Cronache di un mese di scontri, sofferenze, speranze disattese, trattative infruttuose
Tredici/A Hermes Storie di geopolitica – Mondo
Giampiero Gramaglia
Giornalista,
co-fondatore di Democrazia futura, già corrispondente a Washington e a Bruxelles
Democrazia futura propone la consueta raccolta dei contributi di Giampiero Gramaglia dedicati ai due grandi conflitti in corso in Ucraina e a Gaza. “Dietro alle due guerre lo spettro del ritorno del terrorismo integralista” raccoglie tre corrispondenze di quelle che sono state riassunte nell’occhiello come “Cronache di un mese di scontri, sofferenze, speranze disattese, trattative infruttuose”. Nella prima corrispondenza “Israele-Hamas: l’accordo per la tregua rimane elusivo siamo a Ramadan. Mentre sul fronte in Ucraina si produce uno screzio fra Biden e Zelen’skyj” scritta il 6 marzo, Gramaglia osserva come “Le trattative per un cessate-il-fuoco nella Striscia di Gaza avviate all’inizio del 2024, in cambio della liberazione degli ostaggi, non approdano a un accordo, quando il Ramadan sta ormai per incominciare – l’inizio è previsto domenica 10 marzo -, con tutti i rischi di accresciuta tensione tra ebrei e musulmani che il ‘Mese del Digiuno’ spesso porta con sé a Gerusalemme e nei territori. I mediatori egiziani, che con quelli del Qatar e degli Stati Uniti hanno cercato di cucire una tregua basata sul rilascio degli ostaggi in mano ad Hamas e ad altri gruppi terroristici in cambio della liberazione di centinaia di detenuti palestinesi dalle carceri israeliane, paiono ora rassegnati al fallimento, nonostante l’ottimismo manifestato a fine febbraio, dal presidente Joe Biden”- Per l’ex direttore dell’Ansa “Il fallimento dei negoziati aumenta la distanza fra Stati Uniti e Israele, specie tra il presidente Biden e il premier israeliano Benjamin Netanyahu”. Contemporaneamente emerge a Gaza “L’incubo della fame dopo la ‘strage del pane’” mentre proseguono nel Mar Rosso gli attacchi degli “Huthi, ribelli sciiti yemeniti appoggiati dall’Iran [contro] navi in navigazione da e per Suez”. Sul fronte ucraino invece gli aiuti statunitensi rimangono bloccati dal Congresso di Washington “impastoiati nelle beghe di politica interna fra democratici e repubblicani” . Nella seconda corrispondenza “L’ombra del plebiscito pro Putin su fame, stragi a Gaza e invasione dell’Ucraina” scritta il 21 marzo, dopo aver riferito del colloquio telefonico fra Biden e Netanyahu del 18 marzo, Gramaglia osserva come “Le vie del negoziato restano aperte. Egitto, Qatar e Stati Uniti continuano a trattare con Israele e Hamas perché si giunga a una tregua e alla liberazione degli ostaggi – tutti o una parte -, in cambio della scarcerazione di detenuti palestinesi. L’intesa pare a un passo, ma non si concretizza”. Tutto ciò mentre alla vigilia del Consiglio Europeo di Bruxelles – osserva Gramaglia – “la premier Giorgia Meloni rinnova il no all’invio di truppe di Paesi della Nato in Ucraina, evocato dal presidente francese Emmanuel Macron dopo una riunione trilaterale, venerdì 15 marzo, con il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il premier polacco Donald Tusk [ricordando altresì che] Non ci saranno sviluppi sull’adesione dell’Ucraina all’Unione europea: Kiev sarebbe pronta a negoziare, ma Bruxelles vuole lasciare passare le elezioni di giugno per il rinnovo del Parlamento europeo”. L’ex direttore dell’Ansa conclude che “Forse percependo la stanchezza – e le paure – dell’Occidente, Putin, prima e dopo essere rieletto, ricorda che, se attaccata sul proprio territorio, la Russia è pronta a usare l’arma nucleare, qualora percepisse minacciate la propria integrità e la propria indipendenza. Ma il presidente russo – conclude Gramaglia -esclude il ricorso all’atomica in Ucraina, non prevede una deriva nucleare dell’attuale conflitto e descrive Biden come “un veterano della politica che capisce i pericoli di un’escalation”. Infine nella terza corrispondenza del 28 marzo intitolata “Su Gaza frattura senza precedenti all’Onu tra Stati Uniti e Israele. Mentre sul fronte russo-ucraina fa un’irruzione devastante il terrorismo integralista” Gramaglia ricorda come “All’Onu, si consuma una frattura senza precedenti tra Stati Uniti e Israele: l’astensione statunitense nel Consiglio di Sicurezza fa approvare una risoluzione che chiede il cessate-il-fuoco immediato nella Striscia di Gaza e la liberazione di tutti gli ostaggi, in cambio della scarcerazione di detenuti palestinesi. Difficile prevedere l’evoluzione a breve e medio termine dei due conflitti, l’invasione dell’Ucraina e la guerra nella Striscia, alla luce di quanto avvenuto – aggiunge Gramaglia – . I russi, che accusano Kiev di essere collusa con i terroristi integralisti, intensificano i bombardamenti, specie sulle installazioni energetiche. