Boots on the groundcon un esercito e difesa comune UE per uscire dalla guerra ed entrare nella pace
Siamo al “grande paradosso” che per uscire dalla guerra ed entrare nella pace servono una difesa comuni e dunque un esercito UE? Serve per sostenere l’Ucraina nel difficile negoziato che si avvicina soprattutto ora che Zelensky alza le mani e dichiara: “ho perso“. Serve di fronte alla fragilità delle incerte politiche trumpiane. Ma i dubbi sorgono veloci. Forse non ha senso dichiarare che “si è perso ” a guerra in corso? Forse Zelensky non ha più tutto sotto controllo ma intanto lancia il guanto provando a mantenere le posizioni nel Kursk e con l’omicidio del Generale Kirillov cervello della biowar nel cuore di Mosca e dal quale ci si aspetta una reazione durissima. Eppure un segnale a Putin che se avesse vinto la battaglia (tatticamente) non necessariamente avrebbe vinto anche la guerra (strategicamente). Putin si dice disponibile a trattare ma solo dopo nuove elezioni in Ucraina perché Zelensky sarebbe “scaduto” e “non legittimato” a condurre negoziati di pace. Ma è evidente che elezioni non si possono fare in uno stato di guerra e certo Putin non è lui stesso legittimato a decidere della legittimità di un paese sovrano che ha portato al collasso per ragioni mai chiarite della “Operazione Speciale” nonostante gli Accordi internazionali e la cessione-restituzione delle armi nucleari russe che erano rimaste sul suolo ucraino. Dunque “stallo” in attesa di Trump e di un “segno di sopracciglia” della Cina?
Europa divisa sull’orizzonte di pace tra pro-Putin e anti-Putin, “trasversale” tra destra e sinistra ma convergente tra i nazional-sovranismi di tutte le sponde. Perché il tema è cosa fare e – soprattutto – per quale pace che ridefinisca non solo i confini geografici ma anche quelli geopolitici (ed economici) per una sostantiva e stabile convivenza pacifica?
Parte una trattativa nella peggiore delle condizioni (per tutti, visti i milioni di morti) dopo tre anni di una guerra sciagurata e senza senso, oltre che sanguinosa con milioni di morti e distruzione di quasi tutto c’era di civile e civico in Ucraina e tuttavia con un popolo resistente m ora stremato e disposto a “lasciare territori contro pace”. Una pace che significhi dunque anche rispetto e dunque responsabilità: Putin ne sarà capace e ne avrà la volontà appropriata?
Sappiamo come europei cosa gli ucraini vogliono effettivamente dopo un tale immenso disastro umano e civile ?
Di quale Europa necessitiamo con un Putin che alza il prezzo e “detta le condizioni” delegittimando l’Ucraina dicendo che vuole negoziare solo con i grandi e quindi (solo) con Trump ? Certo l’UE non può (e non deve) consentire che l’Ucraina venga “estromessa” dai negoziati e fare da garante di questa condizione imprescindibile per ogni negoziato anche nei confronti di Trump. Perché Putin non può (né deve) scegliere anche con chi negoziare cancellando l’Ucraina dalle carte geografiche, perché significherebbe arretrare il confine est dell’Europa lungo quasi 1000 chilometri e dunque la sua sconfitta politica assieme alla conseguita marginalità ucraina. Questa la “linea rossa” che non può essere attraversata. Quindi l’Europa dovrà impegnarsi a “proteggere” l’Ucraina (e se stessa) nel negoziato dalle umiliazioni del dittatore russo realizzando quell’esercito UE che finora è mancato ma ora sempre più urgente e necessitato. Non possiamo permetterci come europei di abbandonare il popolo ucraino alla “follia russa” perché ne va della nostra sicurezza oltre che della nostra anima e del rispetto del diritto internazionale sul quale non possiamo transigere o surfare come in epoche precedenti.
Non dimentichiamo che “tatticamente” Putin avrebbe “vinto” sottraendo territorio (Crimea e Donbass), ma strategicamente la Russia la guerra l’ha persa diventando di fatto un “agente subordinato” (un servente?) della Cina. Quindi non è più solo un tema di confini geografici ma di un equilibrio geopolitico ed economico da considerare e valutare nel suo complesso.
