A cosa servono Stati falliti come Libano, Siria e Iraq. I rapporti militari con la Russia in Siria
Tredici/A Hermes Storie di geopolitica – Mondo
Riccardo Cristiano
Giornalista, collaboratore di Reset
Nel suo commento intitolato “Teheran: guerra sì ma fuori dai propri confini” sull’incursione israeliana del 1 aprile contro il consolato iraniano a Damasco, Riccardo Cristiano osserva come “la Siria è diventata il campo neutro dove si combatte la sfida mondiale tra tutte le grandi potenze del mondo”. Dopo la guerra in Ucraina e l’attentato terrorista a Mosca – si chiede Cristiano – “cosa succede con la soverchiante presenza militare russa in Siria? Diminuisce? E i punti di osservazione nel sud della Siria? Se l’Iran si incuneasse in quei distretti siriani sarebbe un problema per tutti i vicini”. Secondo l’autore del resto “se Teheran sentisse di dover dare qualche dimostrazione di non essere un pugile esposto a tutto, colpirebbe le basi americane nella sua area d’influenza. Questa opinione diffusa appare, a mio avviso, fondata”. Rimangono a parere di Cristiano due interrogativi importanti: si tratta di capire da un lato quali siano oggi i rapporti militari dell’Iran con la Russia in Siria, dall’altro a cosa servano Stati falliti come Libano, Siria e Iraq, se non “a mantenere dei mercati paralleli, legali e illegali, con relative istituzioni finanziarie a dir poco porose, indispensabili per consentire all’economia iraniana di sopravvivere alle sanzioni”.
02 aprile 2024
Muhammad Heikal, il giornalista egiziano che fu per tantissimi anni il più stretto confidente di Gamal Abdel Nasser, ai tempi della seconda Guerra del Golfo (invasione e liberazione del Kuwait) scrisse che il mondo arabo era diventato il campo neutro dove si giocava la sfida mondiale tra tutte le grandi potenze. Non so se Bashar al-Assad abbia un confidente, mi sembra di poter comunque escludere che ne abbia uno delle qualità di Heikal, ma se lo avesse potrebbe certamente diventare famoso anche dicendo che la Siria è diventata il campo neutro dove si combatte la sfida mondiale tra tutte le grandi potenze del mondo.
Crolla una palazzina a Damasco, sede consolare iraniana; al suo interno c’erano tre alti generali dei pasdaran iraniani, il più importante dei quali, Mohammad Reza Zahedi, risulta essere stato fino al momento della sua morte l’assistente personale del capo dei capi, il generale Esmail Qaani. Pochi giorni prima da Damasco era partito un volo per Deir Ezzor, nell’est della Siria, con a bordo tutto il necessario per trasformare una villa in una centrale per le comunicazioni tra il comando dei pasdaran a Teheran e le milizie filo iraniane nel sud del Libano, Siria e Iraq. Aereo abbattuto, villa rasa al suolo.
Ma questo, e molto altro, dove accade? Quale alto Paese consentirebbe ad un’altra nazione di costruire una centrale di sue comunicazioni segrete con i suoi miliziani in quel Paese e negli altri vicini?
L’esercito di Assad è tornato a schierarsi nel sud della Siria, fino ai confini con il Golan, in base ad un accordo mediato dai russi che assicurava che i pasdaran e le milizie filo-iraniane non vi avrebbero messo piede. Era il 2018, la Russia si sentiva tranquilla della sua presenza preponderante in Siria, tanto da far espellere dalla Siria l’alto graduato iraniano che aveva servito prima di Mohammad Reza Zahedi.
Poi però è arrivata la guerra in Ucraina, quindi l’attentato terrorista a Mosca: cosa succede con la soverchiante presenza militare russa in Siria? Diminuisce? E i punti di osservazione nel sud della Siria? Se l’Iran si incuneasse in quei distretti siriani sarebbe un problema per tutti i vicini. E infatti il regno giordano è scosso da manifestazioni e proteste che da Amman molti non negano abbiano un potenziale destabilizzante. Non si tratta solo di manifestazioni di rabbia e di piazza, ma anche di azioni contro le forze dell’ordine: sin qui con le pietre, forse qualche bottiglia molotov. Se dietro ci fossero gli iraniani sarebbe un problema più grave di quanto appaia ora. E questo non potrebbe che accadere per via di infiltrazioni dal sud della Siria. Non a caso le frequenti “incursioni” di narcotrafficanti (solo narcotrafficanti?) dalla Siria in Giordania ora vengono contrastate con le armi dall’esercito di Amman.
Quando, il 3 gennaio 2020, un raid americano eliminò il generale Qassem Soleimani, il potentissimo capo dei pasdaran operanti all’estero, si parlò e temette molto di una reazione fortissima di Teheran. Non vi fu nei termini temuti. Teheran sa benissimo quali sono i rischi “del gioco”, e il rischio per essa impossibile è quello di portarsi la guerra dentro casa. Esperienza che Teheran ha già fatto negli anni Ottanta, grazie a Saddam Hussein, e da allora non vuole ripeterla, esportando la guerra a casa d’altri. Le macerie irachene, siriane, libanesi, yemenite lo confermano in modo eloquente.
Sappiamo già che questa volta Teheran porterà, per il tramite della Russia, la questione al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, perché a rimetterci è stato un edificio che appare essere consolare, con bandiera issata sul tetto. Ma difficilmente a questo passo ne seguiranno altri capaci di avvicinare la guerra al territorio iraniano.
Piuttosto sembra la Giordania il punto d’interesse iraniano. La decisione di invitare a Teheran i capi di Hamas e del Jihad islamico nelle ore trascorse ne potrebbero essere un’indicazione.
Certo, le regole comportano prezzi alti, costano la vita a fedeli esportatori della rivoluzione, come accade ormai quotidianamente anche in Libano e non solo in quello del sud, con le frequenti eliminazioni di alti esponenti di Hezbollah. Ma la reazione autorizzata da Teheran difficilmente rischierà di portare la guerra a casa propria invece che altrui.
Chi osserva che dopo quanto accaduto a Damasco si può dire che non ci siano più “linee rosse” sembra avere ragione, e probabilmente se tre generali dei pasdaran stavano in una sede consolare è perché Teheran sapeva che altrove non sarebbero stati al sicuro. Ma, se Teheran sentisse di dover dare qualche dimostrazione di non essere un pugile esposto a tutto, colpirebbe le basi americane nella sua area d’influenza. Questa opinione diffusa appare, a mio avviso, fondata.
Ma sussistono due interrogativi importanti: a che punto sono i rapporti militari in Siria tra Iran e Russia? Posto che il regime è un vigile senza fischietto e che il problema della distruzione della sede consolare iraniana è stato sollevato da Teheran e Mosca (non da Damasco, che forse non ha neanche il fax del Consiglio di Sicurezza) per regolarsi sarebbe decisivo capirlo.
Poi c’è la seconda domanda: Libano, Siria e Iraq esistono ancora? O esprimono autorità senza autorità che li rappresentano in sede internazionale? Questi Stati falliti servono a mantenere dei mercati paralleli, legali e illegali, con relative istituzioni finanziarie a dir poco porose, indispensabili per consentire all’economia iraniana di sopravvivere alle sanzioni.
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