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu non intende rispettare l’ingiunzione dell’Onu e cancella la visita a Washington di una delegazione per discutere la situazione a Rafah, nel sud della Striscia. Ma le trattative tra Israele e Hamas, mediate da Qatar, Egitto e Stati Uniti d’America, starebbero facendo progressi: una tregua sarebbe imminente, non imposta dal Palazzo di Vetro, ma concordata nei negoziati”. Secondo l’ex diretttore dell’Ansa “Dopo la strage in Russia crescono gli interrogativi e l’impatto su conflitto e Occidente”: “La strage della sera del 13 continua a porre interrogativi senza risposta ed è uno smacco per Putin, che, meno di una settimana dopo la rielezione plebiscitaria, deve constatare l’esistenza di inefficienze negli apparati di sicurezza russi, che pure erano stati messi sull’avviso dagli 007 americani”. Tutto ciò mentre – scrive Gramaglia “l’Occidente non supera lo stallo degli aiuti da Washington, dove i repubblicani continuano a tenere bloccate per mene elettorali le misure proposte dall’Amministrazione Biden, La retorica americana ripete “Non permetteremo che l’Ucraina soccomba”, ma alle parole non seguono i fatti. Né l’Unione europea può sostituirsi agli Stati Uniti d’America – aggiunge amaramente il giornalista piemontese – . Al Vertice europeo, s’intrecciano istanze contrastanti: la vicinanza all’Ucraina e il desiderio di non esacerbare le opinioni pubbliche”. Per Gramaglia le novità emergono sull’altro fronte dove un’intesa sembra possibile: ” In Medio Oriente, il fatto nuovo più rilevante è diplomatico, non militare: il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato, lunedì 25 marzo, una risoluzione che chiede il cessate-il-fuoco a Gaza. Dopo 170 giorni di guerra e ben oltre 30 mila vittime, è la prima volta che l’Onu produce un testo giuridicamente vincolante su questo conflitto“. “Secondo il segretario di Stato statunitense Antony Blinken, che ha concluso l’ennesima – apparentemente inutile – missione in Medio Oriente, i negoziati tra Israele e Hamas, mediati da Qatar, Egitto e Usa, si stanno “avvicinando a un accordo”, che prevederebbe la liberazione di una quarantina di ostaggi – ne resterebbero meno di cento nelle mani di Hamas – in cambio del rilascio di un numero tra 700 e mille di detenuti palestinesi” conclude Gramaglia osservando come “il conflitto, innescato dagli attacchi terroristici del 7 ottobre, condotti da Hamas in territorio israeliano, con oltre 1200 vittime e la cattura di quasi 300 ostaggi, s’avvia al sesto mese e resta gravido di morti, orrori, tragedie e rischi di estensione”.
01 aprile 2024
Mentre sul fronte in Ucraina si produce uno screzio fra Biden e Zelen’skyj
Israele-Hamas: l’accordo per la tregua rimane elusivo siamo a Ramadan1
Una giovane mamma con il suo bambino a Gaza, dove la situazione umanitaria è disperata (Fonte: Quotidiano.net)
Le trattative per un cessate-il-fuoco nella Striscia di Gaza avviate all’inizio del 20242, in cambio della liberazione degli ostaggi, non approdano a un accordo, quando il Ramadan sta ormai per incominciare – l’inizio è previsto domenica 10 marzo -, con tutti i rischi di accresciuta tensione tra ebrei e musulmani che il ‘Mese del Digiuno’ spesso porta con sé a Gerusalemme e nei territori. I mediatori egiziani, che con quelli del Qatar e degli Stati Uniti hanno cercato di cucire una tregua basata sul rilascio degli ostaggi in mano ad Hamas e ad altri gruppi terroristici in cambio della liberazione di centinaia di detenuti palestinesi dalle carceri israeliane, paiono ora rassegnati al fallimento, nonostante l’ottimismo manifestato a fine febbraio, dal presidente Joe Biden. Ma sviluppi a sorpresa, in questo contesto, sono sempre possibili. La guerra entra nel sesto mese e continua: nella Striscia di Gaza, dove i morti hanno superato quota 30 mila; e in CisGiordania, al confine tra Israele e Libano, nel Mar Rosso, dove domenica 3 marzo 2024 è entrata in azione per la prima volta una nave italiana, il cacciatorpediniere Duilio. E si combatte sempre anche sui fronti dell’Ucraina: da mesi, Kiev non riceve più aiuti occidentali nella misura sperata. Le guerre sono una componente della notte elettorale statunitense del SuperMartedì, tornata di primarie determinante verso le elezioni presidenziali del 5 novembre – Joe Biden e Donald Trump vincono entrambi a mani basse -. Trump esprime in forma più esplicita che mai finora il sostegno a Israele nella guerra a Gaza, proprio mentre cresce la pressione, dentro e fuori gli Stati Uniti, perché Washington metta un freno all’alleato. “Sì”, risponde in magnate, a chi sulla Fox gli chiede se sia “nel campo di Israele”. L’intervistatore incalza: l’ex presidente – chiede – “condivide” il modo in cui Israele conduce l’offensiva nella Striscia?
“Sì – risponde il magnate -: deve risolvere il problema”.
Il cacciatorpediniere Duilio della Marina militare italiana (Fonte: Start Magazine)
Invece, Biden incappa in uno screzio ucraino. La first lady ucraina Olona Zelenska declina l’invito a seguire dalla tribuna degli ospiti, accanto alla first lady Jill Biden, il discorso sullo stato dell’Unione del presidente giovedì 7 marzo in serata. Gli ucraini non apprezzano che, accanto a Jill, debba pure esserci la vedova dell’oppositore russo Aleksej Naval’nyj, perché per il defunto dissidente la Crimea è russa. Alla fine, non ci saranno né Olona né Yulia.