Gli USA hanno umiliato i russi vincendo la “guerra fredda” e abbattendo l’Unione Sovietica senza aver dovuto cedere territorio – potremmo dire – ma essendo stata ridotta di fatto a “potenza regionale” rispetto alla forza emergente del Dragone. Ora Putin cerca di “rinascere” con la distruzione dell’Ucraina e lo “scalpo di Zelensky” (termine usato in talk show russi da alcuni politici) che noi europei non possiamo consentire. Eppure non sarà mai come prima proprio per l’emersione della Cina come potenza globale e l’Europa che proverà pur con difficoltà a far valere i propri principi e valori secolari, ma dovrà (potrà) farlo solo con un esercito comune.
L’occasione storica è proprio questa schierando un esercito UE sui quasi 1000 km di fronte che separano Russia e Ucraina e garantire le condizioni di un probabile armistizio. Anche per riparare al “Grande Errore” di Merkel e Sarkozy quando all’inizio del secolo in corso misero nero su bianco che Ucraina e Georgia un giorno sarebbero potute entrare nella Nato contro il parere degli USA. Tuttavia, non specificando il “quando” di fatto diedero “via libera” a Putin per entrare prima in Georgia, poi in Crimea e tre anni fa in Ucraina e avendo condizionato ora le elezioni proprio in Georgia.
Sulla linea del confine euro-russo può nascere allora la Nuova Europa con una sua difesa unica e senza dover ricorrere alla protezione USA, ma solo se avremo coraggio e visione senza temere né le minacce nucleari di Putin né la sua Alleanza con la Cina, soprattutto ora dopo lo “smacco siriano”. Tenendo conto che serviranno tra 50 e 80mila uomini (forse oltre 100mila secondo alcune stime – 100 uomini/km?) visto il fronte così vasto, complesso e variegato.
E’ venuto il momento per il “grande passo” per scivolare dall’unione monetaria ed economica a quella politica saldata da una difesa comune (con un esercito acconcio e integrato). Con Francia, Germania, Italia e Spagna convergenti con molti altri paesi baltici ad esclusione (contro-intuitivamente) della Polonia di Tusk e dunque che si può fare con i diversi distinguo dei neo-nazionalismi sovranisti emergenti. Perché se non ora quando? Offrendo al popolo ucraino – che coraggiosamente ha provato a resistere alla forza barbara e distruttiva di civiltà del “dittatore di San Pietroburgo” a mani nude – un ombrello strategico-militare (oltre che economico) per ricostruire la fiducia di una nazione, la sua identità e una fondamentale dignità e che vogliamo autonoma e indipendente per poter scegliere nella libertà il proprio destino.
Anche scegliendo un giorno – si spera non troppo distante – di diventare un membro del consorzio europeo a tutti gli effetti per realizzare i propri desideri e dare un futuro di pace ai propri figli e perché europei da sempre ed europeisti nel post caduta del “Muro di Berlino”. Rinviando ad un tempo certo anche l’ingresso nella Nato se e quando lo potrà scegliere liberamente. Insomma, il destino dell’Ucraina incrocia ancora una volta quello europeo ma ora si spera senza commettere errori e abbandonarci a distrazioni nonostante il disturbo e le devianze procurate da opposizioni “(neo)protezionistiche e (neo)pacifiste che attraversano trasversalmente e pericolosamente destra e sinistra europee.
Dimostrando che noi stessi europei siamo finalmente diventati adulti e autonomi, padroni del nostro destino con una Europa unita, libera e indipendente, dunque capace di difendere i propri confini con quelli dell’Occidente da tutti gli usurpatori e da tutte le autocrazie autoritarie senza più l’aiuto necessitato del partner USA, con e senza Trump, pur collaborando ovunque sia utile al bene comune dell’Umanità e con un ONU rinnovata.
Facendo grande attenzione ai nuovi “oligarchi globali” a la Musk, potenti nemici neo-tecnologici dei tre assi intrecciati di una società liberale: A – il “gioco democratico tra alternative” con il voto; B – il “libero scambio competitivo” di beni e servizi, conoscenze e informazioni; C – l’equilibrio e l’indipendenza dei tre poteri costituzionali come valori non negoziabili di una società aperta come ben ribadito anche da Sergio Mattarella in tutte le ultimi esternazioni. Ecco perché ora (e non domani) ci serve una politica estera e di difesa (con un esercito UE) condivise oltre che una politica industriale comune per una indipendenza energetica, di ricerca, farmaceutica e manifatturiera forti e sostenute da un debito condiviso per una nuova traiettoria di crescita e di pace con al centro l’Europa Federale “oltre” le fragilità e debolezze confederative.
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