SI VIS PACEM PARA BELLUM

MOSCA 22 marzo 2024

ILMONDONUOVO.CLUB” non partecipa al gioco di guardie e ladri, nè ci piace scrivere storie di complotti più adatte ad una fiction televisiva che alla dura realtà della guerra e del terrorismo. Preferiamo attendere che il tempo trascorra fino a rendere chiaro non solo la dinamica dei fatti e chi sono gli esecutori, ma soprattutto i mandanti e i loro obbiettivi. Quello che interessa un giornale come il nostro sono le conseguenze dell’evento. Solo allora, sgombrato il campo dalle strumentalizzazioni, sarà utile e necessario fare una rigorosa analisi e un necessario commento. I fatti della storia non si guardano dal buco della serratura, la guerra non è il grande fratello.

Mosca. Venerdi 22 Marzo. Crocus City Hall

«I combattenti dello Stato Islamico hanno lanciato un attacco contro un grande raduno di cristiani nella città di Krasnogorsk, situata alla periferia della capitale russa, Mosca. Durante l’assalto, centinaia di persone sono state uccise e ferite, mentre si e’ verificata una vasta distruzione nell’area prima che i combattenti si ritirassero indenni nelle loro basi», Questa la nota diffusa dall’agenzia di stampa «Amaq», affiliata allo Stato islamico con cui ISIS K rivendica l’attentato di venerdi 22 Marzo al Crocus City Hall a Mosca.

Venerdì tre uomini in mimetica sono entrati nella sala armati ed hanno cominciato a sparare. Il bilancio, parziale e provvisorio, è impressionante: 143 morti e centinaia di feriti. Le notizie che arrivano da Mosca parlano di terroristi in fuga verso l’Ucraina e mostrano la fila di persone che attendono di donare sangue per soccorrere i feriti.

Si viene a sapere che il Cremlino era stato messo in guarda ad inizio settimana dall’intelligence USA del rischio di possibili attentati di matrice terroristica organizzati da Isis-K e che un presunto terrorista viene fermato vicino al confine con l’Ukraina.

A venti ore dall’attentato il discorso alla Nazione di Putin rimescola le certe. Non si cita mai ISIS K ma si parla di Ucraina e di un attacco a civili con metodi nazisti. Ci si appella all’orgoglio nazionalista e si annunciano conseguenze dure per i mandanti.

Il Crocus City Hall di Mosca per i Russi assomiglia al Bataclan di Parigi per i francesi. Dal 1999 ad oggi la strage di Venerdì 22 Marzo è l’ultima di una lunga serie di eventi di matrice terroristica che hanno riguardato la Russia di Putin, quasi tutti di matrice cecena. Il primo è quello del Settembre del ’99 a Mosca: una bomba in un edificio di sette piani che provoca la morte di 118 persone, opera di due terroristi addestrati nei campi della guerriglia cecena. Il più eclatante ed impressionante resta quello dell’asilo di Beslan, nell’Ossezia del Nord, ad opera di un commando inguscio-ceceno che prende in ostaggio 1.200 persone, bambini, genitori e insegnanti, nel primo giorno di scuola. 335 i morti, tra cui 31 sequestratori, e circa 400 i feriti.

Il discorso di Putin alla Nazione e la Santa Madre Russia

“Nei momenti più difficili la Russia diventa ancora più forte”. Dopo venti lunghissime ore Putin rompe il silenzio e annuncia una repressione durissima. L’attacco è un attacco alla Russia e come tale sarà gestito. I terroristi agiscono come nazisti, e sono in fuga verso l’Ukraina. Non una parola su ISIS K e sul terrorismo jihadista. Un forte richiamo alla Patria e al nazionalismo russo, secondo una tradizione consolidata nei secoli. Un discorso che prova a rinsaldare la sua posizione alla guida del Cremlino mobilitando il paese contro i “nemici” vecchi e nuovi, reali e potenziali: l’occidente, l’America, l’ISIS K, L’Europa….

Per Dario Fabbri, direttore di Domino, l’attentato potrebbe spingere verso un impegno maggiore in Ucraina, accelerando verso una soluzione della guerra per il controllo del Donbas. Altri invece sostengono che Putin oggi non abbia nessuna fretta. Può aspettare e preparare con calma le prossime mosse. Il suo obiettivo è e resta l’Ukraina, e lo dice apertamente: non importa chi sia stato a organizzare l’attentato al Crocus di Venerdì: i mandanti, gli esecutori e i loro sodali pagheranno caro il loro gesto. Nel frattempo, come dice l’Ambasciatore Giampiero Massolo in una intervista a caldo sull’Huffington Post, “se i servizi riusciranno a provare il collegamento con Kiev e la NATO a pagare saranno gli ucraini. Così va letto l’accenno ai metodi nazisti. Gli organismi di sicurezza russi stanno intanto preparando la strada”, anche facendo leva sul nazionalismo e sul ‘patriottismo.

Il concetto che fa gioco allo Zar è quello dell’accerchiamento, un concetto che gli consente di serrare le file e rinsaldare il sentimento profondo di una nazione che storicamente emerge in ogni fase cruciale della sua storia. Contro la Russia e dentro i confini della Russia non ha mai vinto nessuno, anzi. Non ci riesce Napoleone, non ci riescono i nazisti. Il 900 è il secolo breve di due guerre mondiali e di una guerra fredda che divide il mondo in due blocchi. Gli ultimi trent’anni sono stati caratterizzati dal multipolarismo e dal mercato globale. Gli ultimi 4 sono quelli dello sgretolamento degli equilibri economici, politici e strategici del secolo scorso, sotto i colpi della pandemia e dei confetti ancora in corso.