Una delle immagini su Vogue di Olena Zelen’skyj
Biden e Netanyahu sempre più distanti
Il fallimento dei negoziati aumenta la distanza fra Stati Uniti e Israele, specie tra il presidente Biden e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Un segno delle frizioni e nel contempo delle esitazioni di Biden di fronte all’ipotesi di una rottura è la visita a Washington, non concordata con il premier, di Benny Gantz, ex capo del governo, leader di un partito di centro rivale del Likud di Netanyahu: Gantz viene ricevuto a Washington dalla vice-presidente Kamala Harris, dal segretario di Stato Antony Blinken e da vari altri esponenti dell’Amministrazione democratica, ma non dal presidente. Gantz, che ha accettato di fare parte del governo di guerra, è un successore di Netanyahu in pectore, quando la situazione si stempererà e si potranno trarre le conseguenze politiche di quanto avvenuto, dal 7 ottobre 2023– i raid terroristici in territorio israeliano, con 1200 vittime e circa 300 ostaggi presi – in poi (gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas e dei suoi satelliti dovrebbero essere 130, ma alcuni di essi si ritiene siano morti). A Gantz, Harris chiede un immediato cessate-il-fuoco a Gaza e la disponibilità a lasciare giungere nella Striscia più aiuti, specie dopo la ‘strage del pane’, giovedì 29 febbraio, quando almeno 112 palestinesi sono morti nella calca innescata da colpi di arma da fuoco esplosi da militari israeliani, mentre era in atto una distribuzione di pane, farina e altri viveri. Sulle cause e le circostanze dell’episodio tragico e odioso, ancora s’indaga.
L’incubo della fame dopo la ‘strage del pane’
Fonti sanitarie palestinesi riferiscono che l’80 per cento delle vittime avevano ferite aperte, il che fa pensare che stano stati raggiunti da colpi da arma da fuoco piuttosto che calpestati. La versione d’Israele è che la maggior parte delle persone sia morta in una calca e che i militari israeliani abbiano sparato solo quando si sono sentiti minacciati. Il segretario generale dell’Onu António Guterres si dice “sconvolto” dalla carneficina e ha subito rinnovato la richiesta di un immediato cessate-il-fuoco e di un rilascio incondizionato degli ostaggi. Stante la gravità della crisi umanitaria e alimentare, e la difficoltà di distribuire gli aiuti via terra, gli Stati Uniti hanno iniziato a paracadutare viveri e generi di conforto nella Striscia. Le restrizioni agli aiuti umanitari tuttora imposte da Israele condannano a denutrizione e fame centinaia di migliaia di persone nella Striscia di Gaza. Funzionarti delle organizzazioni umanitarie riferiscono che le limitazioni agli ingressi, le ispezioni meticolose e le modalità di distribuzione caotiche hanno prodotto una carestia non naturale, ma “provocata dall’uomo”: martedì 5 marzo, una decina di bambini sarebbero morti letteralmente di inedia. Invece, le Nazioni Unite, al termine di una loro inchiesta, anno trovato “chiari e convincenti indizi” che vittime del 7 ottobre e ostaggi a Gaza abbiano subito abusi sessuali e stiano tuttora subendoli. Tuttavia, il team di esperti dell’Onu non ha potuto parlare con nessuna delle vittime delle violenze: la maggior parte delle prove raccolte sono “circonstanziali”. Per Pramila Patten, l’inviata speciale delle Nazioni Unite, la mancanza di superstiti o di testimoni disponibili rende difficile raccogliere testimonianze di prima mano. E si continua a indagare sulle accuse di violenze sui detenuti da parte d’Israele. L’Agenzia dell’Onu per i rifugiati, messa sotto accusa da Israele per asseriti episodi di connivenza con i terroristi di Hamas, accusa a sua volta Israele di trattenere e di sottoporre a tortura alcuni suoi collaboratori, costringendoli a confessare legami inesistenti con Hamas e con altre sigle terroristiche palestinesi. E si scopre che Israele ha piani per dare la caccia ai terroristi del 7 ottobre ovunque essi si trovino e ovunque essi fuggano: le rivelazioni di stampa non sorprendono, vista la storia di Israele di sapere rintracciare e colpire i suoi aguzzini, che fossero criminali nazisti o terroristi di diversa estrazione.
Huthi all’attacco nel Mar Rosso, nave Duilio risponde
La guerra prosegue pure nel Mar Rosso, dove gli Huthi, ribelli sciiti yemeniti appoggiati dall’Iran, continuano ad attaccare navi in navigazione da e per Suez. La notte fra il 5 e il 6 marzo, gli Stati Uniti hanno abbattuto un missile anti-nave e tre droni lanciati dallo Yemen, secondo quanto riferisce il Comando Centrale di Tampa in Florida: l’azione dei ribelli non ha causato né morti né feriti. Nel primo fine settimana di marzo, era entrato in azione il cacciatorpediniere italiano Duilio, intercettando e neutralizzando un drone diretto contro di lui. Il capitano di vascello Andrea Quondamatteo, comandante della nave, descrive così l’azione:
“In navigazione nel Mar Rosso, abbiamo localizzato una traccia aerea sconosciuta. Il profilo era minaccioso e, a seguito di riconoscimento ottico attraverso i sensori di bordo di un drone della stessa tipologia e comportamento di quelli che si sono già resi autori degli attacchi al traffico mercantile in area, Nave Duilio ha reagito per autodifesa”.
