LA TRATTATIVA (IM)POSSIBILE

La narrativa del regime russo sulla vittoria in Ucraina è flessibile, opportunistica e soggettiva, e si concentra principalmente sulla percezione del popolo russo secondo cui la vittoria ottenuta giustifica i costi della guerra.

L’élite politica russa sostiene che la Russia dovrebbe essere una superpotenza in un mondo multipolare, riconosciuta come tale dalla comunità internazionale. Tuttavia, questa élite sostiene anche che la Russia è strategicamente sulla difensiva a causa di un Occidente ostile. Secondo questo punto di vista, la Russia, l’identità russa e l’integrità territoriale della Russia sono costantemente minacciate e che questa minaccia vada affrontata. La minaccia non è solo militare nella forma dell’espansione della NATO verso est, ma si riflette anche nella diffusione della cultura, dei valori, dell’ideologia e del sistema politico dell’Occidente in Russia.

È proprio questo, sostengono le élite, a rappresentare una minaccia esistenziale per la Russia. In effetti, l’emergere di una classe media sociale benestante, politicamente attiva e di orientamento liberale può minacciare la Russia in quanto autocrazia conservatrice e gestita da autocrati e oligarchi. Per contrastare questo, l’élite politica russa cerca di porre fine alla percepita egemonia occidentale guidata dagli americani e sostituirla con un ordine mondiale multipolare.

Dal punto di vista russo, l’invasione dell’Ucraina è una mossa offensiva necessaria all’interno di una posizione difensiva strategica. Un’Ucraina prospera e orientata verso l’Occidente che sia membro dell’UE potrebbe offrire alla popolazione russa un pericoloso scorcio di un sistema politico alternativo e quindi alimentare l’insoddisfazione nei confronti del sistema politico ed economico della Russia. Inoltre, l’ingresso dell’Ucraina nella NATO e nell’UE comporterebbe una perdita di reputazione politico-strategica per il regime russo in patria e all’estero e rappresenterebbe quindi una vulnerabilità strategico-militare per la difesa della Russia.

Inizialmente, il regime russo potrebbe aver considerato l’invasione dell’Ucraina come un “conflitto regionale” con “importanti” obiettivi politico-militari, e la sua classificazione come “operazione militare speciale” potrebbe essere stata autentica. In effetti, sembra che l’ambizioso obiettivo politico del Cremlino fosse quello di insediare a Kiev un nuovo governo filo-russo con un’azione lampo . Manovre audaci e profonde lungo molteplici assi di attacco e la rapida eliminazione del governo ucraino a Kiev avrebbero dovuto portare al crollo della resistenza ucraina e impedire alla Russia di opporsi indirettamente all’Occidente economicamente e tecnologicamente superiore in una lunga guerra per procura.

Dopo il fallimento di questo tentativo, la Russia sembra aver modificato i propri obiettivi politici e la propria strategia. Le forze armate russe attualmente non hanno né il numero delle truppe né la capacità di sottomettere e pacificare tutta l’Ucraina. Per quanto contraddittorio possa sembrare, tuttavia, l’operazione militare speciale sembra quindi destinata a degenerare in una “guerra su larga scala” con obiettivi politico-militari “radicali”.

Il principale obiettivo politico-militare iniziale della Russia nel conflitto sembra aver lasciato il posto a uno modificato: smantellare l’Ucraina come stato forte e sovrano e trasformarla in uno che sarà un peso piuttosto che un rafforzamento sia per la NATO che per l’UE . In tal modo, il completamento dell’annessione degli oblast di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhya e Kherson fornisce profondità strategica e un chiaro obiettivo geografico. La volontà occidentale di continuare a sostenere l’Ucraina nella resistenza all’avanzata russa e nella liberazione del territorio occupato è considerata decisiva, più della volontà ucraina di continuare a combattere.

La presunzione implicita è che senza il sostegno militare occidentale e sotto la pressione politica internazionale, l’Ucraina alla fine dovrà accettare concessioni territoriali e restrizioni alla sua sovranità politica, economica e militare. Vengono così affrontati i fondamenti politici e militari della guerra, come il riavvicinamento dell’Ucraina all’Occidente e la creazione di profondità strategica.

