Storica regione romena contesa tra sfere d’influenza, posta sull’istmo d’Europa e sulla faglia dove si incontrano (e scontrano) cultura latina e slava
Quattordici/A Hermes Storie di geopolitica – Mondo
Giulio Ferlazzo Ciano
Dottore di ricerca in Storia contemporanea
“Storica regione romena contesa tra sfere d’influenza, posta sull’istmo d’Europa e sulla faglia dove si incontrano (e scontrano) cultura latina e slava” come recita l’occhiello, la tesi che sviluppa Giulio Ferlazzo Ciano è che la “Moldavia [è] in cerca di un’ancora di salvezza”, e che questa ancora è rappresentata dall’adesione all’Unione europea. Il mini saggio si apre con una dettagliata ricostruzione storica nella quale Ferlazzo Ciano risponde a un lato ad alcuni interrogativi: Moldavia romana e terra romena? ovvero Cosa c’entra la Moldavia con la Romania?, dall’altro chiarisce le ragioni delle diverse denominazioni assunte nel paragrafo “Bessarabia e Moldavia, tra equivoci storico-toponomastici e dispute nazionali”. L’autore si avvicina poi ai giorni nostri analizzando “Il problema della Transnistria”, la repubblica secessionista filorussa. Problema che l’autore giudica “irrisolvibile” in quanto “Il modus vivendi stabilito all’indomani dell’accordo di pace, nel 1997, è stato chiaramente alterato con l’invasione russa dell’Ucraina”, unitamente ad un altro problema, quello de “L’identità romeno-moldava” che sul piano linguistico vede contrapporsi coloro che insistono volendo continuare ad imporre “l’uso dei caratteri cirillici per scrivere il romeno” praticato dal 1944 in epoca sovietica” considerando altresì “specialmente nelle aree rurali […] che l’identità moldava non si sia formata, come per i romeni, ai tempi della conquista romana della Dacia o per l’influenza culturale della Dacia romanizzata sulle popolazioni daciche limitrofe, ma per l’influenza linguistica daco-romana esercitata presso le popolazioni slave ritenute a torto già stanziate in età imperiale romana tra il Prut e il Nistro” e i “loro concittadini che [invece] si identificano come romeni, producendo così una frattura nella società che si esprime, a livello politico, nella divisione tra partiti favorevoli all’Unirea con soluzioni gradualiste, filoeuropei (perché l’ingresso nell’Unione europea farebbe comunque cadere il confine con la Romania) e talvolta anche filoatlantisti, e partiti tendenzialmente filorussi e ostili all’Unirea, più favorevoli semmai a ricercare una soluzione concordata con Mosca per la Transnistria”. Su queste basi, l’autore prosegue il saggio cercando di chiarire perché “Lo Stato (quasi) più povero d’Europa” che per lo più da quando è scoppiata la guerra in Ucraina corre “Rischi per la [propria] sicurezza e […] integrità territoriale”, grazie alla “rivoluzione moralizzatrice di Maia Sandu”, l’attuale presidente della Moldavia, trarrebbe un grande beneficio dall’adesione all’Unione europea augurandosi una “rapida adesione […], con possibilità concrete che l’ammissione all’Unione del piccolo Stato di lingua romena arrivi prima di quella di altri Paesi dell’Europa orientale”, pur permanendo “incognite… legate, naturalmente, alla tenuta dell’attuale maggioranza di governo”.
08 luglio 2024
Nel centro di Chișinău, capitale della Repubblica di Moldavia, di fronte al palazzo neoclassico che ospita il Museo Nazionale di Storia, un pilastro regge la statua della lupoaica Romei, ovvero una copia moderna della celebre statua in bronzo di probabile fattura etrusca nota come Lupa capitolina, raffigurata mentre allatta i gemelli Romolo e Remo, quest’ultimi aggiunti tuttavia nel Quattrocento da un artista di ambito fiorentino. Forse il simbolo più evocativo della romanità intesa in senso storico e culturale, paradossalmente non abbastanza utilizzata nell’Italia postunitaria come simbolo nazionale e, al contrario, assurta a simbolo identitario all’indomani dell’indipendenza della Romania. In almeno diciassette città romene vi sono infatti altrettante copie della Lupa capitolina che abbelliscono piazze e viali alberati nelle aree più centrali, così da non sfuggire alla vista e ricordare quotidianamente ai cittadini di essere eredi morali di Roma nell’Europa orientale, sebbene a distanza di più di millesettecento anni dal ritiro delle legioni romane dalla Dacia, ordinato dall’imperatore Aureliano. A fronte di appena un secolo e mezzo di dominazione romana in questa vasta regione, anticamente nota come Dacia e compresa tra la pianura pannonica, i Carpazi, le steppe sarmatiche, il delta e il basso corso del Danubio, l’identità latina (arricchita peraltro da cospicui stanziamenti di genti italiche ordinati da Traiano) non ha mai ceduto all’assimilazione da parte di nessun popolo invasore, fosse esso di origine germanica, slava, magiara o turca. Pertanto România, derivato da Țara Românească,letteralmente la “Terra Romana”, è ancora oggi orgogliosamente il nome del Paese.