Sulla scia di quanto accaduto, il Parlamento italiano ha autorizzato a larghissima maggioranza, martedì 5 marzo, la partecipazione italiana alla missione europea nel Mar Rosso Aspides, l’operazione “scudo” a difesa delle navi commerciali dagli attacchi Huthi. C’è anche il timore di un disastro ecologico nel Mar Rosso, dopo l’affondamento di una nave che trasportava fertilizzanti, dannosi per la fauna e la flora marine, specie per la barriera corallina.
Ucraina, aiuti statunitensi bloccati, scaramucce d’intelligence
La guerra in Ucraina continua a essere fatta di colpi a distanza, con droni, missili, raid aerei, più che di movimenti del fronte, che è sostanzialmente statico, anche se le fonti ucraine trasmettono un’impressione di fragilità e di debolezza delle loro linee difensive.
E il Congresso di Washington non sblocca gli aiuti militari e finanziari, impastoiati nelle beghe di politica interna fra democratici e repubblicani Gli ucraini rivendicano il successo dell’affondamento – non è il primo – di un’unità russa al largo della Crimea, un modernissimo pattugliatore. È l’ennesima conferma della vulnerabilità della flotta di Mosca nel Mar Nero.
L’incrociarsi di attacchi aerei reciproci è esemplificato, nel primo fine settimana di marzo, dall’incursione d’un drone su San Pietroburgo, seconda città russa e città natale del presidente Vladimir Putin, mentre droni russi raggiungevano Odessa, facendo almeno una dozzina di vittime civili, fra cui cinque bambini. Il Ministero della Difesa britannico stima che i russi abbiano subito, nei due anni dall’invasione, 355 mila perdite tra morti e feriti – le fonti ucraine situano i loro caduti a 31 mila e quelli russi a oltre 420 mila -. Le perdite russe molto elevate – e comunque non confermate – sarebbero dovute alla tendenza di Mosca a condurre una “guerra d’attrito”.
Secondo fonti ucraine, nella sola giornata del 4 marzo i russi avrebbero perso 1.250 soldati. Impossibile verificare l’attendibilità delle cifre: dall’inizio dell’invasione, Kiev sostiene di avere distrutto 6.678 carri armati russi, 12.728 veicoli corazzati da combattimento, 10.308 sistemi di artiglieria, 1.008 sistemi missilistici a lancio multiplo e 701 sistemi di difesa aerea; di avere abbattuto 347 caccia russi, 325 elicotteri, 7.921 droni, 1.918 missili da crociera; e di avere annientato 26 navi da guerra e un sottomarino.
Le cronache registrano soprattutto batti e ribatti diplomatici e fughe di notizie che creano imbarazzi nelle cancellerie occidentali. La Germania finisce sulla giostra delle polemiche perché un colloquio non adeguatamente protetto, fra militari di rango, circa la fornitura all’Ucraina di missili Taurus, viene diffuso sui media russi e suscita aspre reazioni, specie dopo la sortita del presidente francese Emmanuel Macron, poi precisata e ridimensionata, sul possibile invio in Ucraina di truppe Nato. Secondo Politico, il Cremlino, più che essere infuriato per l’ipotetica fornitura di missili Taurus – armi tedesco-svedesi capaci di colpire in profondità il territorio russo -, è “gongolante” per avere “umiliato”, e imbarazzato Berlino, rivelando le conversazioni fra generali ‘intercettate’ sul telefono di un hotel di Singapore e diffuse nel giorno dei funerali di Naval’nyj.
Prosegue il lavorio diplomatico verso il vertice atlantico di luglio a New York, nel 75° anniversario della Nato. L’avvicendamento a segretario generale del norvegese Jens Stoltenberg con l’olandese Mark Rutte pare scontato, ma i Paesi dei Baltici e dell’Europa orientale avanzano richieste di posti che contano nell’Alleanza.
E fa scalpore la notizia che Victoria Nuland, il terzo diplomatico statunitense più alto in grado, un ‘falco’ frequente bersaglio di critiche per le sue posizioni aggressive sulla Russia e Ucraina, va in pensione e lascia l’incarico in questo mese di marzo: lo annuncia il Dipartimento di Stato. Nuland aveva prestato servizio all’ambasciata americana a Mosca nei tumultuosi anni Novanta ed era lì durante il tentativo di colpo di Stato contro l’allora presidente russo Boris Eltsin. Nuland fu pure presente sulla piazza Maidan a Kiev nella protesta popolare del 2014. Diplomatica di carriera, servì come assistente del segretario di Stato per l’Europa sotto l’Amministrazione Obama e si fece da parte durante l’Amministrazione Trump. Con Biden, era divenuta sotto-segretario di Stato per gli affari politici e sperava di succedere a Wendy Sherman, andata in pensione nel 2023, come vice-segretario di Stato. Ma Biden ha scelto Kurt Campbell e ora Nuland lascia.
