La politica come scienza filosofico-sociologica parte 14esima
La (realtà) politica rappResenta una relazione – cioè un rapporto umano – con requisiti specifici: asimmetria, effettività, decisività, esercitabilità legale cioè legalitaria e così via. Come qualunque relazione umana, è soggetta alle leggi o uniformità (“probabilistiche”), rilevabili nella prospettiva da cui questa esperienza viene osservata (sul piano scientifico – politologico e sociologico – su quello etico/morale, etico/religioso, ecc.) ma la prospettiva “scientifica”, cioè la “scienza politica”, non va confusa con una sua interpretazione “scientistica”, tale cioè da risolvere l’azione politica in azione deterministicamente causata (si potrebbe e si dovrebbe, allora, parlare di una visione “sociologistica” della scienza politica).
Se guardiamo alla possibilità di determinare l’azione da parte del potere, dobbiamo subito chiarire che questa (azione politica) va considerata non tanto nella prospettiva della “causazione sociale” in senso scientifico-deterministico (o naturalistico) quanto piuttosto in senso previsionale-probabilistico, sulla duplice base dell’intenzione del comando (di chi comanda e, naturalmente, di chi obbedisce) e dell’“interesse” il quale, a sua volta, è anch’esso reciproco (tra chi comanda e chi obbedisce) e si traduce in “potere di scambio” (in senso ampio, del quale è una sottospecie degenerata il cosiddetto, oggi, in democrazia, “voto di scambio”).
Ciò, ancora una volta, non cancella la struttura asimmetrica del potere, ma rivela una gradazione che dal dominio giunge allo scambio in senso stretto, nel quale ultimo, però, non si risolve il primo, pena la totale risoluzione “economica” del potere (giacché lo scambio caratterizza di per sé il mercato, a differenza della politica) e dunque la dissoluzione della politica. Va pur riconosciuto che anche il potere economico, in quanto potere, può portare, e porta, alla “disuguaglianza di potere”, cioè a negare sostanzialmente e di fatto quell’originaria uguaglianza di potere delle parti o soggetti economici che, rispetto alla disuguaglianza potestativa, è, in linea teorica e formalmente, il principio costitutivo dello scambio economico (scambio in base ai bisogni e in vista della loro soddisfazione): ma, a questo punto-limite, si assiste a un potere politico improprio, mascherato sotto le vesti del potere economico. Non a caso, si può dire, allora, per analogia, che l’economia domina “sovrana”, come accade nella “globalizzazione” odierna, dove il “mercato senza regole” (neo-liberismo) – figlio, peraltro, o forse meglio, nipote delle schmittiane “leggi del mercato” – coincide, di fatto, con la regola del più forte (che è pur sempre regola: un puro mercato senza regole di sorta equivale a un puro “stato di natura”, da considerare tuttavia una ipotesi-metafora, per quanto significativa); ma queste – le “leggi del mercato” – non possono prendere la forma della legge in senso giuridico-politico, anche se – non a caso! – si definiscono terminologicamente (di nuovo, con una abusiva presa in prestito o confusione col significato “scientifico”) come “leggi del mercato” o “leggi economiche”, in quanto a queste ultime manca la legittimazione in senso stretto, che invece in quella politica non è mai assente (neanche quando, nel processo di delegittimazione, a essa viene contrapposta, ancora non a caso, e sostituita una contro-legittimazione): leggi, in ogni caso, descrittive, non prescrittive.
La fenomenologia del potere politico fin qui sommariamente delineata con le sue “leggi” non rappresenta solo una prassi e un’“arte” (l’arte politica) ma, per tirare le somme riallacciandoci al Preambolo, abbiamo visto che può anche essere astrattamente analizzata nelle sue tipologie e classificazioni, nei suoi dinamismi o “meccanismi”, nei suoi processi e mutamenti e così via, dalla scienza politica.
Questa può assumere a proprio oggetto di studio anche l’arte politica (si pensi a Francesco Guicciardini), così come gli operatori impegnati in essa possono utilizzare (consciamente o inconsciamente) a proprio vantaggio le conseguenze e i risultati della scienza politica stessa (è il caso, per antonomasia, di Machiavelli, che, forte della sua esperienza/ arte politica, ne elabora la teoria, fondando la scienza politica moderna). A loro volta, la scienza politica e l’arte politica presuppongono, come detto, quanto meno di fatto, una più generale concezione dell’uomo (politico) e, cioè, una filosofia politica, la stessa che, per esempio, rimanda a quella giustificazione espressa nel “principio di legittimazione”, che spetta, sì, alla “scienza politica” constatare (si pensi alla già richiamata “formula politica” di Gaetano Mosca) ma che trova la sua piena spiegazione e comprensione, nella più generale “concezione dell’uomo”, appunto nella “filosofia politica” (in Machiavelli troviamo il caso esemplare di una concezione dell’uomo sottesa alla scienza politica che detta i suoi precetti all’arte politica).
La politica, quindi, può essere oggetto di studio sia della scienza politica sia della filosofia politica sia – si pensi alla natura della legittimazione – della scienza e filosofia morale, oltre, naturalmente, a essere studiata dalla storia (politica e) del pensiero politico, delle ideologie e delle “dottrine politiche”. Ed è nella storia che si trovano – e perciò è con la storia che si capiscono – la genesi e lo sviluppo di quelle (filosofia e scienza politica, filosofia e scienza morale, ecc.): la politica sta, come visto (a proposito della violenza/forza), all’inizio della storia (concetto implicito nel verbo greco archein, che indica, a un tempo, cominciare e governare).
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