Tuttavia, l’obiettivo più ampio di trasformare l’ordine mondiale in un sistema multipolare, con la Russia come uno di questi poli, viene sempre più espresso come contesto per l’intervento in Ucraina. Enfatizzare questo obiettivo può attrarre la popolazione russa, ma contiene anche una narrazione rivolta alla comunità internazionale sulla fine del dominio occidentale nella politica internazionale. Un’ulteriore escalation geografica del conflitto nei territori della Moldavia (Transnistria) , della Bielorussia e della Russia è una possibilità, così come l’aumento delle operazioni informatiche , di intelligence e di sabotaggio in altre parti d’Europa.

Finché la Russia calcola che i suoi obiettivi politici vengono raggiunti continuando il confronto militare in Ucraina e che questi superano i costi, questa guerra continuerà. Poiché la guerra in Ucraina è considerata esistenziale dal regime russo, il successo ucraino potrebbe potenzialmente portare a un’ulteriore escalation nella modalità di guerra della Russia. In effetti, il regime di Putin non sembra avere la possibilità di perdere questa guerra senza una grave perdita di reputazione all’estero e senza ripercussioni politiche in Russia . La continuazione della guerra è quindi forse guidata non solo dalla logica di voler raggiungere obiettivi politico-militari “importanti” in Ucraina, ma anche dall’evitare le conseguenze politiche negative interne ed estere di una sconfitta strategica in Ucraina. Dal punto di vista del regime, quindi, ci sono in gioco obiettivi politico-militari “radicali”.

Da questo punto di vista, il tempo è attualmente dalla parte della Russia. Nel momento in cui scrivo, le forze armate russe hanno ormai ripreso l’iniziativa bellica, riuscendo a conquistare la città di Avdiivka, vista dal governo russo come un importante obbiettivo strategico, e ulteriori piccoli villaggi, combattendo una guerra di logoramento a loro favorevole. Esaurire le forze armate ucraine e creare una prospettiva politica di dubbio riguardo alla prospettiva di una fine rapida e decisiva della guerra sono possibili obiettivi operativi che dovrebbero contribuire a spezzare la forza di volontà ucraina di continuare le ostilità e la volontà occidentale di continuare a sostenere l’Ucraina. Inoltre, catturare le restanti parti degli oblast annessi potrebbe essere un obiettivo operativo che, se i calcoli della Russia cambieranno e gli obiettivi più ampi non supereranno più i costi necessari per raggiungerli, dovrebbe facilitare la dichiarazione unilaterale di una vittoria strategica per la popolazione russa. Per ora, ci sono già abbastanza risultati tangibili che il regime può intrecciare per creare una narrazione credibile di vittoria.

La manifestazione definitiva di una vittoria russa risiederebbe in un accordo concordato con gli Stati Uniti che suggelli il futuro dell’Ucraina e garantisca gli interessi di sicurezza russi a lungo termine. Ciò darebbe ai russi il riconoscimento desiderato come potenza mondiale, creerebbe ulteriore profondità strategica e dimostrerebbe una resistenza efficace al potere economico e militare occidentale, avvicinando infine il mondo multipolare desiderato . La narrativa geopolitica russa, catalizzata dal classico paradosso della sicurezza con l’Occidente, si rivelerà quindi una profezia che si autoavvera. Sarà la situazione sognata, in cui la Russia potrà dichiarare la vittoria in Ucraina, ma non per quanto riguarda gli obiettivi politico-militari “radicali” nel confronto con l’Occidente . Questa lotta è perpetua, continua, esistenziale e parte integrante della cultura strategica russa.

Se così fosse, per il governo ucraino la mossa strategicamente più sensata da attuare in questo momento sarebbe quella di congelare il fronte avviando un armistizio, se non altro per cercare di recuperare le forze e iniziare la ricostruzione del paese sia economicamente che militarmente. Ci ricordiamo tutti, infatti, il momento della seconda contro-offensiva ucraina (la prima si era verificata nell’estate del 2022, con la riconquista della parte nord), inizialmente spacciata per una grande operazione di conquista che nei fatti si è rivelata un disastro.

Le ragioni di queste difficoltà sono principalmente due: Carenza di munizioni e di uomini. Due problemi apparentemente semplici ma con delle ripercussioni militari gravi.