L’ombra del plebiscito pro Putin su fame, stragi a Gaza e invasione dell’Ucraina3
Il presidente russo Vladimir Putin celebra sulla Piazza Rossa la sua vittoria e il 10° anniversario dell’annessione della Crimea (Fonte: Stream 24 – Il Sole 24 Ore)
Nella Striscia di Gaza, la catastrofe umanitaria è immanente da mesi, la fame e la carestia hanno già fatto vittime e stanno per divenire devastanti. L’allarme parte da Roma, dove ha sede il Programma alimentare mondiale, un’agenzia dell’Onu: il 70 per cento dei palestinesi della Striscia, un milione e mezzo di persone, rischiano di non avere da mangiare. Praticamente chiunque abita a Gaza ha già difficoltà a procurarsi il cibo e 210 mila persone nel Nord, al confine con Israele, sono al livello 5, il più alto nella scala della crisi da fame. Dall’Unione europea, partono critiche a Israele: il premier belga Alexander De Croo – il Belgio ha la presidenza di turno del Consiglio dei Ministri dei 27 – denuncia il ricorso alla fame come “arma di guerra” e sollecita Israele ad abbandonare i piani per un’offensiva di terra nella città di Rafah; Josep Borrell, capo della diplomazia europea, gli va in scia, ripropone la denuncia dell’uso della fame come “arma di guerra”:
“Al valico di Rafah – dice -, le derrate alimentari vengono bloccate. Non sono mai stati registrati livelli di insicurezza alimentare simili in nessuna parte del Mondo”.
Parlandosi al telefono lunedì 18 marzo 2024- la prima volta dal 15 febbraio -, il presidente statunitense Joe Biden e il premier israeliano Benjamin Netanyahu hanno discusso per oltre un’ora delle divisioni che si sono accentuate fra i due Paesi alleati, in particolare sul dramma umanitario e alimentare di Gaza e sulla condotta della guerra, che continua a registrare episodi raccapriccianti. C’è stata di nuovo battaglia all’ospedale di al Shifa: circa 50 le vittime e circa 80 gli arresti (tra i morti Fàaq Mabhouh, capo della sicurezza interna di Hamas). E nella notte tra martedì 19 e mercoledì 20 marzo 2024 una trentina di persone sono state uccise in un bombardamento israeliano sul campo profughi di Nuseirat.
Le vie del negoziato restano aperte. Egitto, Qatar e Stati Uniti continuano a trattare con Israele e Hamas perché si giunga a una tregua e alla liberazione degli ostaggi – tutti o una parte -, in cambio della scarcerazione di detenuti palestinesi. L’intesa pare a un passo, ma non si concretizza. Gli sviluppi del conflitto in Medio Oriente e quelli dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia si collocano sullo sfondo delle presidenziali in Russia: una sorta di plebiscito per Vladimir Putin, che ne esce oggettivamente legittimato e rafforzato, nonostante il voto non sia stato, recitano in coro le cancellerie occidentali, “né libero né equo” e rifletta “il momento cupo della democrazia globale” – il giudizio è di Ishaan Tharoor, sul Washington Post.4
Ne hanno parlato, giovedì 21 e venerdì 22 marzo, a Bruxelles, i capi di stato e/o di governo dei Paesi dell’Unione europea, che hanno pure in agenda, sui fronti interni, bilancio e migranti. Illustrando in Parlamento la posizione dell’Italia al Vertice, la premier Giorgia Meloni rinnova il no all’invio di truppe di Paesi della Nato in Ucraina, evocato dal presidente francese Emmanuel Macron dopo una riunione trilaterale, venerdì 15 marzo, con il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il premier polacco Donald Tusk. Non ci saranno sviluppi sull’adesione dell’Ucraina all’Unione europea: Kiev sarebbe pronta a negoziare, ma Bruxelles vuole lasciare passare le elezioni di giugno per il rinnovo del Parlamento europeo. A rassicurare i leader dell’Unione europea, che, con poche eccezioni, sono anche leader della Nato, non bastano certo le ultime parole dell’ex presidente Usa Donald Trump, che dopo avere minacciato “un bagno di sangue” se non sarà eletto, salvo poi dire che si riferiva ai posti di lavoro nel settore dell’auto, avrebbe detto che “non lascerà la Nato, se l’Europa paga quel che deve”. La confidenza sarebbe stata fatta a Nigel Farage, l’uomo della Brexit – e già questo appare incongruo -; e suona solo parziale correzione di tiro rispetto alla precedente affermazione, secondo cui gli alleati degli Stati Uniti d’America che non pagano saranno lasciati al loro destino, anzi segnalati a Putin perché ne faccia quel che vuole.
[…]
Guerra fra Israele e Hamas: scene dalla Striscia di Gaza
Il conflitto nella Striscia, innescato dal massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023 con 1.200 morti e centinaia di ostaggi catturati al 170° giorno vede un bilancio di oltre 31 mila palestinesi uccisi, nella stragrande maggioranza civili, donne, bambini. Lo Stato ebraico ha perso 250 militari. Vivissime le polemiche sulla situazione dei civili. Philippe Lazzarini, capo dell’agenzia dell’Onu per i rifugiati, protesta perché l’esercito israeliano non gli permette di entrare nella Striscia. Il crescente distacco tra Stati Uniti e Israele trova conferma nelle parole del capo dei senatori democratici a Washington, Chuck Schumer definisce Netanyahu un ostacolo alla pace e sollecita nuove elezioni e una nuova leadership israeliana: la sua è la più aspra critica statunitense a Israele ed è un sintomo di quanto alta sia nell’Amministrazione democratica la frustrazione nei confronti di Netanyahu.
