in pieno. Secondo un testimone a bordo dell’altro aereo, fu colpito da un proiettile di artiglieria, cadde e si incendiò a contatto con il suolo. Più attendibile, perché suffragata da altre testimonianze, la ricostruzione di Porro: l’aereo fu colpito da cartucce incendiarie e prese fuoco in volo.
Il cap. Carlo Augias, che vide la scena da un luogo vicino, affermò che l’aereo di Balbo fu colpito da una mitragliera ai serbatoi dell’ala sinistra e tentò l’atterraggio dando la sensazione che anche il pilota fisse stato colpito.
E’ incerto se a colpire l’aereo furono le mitragliere dell’aeroporto o quelle della San Giorgio, anche se la seconda ipotesi ha maggior credito. L’aereo con i 7000 litri di benzina che aveva imbarcato a Derna bruciò tutta la notte. Balbo fu riconosciuto da una protesi ai denti.
In Italia l’impressione destata dalla morte di Balbo fu vivissima. Per cinque giorni in Libia fu osservato il lutto ufficiale. Il 1° luglio si svolsero i funerali. La salma fu seppellita nel “Monumento ai caduti” a Tripoli e solo dopo molti anni, nel 1970, trasferita nel cimitero di Orbetello, accanto a quella di molti piloti che presero parte alla seconda crociera atlantica.
Balbo fu insignito della medaglia d’oro alla memoria. La vedova ebbe una pensione di 100.000 annue, cifra per quei tempi molto elevata. Si cominciò subito a parlare di un complotto ordito da Mussolini. Mussolini mise le mani avanti: la morte di Balbo era stata un incidente e la responsabilità era delle batterie navali di Tobruch. Anche Ciano e De Bono annotarono nei loro diari che la causa della morte era un errore compiuto dall’artiglieria italiana.
In un primo tempo anche gli inglesi diedero credito a questa versione e lo fecero con sottile ironia: il giorno dopo la morte un aereo sorvolò gli avamposti italiani in Libia lasciando cadere una borsa di sabbia con un messaggio in cui era scritto che gli inglesi salutavano ed onoravano un grande aviatore caduto. L’aereo che lasciò cadere la borsa era un CR 42 italiano caduto in mano agli inglesi. Il sottinteso era chiaro: avete sparato ad un aereo italiano credendolo inglese e ora ricevete le condoglianze da un aereo che avete lasciato passare credendolo italiano e che invece è inglese. La propaganda inglese diede successivamente corpo alla tesi del complotto mussoliniano, senza però particolare insistenza.
Le polemiche in Italia continuavano: perché Balbo era volato su Tobruch quando lui stesso aveva precedentemente ordinato che nessuno lo facesse dopo che fosse suonato l’allarme? Perché la contraerea aveva iniziato a sparare solo all’arrivo di Balbo? Il Governatore della Libia aveva rapporti segreti con gli inglesi? Perché nel 1937 chiese un passaporto con il falso nome di Dott. Mario
Biancoli, rilasciatogli su autorizzazione del sottosegretario Bastianini? Al momento della morte, stava trattando con gli inglesi la resa della Libia in cambio del mantenimento dei suoi poteri come Governatore e la prova indiretta di quei rapporti segreti sarebbe stato un portasigarette d’oro ritrovato tra le sue cose, dono di Philip Sasson, sottosegretario inglese all’aeronautica dal 1924 al 1935 ed amico di Churchill? Il portasigarette fu trovato effettivamente, ma portava la data del 1927 e non del 1940, come fu asserito. Resta il mistero del passaporto falso, forse legato ad una delle sue innumerevoli avventure amorose.
Ciano, il vecchio nemico di Balbo, a Berlino, durante un ricevimento, affermò strizzando l’occhio che forse non si era trattato di un incidente, ma forse si trattò solo di una battuta per fare colpo dimostrando di essere al corrente dei segreti del regime.
Mussolini non mostrò di tenere in gran conto le accuse che gli venivano rivolte, pur mantenendo un atteggiamento molto freddo a proposito dell’antico amico – nemico, con il quale affermò nel telegramma di condoglianze di avere un “cameratismo fraterno”, ma nulla di più. Un anno dopo, in un discorso di circostanza, lo definì “un prezioso collaboratore”.
Una commissione, nominata su pressione del Gen. Porro e presieduta dal Gen. Pitassi Mannella, per chiarire la dinamica dei fatti che avevano portato alla morte di Balbo non concluse mai i suoi lavori.
Un’altra commissione presieduta da Ciano ebbe l’incarico di accertare la verità delle voci correnti sulla “favolose ricchezze” accumulate da Balbo: risultò che era proprietario di un appartamento a Roma, al Colle Oppio, di una villa a Punta Ala, in provincia di Grosseto, e delle antiquate rotative del “Corriere padano”.
Ad insistere per la tesi del complotto restò la suocera di Balbo, che secondo quanto fu riferito in una lettera del 1o luglio dal prefetto Testa al capo della polizia Bocchini, individuava la ragione della morte nelle continue richieste di Balbo di equipaggiamenti e munizioni. Alla fine la famiglia incaricò un ufficiale superiore dei carabinieri, ebreo e fedelissimo di Balbo, Ivo Levi, di svolgere un’indagine privata sull’abbattimento dell’aereo. La risposta fu che si era trattato solo di un incidente.
Malgrado le molte fantasiose ricostruzioni dei fatti apparse negli anni successivi sulla stampa nazionale ed estera, nessuno è finora riuscito a fornire elementi nuovi rispetto ai fatti già conosciuti, così come da nessuno dei tanti documenti resi pubblici dopo la fine del regime fascista è emersa una pur labile traccia di un complotto per simulare l’incidente.
Se un complotto di Mussolini ci fu, Balbo fu ampiamente vendicato poco più di due anni dopo, quando il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del fascismo approvò l’ordine del giorno Grandi che segnò la fine di Mussolini. A votare quell’ordine del giorno furono ben cinque amici di Balbo.
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