Partendo dal primo, la carenza di munizioni. La capacità occidentale di produrre munizioni e armamenti è circa un terzo di quello russo, anche spingendo al massimo la produzione rimarrebbe un gap che sul lungo periodo vedrebbe prevalere la Russia che al momento è in uno stato di economia di guerra, una situazione del genere in occidente avrebbe dei grossi risvolti negativi sull’opinione pubblica, sicuramente meno gestibili rispetto a un paese autocratico quale è la Russia. Riconvertire alcuni tipi di industrie, infatti, ha un costo decisamente alto e per di più per un periodo imprecisato di tempo che potrebbe essere di mesi o nel peggiore di alcuni anni, dopo aver rinunciato alle forniture di gas a basto costo dalla Russia (che comunque continuano ad arrivare grazie ai meccanismi di triangolazione) a scapito del più costoso gas via nave proveniente dai paesi del Golfo, saremo pronti a imporre a milioni di cittadini un altro sacrificio?

Per la fornitura di uomini la questione è ancora più complicata perché potenzialmente apre scenari apocalittici che nessuno di noi in cuor suo vorrebbe. In Ucraina in questo momento il reclutamento è solamente per tutti coloro che hanno più di 27 anni, una misura assunta per controllare il possibile malcontento tra la popolazione ucraina e per cercare di preservare i giovani che in futuro nemmeno troppo remoto rappresenteranno quel capitale umano così necessario al paese per ricostruirsi. Il risultato è che c’è una fetta di popolazione abbastanza grande potenzialmente arruolabile, composta per di più da giovani più forti e in salute rispetto agli attuali combattenti, ma che non può essere ingaggiata a causa delle possibili ripercussioni politiche (e quindi anche elettorali) nei confronti di Zelensky, sempre più solo al comando.

Il punto è che anche arruolando quella popolazione under 25 rimasta, sul lungo periodo si presenterebbe il problema della fisiologica inferiorità numerica dell’Ucraina rispetto alla Russia. Insomma, detta in termini poco politicamente corretti, finiranno prima gli ucraini dei russi se la prospettiva è quella di una guerra di attrito dove si combatte fino all’ultimo soldato.

Ecco che quindi si ipotizza l’invio di soldati occidentali. A dire la verità, dei soldati occidentali sul territorio ucraino già sono presenti, sono i cosi detti “addestratori” la cui funzione è quella di insegnare all’esercito ucraino come utilizzare alcuni tipi di armi occidentali (leopard ed F-16), questo perché fino allo scoppio della guerra nel febbraio del 22, l’Ucraina possedeva un armamentario che risaliva ancora ai tempi dell’URSS, poco adatto per fronteggiare una potenza militare che invece nel corso degli anni precedenti ha speso il 7% di pil annuo in armi ed esercito. Per intenderci è come se avessimo cambiato le ruote e la carrozzeria di una macchina in corsa, a mano a mano che l’esercito ucraino mandava al macero le vecchie armi, noi ne fornivamo di nuove e più performanti, ma rimaneva e rimane ancora il problema della quantità (per i motivi di cui prima) sia di armi che di uomini.

Di altri uomini occidentali sul campo di battaglia, sono gli informatori e le spie, specialmente di Londra e di Washington, che in questi mesi hanno raccolto informazioni e osservato dal vivo, in quello che è diventato a tutti gli effetti un laboratorio militare, il modo in cui l’esercito russo combatte e si muove, Informazioni preziosissime in vista di possibili scontri futuri.

Il problema di inviare ufficialmente soldati NATO è che, come ovvio che sia, ci condurrebbe a un’escalation del conflitto, che secondo la dottrina militare russa rappresenterebbe un esplicito attacco alla propria sovranità e di conseguenza autorizzerebbe l’esercito ad utilizzare armi atomiche, tattiche e non. Insomma, il “worst case scenario”, quello dove scoppia una guerra atomica tra Russia e NATO con conseguenti decine di milioni di vittime.

Per qualche atlantista pazzo e mitomane un conflitto diretto tra Russia e Nato sarebbe una prospettiva tutto sommato ragionevole, la volta buona per trasformare Mosca in un “parcheggio” e di distruggere il grande “parassita”. Ma per chi ragiona in termini Kissingeriani e di realpolitik, sa bene che queste sono solo le esternazioni di qualche possibile usufruitore di TSO.

Perché per quanto emotivamente la causa ucraina ci coinvolga tutti e ci porti come moralmente giusto che sia a schierarci dalla parte dell’aggredito, non dobbiamo rinunciare a ragionare anche in termini strategici, “morire per Kiev” o per Kyiv, rappresenta nel breve e lungo termine una perdita di risorse consistente per l’occidente, con uno scarso ritorno. Pensiamo solo ai 700 miliardi di dollari necessari alla ricostruzione del paese, alla ricollocazione dei migranti, alla ricostruzione dei rapporti diplomatici con la Russia.