Corpi sepolti in una fossa comune nella Striscia di Gaza (Fonte: Ap)
Preoccupano pure i riflessi interni agli Stati Uniti, sul piano della sicurezza con atti di antisemitismo e di islamofobia, e su quello elettorale, con gli elettori arabo-americani e di sinistra che contestano all’Amministrazione Biden la sterilità degli appelli alla moderazione nell’uso della forza sui civili, alla tregua e agli aiuti umanitari. Sul piano militare, Israele è certa di avere eliminato Marwan Issa, il comandante di Hamas più alto in grado fin qui ucciso in questa guerra. Issa avrebbe avuto un ruolo centrale nell’organizzazione degli attacchi terroristici del 7 ottobre e nelle operazioni nella Striscia. Una ricostruzione mediatica mette in dubbio la versione data dall’esercito israeliano di un episodio bellico del 7 gennaio, in cui furono uccisi due giornalisti al Al Jazeera, Hamza Dahdouh e Mustafa Thuraya, due dei circa 90 operatori dell’informazione ammazzati nella Striscia dal 7 ottobre 2023: è stato il periodo più letale per i professionisti dell’informazione da quando, nel 1992, il Committee to Protect Journalists ha iniziato a raccogliere i dati.
Stasi al fronte in Ucraina e negli aiuti a Kiev, angosce nucleari
Soldati al fronte feriti nella guerra in Ucraina (Fonte: Ap)
In Ucraina, le elezioni russe non hanno visto un rallentamento di bombardamenti e combattimenti. La vigilia del voto coincideva con i dieci anni dall’annessione della Crimea alla Russia nel 2014: Sergej Lavrov, ministro degli Esteri, esclude che si torni indietro,
“La penisola è parte integrante della Federazione russa”.
Lunedì 18 marzo, nella festa per celebrare la rielezione sulla Piazza Rossa, Putin lo ribadisce. E il concetto, per Mosca, si estende ai quattro territori annessi nel 2022. Le notti sono la scena di attacchi con droni e missili: Odessa viene ripetutamente colpita, come pure in Russia Belgorod, dove le autorità chiudono scuole e centri commerciali per alcuni giorni. Secondo fonti ucraine, nella regione meridionale russa di Samara sono state colpite tre raffinerie, che lavorano 25 milioni di tonnellate di greggio l’anno, pari a quasi il 10 per cento delle scorte russe. Mentre gli aiuti militari statunitensi restano bloccati dalle beghe politiche tra democratici e repubblicani, tutte in chiave elezioni presidenziali del 5 novembre – e l’Amministrazione Biden sembra quasi averne perso la speranza -, l’Unione europea ufficializza, dopo settimane di cincischii burocratici, aiuti a Kiev per 5 miliardi di euro, che, però, come mette in evidenza Politico, sono essenzialmente recuperi e reimpieghi di somme già stanziate. Forse percependo la stanchezza – e le paure – dell’Occidente, Putin, prima e dopo essere rieletto, ricorda che, se attaccata sul proprio territorio, la Russia è pronta a usare l’arma nucleare, qualora percepisse minacciate la propria integrità e la propria indipendenza. Ma il presidente russo esclude il ricorso all’atomica in Ucraina, non prevede una deriva nucleare dell’attuale conflitto e descrive Biden come
“un veterano della politica che capisce i pericoli di un’escalation”.
Mentre sul fronte russo-ucraina fa un’irruzione devastante il terrorismo integralista
Su Gaza frattura senza precedenti all’Onu tra Stati Uniti e Israele5
Una scena dell’attentato a Mosca (Fonte: Euronews)
Il terrorismo integralista fa un’irruzione devastante sul fronte russo-ucraino e desta allarmi in tutta l’Europa nella settimana di Pasqua. All’Onu, si consuma una frattura senza precedenti tra Stati Uniti e Israele: l’astensione statunitense nel Consiglio di Sicurezza fa approvare una risoluzione che chiede il cessate-il-fuoco immediato nella Striscia di Gaza e la liberazione di tutti gli ostaggi, in cambio della scarcerazione di detenuti palestinesi. Difficile prevedere l’evoluzione a breve e medio termine dei due conflitti, l’invasione dell’Ucraina e la guerra nella Striscia, alla luce di quanto avvenuto. I russi, che accusano Kiev di essere collusa con i terroristi integralisti, intensificano i bombardamenti, specie sulle installazioni energetiche. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu non intende rispettare l’ingiunzione dell’Onu e cancella la visita a Washington di una delegazione per discutere la situazione a Rafah, nel sud della Striscia. Ma le trattative tra Israele e Hamas, mediate da Qatar, Egitto e Stati Uniti d’America, starebbero facendo progressi: una tregua sarebbe imminente, non imposta dal Palazzo di Vetro, ma concordata nei negoziati.
Sussulti sui fronti interni in Ucraina e in Russia dopo l’attacco terroristico a Mosca
L’attacco terroristico di venerdì sera 15 marzo in una sala concerti alla periferia di Mosca, affollata di migliaia di persone, fa almeno 140 vittime, fra cui tre bambini, e 180 feriti. Il presidente russo Vladimir Putin ne attribuisce inizialmente la responsabilità all’Ucraina, ma poi, sulla scorta di dati di fatto e informazioni di intelligence, riconosce la matrice dell’Isis K, che ha del resto rivendicato l’azione, ma continua a evocare complicità ucraine. Kiev nega ogni complicità e ridicolizza le affermazioni russe Gli attentatori vengono intercettati e catturati mentre apparentemente cercavano di profittare di un varco per raggiungere l’Ucraina, lungo una frontiera – si osserva – presidiata dalle forze d’invasione russe, non dai doganieri ucraini. Ancora più inverosimile della matrice ucraina appare la tesi di una provocazione russa, per suscitare nel Paese un’ondata di indignazione anti-ucraina e infondere nella popolazione nuove motivazioni patriottiche. Inverosimile, in primo luogo, perché l’attentato non giova all’immagine di Putin e ne intacca l’aura di uomo capace di proteggere la Russia dai suoi nemici.