ISIS e ISIS K: lo Jihadismo nella sua “variante” antirussa

Come ne esce Putin quindi da questa vicenda? Secondo Lucio Caracciolo non benissimo. Il gigante Golia non è invincibile, anche se paradossalmente l’attentato può riguadagnare qualche simpatia al regime da parte dell’Occidente, molto sensibile al tema della lotta al terrorismo.

Da quello che si sa l’attacco rivendicato da ISIS K potrebbe aver una matrice jihadista e i presunti attentatori provengono dal Tagikistan.

Fosse realmente così l’attentato non deriverebbe dallo jihadismo “classico”, quello in lotta contro gli infedeli per uno Stato islamico risorgente, ma sarebbe opera di una variante specifica “antirussa”, una sorta di sinistro “spin-off” molto aggressivo, radicato nell’area del Caucaso e nell’Asia centrale. ISIS K affonda le sue radici nelle vicende che hanno avuto origine in Afghanistan ma che periodicamente riemergono come un fiume carsica, dalla Cecenia all’Armenia. In questo senso i fatti di Mosca vanno messi in relazione con gli attentati che hanno sconvolto la Russia negli ultimi anni del secolo e nei primi anni del nuovo millennio, che a loro volta fanno parte di una strategia del terrore volta alla destabilizzazione.

In queste ore si sono avanzate molte ipotesi sui mandanti dell’attentato e sulle eventuali responsabilità dei servizi russi o di quelli ucraini. La pista jiahdista di ISIS K sembra però la più verosimile. Putin dopo le elezioni vinte a mani basse non ha bisogno di una “strategia della tensione”, e Kiev non può permettersi una ritorsione da parte di Mosca ed un inasprimento del conflitto. A meno di non pensare ad una strategia suicida da parte di Zelensky, impegnato in una guerra di resistenza che lo vede in grossa difficoltà e in pressing costante sugli “alleati” occidentali della NATO per avere più armi.

Nel nome del nemico comune in una guerra di russi contro russi che segue la polverizzazione dell’impero sovietico è possibile pensare ad una saldatura tra soggetti differenti per etnia, religione e interessi, ma il jihadismo antirusso resta il contesto più verosimile.

Che cosa potrebbe succedere ora? (L’Europa allo specchio)

Se a Putin non serve una strategia della tensione per consolidare il suo potere, l’attentato di Mosca offre comunque al Capo del Cremlino un motivo ulteriore per una mobilitazione “contro”. Putin ha un nemico, anzi ne ha molti. Può dirsi accerchiato o in potenziale guerra contro l’occidente, contro i nazisti e l’ISIS K. Sul fronte interno questa situazione consolida per ora la sua posizione. E verso l’esterno gli dà una posizione di vantaggio e la possibilità di scegliere.

Ancora secondo Giampiero Massolo a Putin “potrebbe non convenire una reazione immediata, né una intensificazione del conflitto in Ucraina. Ad esempio potrebbe avere ancora bisogno di rafforzare e riorganizzare l’apparato militare, messo a durissima prova dalla guerra in Ucraina”. O aspettare l’esito delle elezioni negli USA ed in Europa. O assistere agli sviluppi dei conflitti in Medio oriente a Gaza. Insomma il contesto si fa via via più complesso.

Resta un grande punto interrogativo, che ci riguarda da vicino, cioè cosa fa o cosa vuole fare l’Europa.

Partiamo dal presupposto che i paesi della UE sono di fatto obbligati a fare la propria parte sul fronte orientale, per due motivi. Il primo è il più banale. La Russia è alle porte e praticamente tutti i paesi della UE fanno parte della NATO. L’Europa è quasi obbligata a dare agli ucraini le risorse per resistere alla Russia arrivando a negoziare una pace in una posizione sufficientemente forte. Da questo dipende la sicurezza dell’Europa e il futuro della NATO.

Le elezioni americane sono un passaggio decisivo: sia Biden sia Trump pensano ad un disimpegno rispetto alla vicenda ucraina, ma se vince Trump il disimpegno potrebbe avvenire in tempi molto più stretti. L’Unione Europea quindi è e sarà in prima linea a prescindere da chi vince in America. Il punto è quanto tempo si ha disposizione per organizzare concretamente una linea comune, impresa che sembra impossibile lunghissima a realizzarsi. SI prenda il caso della difesa ad esempio e si pensi al dibattito sull’esercito europeo, o sull’euro bond per armarlo. L’asimmetria delle forze in campo finora ha bloccato ogni tentativo, del resto la Francia ha la bomba atomica, la Germania, l’Olanda e l’Italia no, ad esempio.

Gli europei che votano tra pochi mesi sono quasi obbligati a diventare grandi e soprattutto a diventare un soggetto politico vero, capace di una linea condivisa e di una strategia di difesa comune. Dopo anni di tentennamenti e di incertezze il contesto per come sembra evolvere non sembra lasciare alternative. Si capirà nei prossimi giorni cosa significano concretamente le dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron rispetto ad una “preparazione militare e civile rafforzata” contro la minaccia russa, quelle di Charles Michel, presidente del Consiglio UE “se vogliamo la pace prepariamoci alla guerra” e quelle della CEI, Matteo Zuppi, “se vuoi la pace prepara la Pace”. Così come si capirà quale ruolo intende giocare l’Italia.


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