La morale della favola è sempre la stessa, prima il conflitto finirà e meglio sarà per gli ucraini in primis e per l’occidente poi, ma per farlo abbiamo bisogno di fare pressing sul governo di Kiev, che da oltre un anno si rifiuta categoricamente di trattare, arrivando persino ad approvare alla verkovna rada, un decreto che vieta esplicitamente di bandire un tavolo di trattive se prima l’esercito russo non si ritirerà dal territorio occupato. Un ragionamento sotto certi aspetti legittimo ma fuori dalla realtà, perché è vero che se l’esercito russo decidesse all’improvviso di ritirarsi la guerra finirebbe (comunque con tutti i risvolti negativi del caso, cioè un paese distrutto e pieno di profughi), ma storicamente è anche irrealistico che ciò accada, prima o poi bisogna venire a patti con “il cattivo” e capire le motivazioni che lo hanno spinto ad agire in un certo modo, anche per evitare che un evento del genere possa riverificarsi in futuro.

Del resto, il dovere della Pace è quello di scontentare, perché uno dei due contendenti dovrà rinunciare a qualcosa pur di creare una situazione di equilibrio duraturo.

Ma veniamo a un’altra questione, cioè i negoziati che sono stati avviati in Turchia tra Ucraina e Russia sotto l’egida di Erdogan che all’epoca, come oggi, vuole farsi portatore dei valori della mediazione. Durante i colloqui del 2022 tenuti ad Istanbul si era praticamente giunti ad un accordo firmato da entrambe le parti, la delegazione ucraina con a capo Zelensky aveva sottoscritto l’accordo che prevedeva la neutralità dell’Ucraina rinunciando all’ingresso nella NATO in cambio del ritiro dell’esercito russo dal paese.

Successivamente Erdogan denunciò alla stampa un’intromissione dell’allora premier britannico Boris Johnson, che secondo il presidente turco, avrebbe confidato a Zelensky di non accettare l’accordo e di continuare a combattere per cercare di sfiancare l’esercito russo, sfruttando dei momenti di debolezza sul fronte. Tempo dopo in modo non troppo sorprendente, Johnson negò categoricamente questa intromissione spacciandola per propaganda russa. Il punto è che Erdogan è un membro della NATO, il che non mi sembra collimi esattamente con lo stile classico dei propagandisti russi.

Ma la strada della Pace è ancora lunga, anche se piano piano sembra si stia accorciando. È notizia di pochi mesi fa il fatto che gli Stati Uniti siano giunti all’ultimo pacchetto di aiuti per l’Ucraina, complice la crisi di bilancio che rischia di mandare gli Usa in shut down, una prospettiva che con molte difficoltà il governo di Biden, alle strette per la imminente campagna elettorale, sta cercando di evitare in ogni modo a colpi di maggioranze risicate e ulteriori finanziamenti a debito e con dei marginali tagli di spesa. Tra le voci di questa spesa c’è proprio la fornitura militare a Kiev, Aggiungeteci la costante perdita di fiducia dei paesi europei, che nel tentativo di alzare la voce si lanciano in dichiarazioni incoscienti come quelle di Macron sull’invio di truppe, e possiamo ben immaginare che ci stiamo avvicinando ad un bivio importante; da una parte la strada di un’escalation del conflitto, dall’altra un cessate il fuoco con avvio di trattative di pace.

Ma il problema rimane, cioè che il Cremlino in questo momento, complice la superiorità sul campo si sente di poter trattare da posizioni nettamente migliori, mentre Kiev che continua a perdere territori (500 Km2 nell’ultimo anno) non ha alcuna intenzione di cedere e fermarsi, perché vorrebbe dire congelare un fronte a proprio svantaggio. Qui il bisogno di rievocare Papa Francesco, ormai trattato alla strenua di un tirapiedi di Putin nonché “Pacifinto”, il quale sottolineava la necessità che il governo ucraino prenda atto della sua inferiorità sul campo e sventoli la famigerata bandiera bianca, per far capire che è arrivato il momento di mettere a tacere le armi.

Il che non significa esattamente la resa, perché nel momento in cui si tratta potrebbe anche darsi che possa esserci uno scambio di territorio in cambio di qualcos’altro. Insomma, bisognerebbe vedere i negoziati come un punto di partenza e non come un punto di arrivo, ed era questo in effetti il messaggio che voleva trasmettere il Papa. Ma evidentemente, qualcuno o per malafede o per stupidità ci ha intravisto altro.


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