Zelens’kyj, dal canto suo, deve porre riparo al tentativo di numerosi giovani di sottrarsi alla chiamata alle armi e cerca di accelerare con ingenti finanziamenti pubblici lo sviluppo di fabbriche di armi e munizioni autoctone, sperando che bastino a ricacciare indietro i russi o, almeno, a fermarli. Kiev vive l’ennesimo repulisti governativo anti-corruzione, con la destituzione di Oleksiy Danilov, consigliere per la sicurezza nazionale.
I due popoli, il russo e l’ucraino, appaiono entrambi provati dal conflitto e stanchi di combattere. Uno studio per il Centro Studi federalisti di Torino del professore Antonio Padoa Schioppa ipotizza una tregua: il tempo della trattativa, forse, s’avvicina, anche se la retorica resta bellica: Mosca dice “Combattiamo per i nostri interessi vitali”; Kiev denuncia comportamenti “malati e cinici”.
All’interno, Putin è criticato per una politica di sicurezza rivolta contro oppositori e gruppi Lgbtq+, che lascia, però, porose le frontiere esterne. Il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba fa eco alle parole controverse del presidente francese Emmanuel Macron e avverte:
“Sebbene l’Ucraina non abbia mai chiesto truppe da combattimento europee sul terreno”, i leader europei devono abituarsi all’idea che “questo potrebbe succedere”.
Dopo la strage in Russia crescono gli interrogativi e l’impatto su conflitto e Occidente
La strage della sera del 13 continua a porre interrogativi senza risposta ed è uno smacco per Putin, che, meno di una settimana dopo la rielezione plebiscitaria, deve constatare l’esistenza di inefficienze negli apparati di sicurezza russi, che pure erano stati messi sull’avviso dagli 007 americani, erano anche stati diramati avvisi ai cittadini statunitensi perché evitassero i luoghi affollati.
Veglia di preghiere a Mosca dopo l’attentato (Fonte: Euronews)
Il teatro dell’attacco è il Crocus Auditorium, dove si esibivano i Picnic, una band molto popolare: un commando di terroristi – i quattro arrestati sono tutti tagiki, prezzolati più che arruolati, mercenari del terrore per 5 mila euro – è entrato sparando all’impazzata sul pubblico, nella hall, poi in platea e nella galleria. Una scena che ricorda l’attacco al Bataclan di Parigi il 13 novembre 2015. Intercettati in fuga a circa 400 chilometri dalla capitale russa, presi vivi, ma malmenati e malridotti, i quattro parlano, confessano, “confermano la pista ucraina”: dichiarazioni non spontanee, la cui attendibilità va verificata. L’intelligence russa insiste sulla chiamata in causa dell’Ucraina di Putin; estende le accuse, senza però darne prove, a Stati Uniti e Gran Bretagna; afferma che gli attentatori “sono stati addestrati da Kiev in Medio Oriente”, basandosi sugli interrogatori dei tagiki, che compaiono in tribunale pestati a sangue. Da Kiev, replica il consigliere di Zelensky Mykhailo Podolyak:
“La ‘pista ucraina’ suscita, anche nei Paesi neutrali, totale incredulità”.
Il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko, l’alleato più fedele di Putin, stavolta lo contraddice: afferma che i terroristi volevano fuggire in Bielorussia, non in Ucraina. Dal canto suo, l’Isis, dopo la rivendicazione del massacro, pubblica video dell’attacco sui suoi siti, corroborando le proprie affermazioni.
Che Kiev c’entri o meno – l’intelligence occidentale lo esclude -, la Russia, nelle notti successive, scatena attacchi senza precedenti da oltre un anno sulle installazioni energetiche ucraine, usando – pare – anche ordigni ipersonici e di fabbricazione nord-coreana: ci sono danni, vittime, feriti, pure nella capitale. Tra sabato 23 e domenica 24 marzo 2024, un cruise entra per breve tempo nello spazio aereo polacco, suscitando allarme e proteste. L’Ucraina accusa il colpo: è a corto di difese contraeree, come il presidente Zelens’kyj aveva detto, intervenendo al Vertice europeo del 21 e 22 marzo; e manca anche di uomini e di munizioni.
E l’Occidente non supera lo stallo degli aiuti da Washington, dove i repubblicani continuano a tenere bloccate per mene elettorali le misure proposte dall’Amministrazione Biden, La retorica americana ripete “Non permetteremo che l’Ucraina soccomba”, ma alle parole non seguono i fatti.
Né l’Unione europea può sostituirsi agli Stati Uniti d’America.
Al Vertice europeo, s’intrecciano istanze contrastanti: la vicinanza all’Ucraina e il desiderio di non esacerbare le opinioni pubbliche. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz propone di utilizzare i profitti derivanti dai beni russi congelati per acquistare armi e munizioni destinate all’Ucraina:
“Putin sbaglia i calcoli se crede che non vorremo sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario… L’utilizzo dei profitti degli beni russi congelati è un tassello piccolo ma importante”.
Il capo della diplomazia europea Josep Borrell rileva un consenso generale sulla proposta tedesca, ma aggiunge:
“Non bisogna impaurire la gente inutilmente, la guerra in Europa non è imminente”.
Borrell si riferisce alle sortite di Macron sull’invio di truppe della Nato in Ucraina, che hanno indubbiamente avvicinato, nella percezione pubblica, la prospettiva di coinvolgimento nel conflitto. Al quotidiano spagnolo El Paìs il premier ucraino Denys Shmyhal dichiara:
“Agli alleati chiediamo addestratori”.
Ma anche su questo scenario, il Cremlino avvisa: l’invio di contingenti militari Nato in Ucraina può portare a
“conseguenze molto negative, persino irreparabili”.
In Medio Oriente dopo la frattura fra Stati Uniti e Israele all’Onu, un’intesa sembra possibile
In Medio Oriente, il fatto nuovo più rilevante è diplomatico, non militare: il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato, lunedì 25 marzo, una risoluzione che chiede il cessate-il-fuoco a Gaza. Dopo 170 giorni di guerra e ben oltre 30 mila vittime, è la prima volta che l’Onu produce un testo giuridicamente vincolante su questo conflitto. Il documento ha ottenuto 14 voti a favore e l’astensione degli Stati Uniti d’America, che in passato avevano sempre posto il veto in casi del genere:
si “chiede un cessate-il-fuoco immediato per il Ramadan rispettato da tutte le parti che conduca ad un cessate-il-fuoco durevole e sostenibile e il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi, nonché la garanzia dell’accesso umanitario per far fronte alle loro esigenze mediche e umanitarie”.
L’approvazione della risoluzione è stata salutata in aula con un lungo applauso: pone fine alla serie di ripicche tra Stati Uniti, da una parte, e Russia e Cina, dall’altra, che avevano reciprocamente posto veti ai documenti presentati sulla crisi mediorientale. Soddisfazione è stata espressa anche da Hamas, che ora è pronto a uno “scambio di prigionieri”, mettendo ostaggi e detenuti sullo stesso piano.
Ma l’astensione degli Stati Uniti incrina ulteriormente i rapporti tra Netanyahu e il presidente statunitense Joe Biden, contrariato dalle scelte del premier e contrario all’attacco su Rafah. Anche Macron dice a Netanyahu che entrare a Rafah sarebbe “un crimine di guerra”. Israele, che non prende in considerazione il cessate-il-fuoco ordinato dall’Onu, ritira la delegazione che era a Washington proprio per discutere di Rafah; e dice di avere pure ritirato la delegazione che partecipa ai negoziati in Qatar – affermazione però smentita in loro: rappresentanti di Israele sono ancora lì -. Il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca John Kirby si dice “molto deluso” dall’atteggiamento israeliano e spiega l’astensione all’Onu:
“Siamo chiari e coerenti nel nostro sostegno a un cessate-il-fuoco come parte di un accordo per la liberazione degli ostaggi… Avremmo voluto sostenere la risoluzione, ma la versione finale non ha un passaggio che noi pensiamo sia essenziale, cioè la condanna di Hamas… Dunque, non potevamo approvarla…”.
Secondo il segretario di Stato statunitense Antony Blinken, che ha concluso l’ennesima – apparentemente inutile – missione in Medio Oriente, i negoziati tra Israele e Hamas, mediati da Qatar, Egitto e Usa, si stanno “avvicinando a un accordo”, che prevederebbe la liberazione di una quarantina di ostaggi – ne resterebbero meno di cento nelle mani di Hamas – in cambio del rilascio di un numero tra 700 e mille di detenuti palestinesi.
Nel nuovo clima creato dal voto all’Onu, Netanyahu parla di proposte “ridicole” e “irrealistiche” ed esclude un ritiro delle forze israeliane da Gaza; anzi, insiste su necessità e imminenza di un’azione di terra a Rafah, dove oltre un milione di palestinesi in fuga dal nord della Striscia sono ammassati. Trattative diplomatiche e drammi umanitari fanno da sfondo agli sviluppi bellici, anche al confine tra Libano e Israele e nel Mar Rosso: il conflitto, innescato dagli attacchi terroristici del 7 ottobre, condotti da Hamas in territorio israeliano, con oltre 1200 vittime e la cattura di quasi 300 ostaggi, s’avvia al sesto mese e resta gravido di morti, orrori, tragedie e rischi di estensione.
- Scritto il 6 marzo 2024 per La Voce e il Tempo Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2024/03/07/guerre-israele-gaza-ucraina-2/ ↩︎
- Giampiero Gramaglia, “Gli effetti devastanti della guerra tra Israele e Hamas. 12. Speranze di pace, notizie d morte. L situazione delle due guerre Israele-Hamas e Ucraina all’inizio del 2024”, Democrazia futura, III (12-A), ottobre-dicembre 2023, pp. 1488-1489. Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2024/01/03/guerre-israele-ucraina/ ↩︎
- Scritto il 21 marzo 2024 per The Watcher Post. Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2024/03/21/guerre-ombra-plebiscito-putin/ ↩︎
- Tema che approfondisco in questo stesso fascicolo: Giampiero Gramaglia, “Putin vince ed evoca lo spettro di unaTerza Guerra mondiale”. Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2024/03/18/putin-quasi-un-plebiscito/#google_vignette ↩︎
- Scritto il 28 marzo 2024 per The Watcher Post. Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2024/03/28/guerre-ucraina-gaza/ ↩︎
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