Moldavia romana e terra romena?
Cosa c’entra la Moldavia con la Romania? C’entra perché la Moldavia è parte inscindibile della Romania moderna. A onor del vero va detto che mai la provincia romana della Dacia, nazione antenata e generatrice dell’odierna Romania, raggiunse l’attuale territorio della Repubblica di Moldavia. Questa regione, posta tra i corsi fluviali del Prut e del Nistro, fu evidentemente popolata da tribù daciche non sottomesse a Roma, ma in contatto con le regioni sottoposte al dominio romano, le quali, con il passare del tempo, assunsero la lingua dei daci romanizzati come strumento convenzionale di comunicazione con tutte le altre tribù della Dacia, romanizzandosi così a loro volta. Eppure una certa tradizione storiografica locale ha trovato ragioni per vantare una romanità moldava fin dai tempi della conquista della Dacia, attuata dall’imperatore Traiano.
Per molto tempo si è favoleggiato, infatti, sulla presenza di un vallo di Traiano (Valul lui Traian) che, come il più noto vallo di Adriano nel nord della Britannia, sarebbe stato costruito a nord del delta del Danubio, proprio nelle regioni meridionali dell’attuale Moldavia, per opporre un argine alla penetrazione dei popoli barbari delle steppe. Se alcuni scarsi avanzi di terrapieni testimoniano la presenza di un simile apparato, è pur vero che sarebbe di epoca posteriore, forse di età costantiniana e, nel caso di un terrapieno rinvenuto ancora più a nord, persino opera realizzata dai Goti su modello romano per difendersi dalle incursioni degli Unni. Ma tanto è bastato a creare la leggenda delle legioni di Traiano in Moldavia. La lingua e la storia della regione, per secoli gravitata nello spazio culturale romeno, hanno fatto il resto. La Lupa capitolina nel centro di Chișinău è quindi una conseguenza naturale di tale consapevolezza identitaria del popolo romeno-moldavo.
C’è poi un equivoco onomastico, di cui tra poco si dirà, che riguarda questo piccolo Stato indipendente che, negli attuali confini, ricalca fedelmente l’ex Repubblica Socialista Sovietica di Moldavia, inclusa ufficialmente dal 1947 nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) e resasi indipendente da Mosca pochi giorni dopo il colpo di stato del 19 agosto 1991 orchestrato dai vertici comunisti conservatori contro Michail Gorbačëv. Soltanto pochi mesi dopo, a novembre, nella Moldavia neo-indipendente scoppiò un conflitto a causa della ribellione della minoranza etnica slava di origine russa e ucraina, prevalentemente attestata nelle città e villaggi posti lungo la sottile striscia di terra sulla sponda orientale del Nistro (in russo Dnestr), che non accettarono di rimanere sotto il governo degli indipendentisti romeni di Chișinău, così come frattanto era stata ribattezzata la capitale dello Stato, fino ad allora nota con il toponimo russo Kišinëv. I ribelli, allo stesso tempo fedeli all’Unione Sovietica, proclamarono la secessione del territorio al di là del Nistro sotto il nome ufficiale di Transnistria e il conflitto armato che ne seguì, nel corso del 1992, comportò l’effettivo controllo dei secessionisti sul territorio rivendicato, grazie anche al decisivo intervento militare russo che garantì una tregua armata di qualche anno, fino alla stipula, nel gennaio 1997, di un accordo transitorio di pace che ha congelato in via provvisoria il conflitto e permesso persino il controllo alla repubblica secessionista di alcune aree poste sulla riva occidentale del fiume.
Ad oggi, quel che secondo il governo moldavo internazionalmente riconosciuto è l’Unità amministrativo-territoriale di sinistra-Nistro (Unitățile Administrativ-Teritoriale din stînga Nistrului), per i secessionisti di Tiraspol’ è la Repubblica Moldava Transnistriana (Pridnestrovskaja Moldavskaja Respublika). Facile non andare d’accordo, tanto più che, come si sarà intuito, i secessionisti rivendicano comunque, con l’aggettivo Moldavskaja e con il mantenimento della bandiera e dello stemma dell’ex repubblica sovietica, la sovranità sull’intero territorio dell’ex RSS di Moldavia fino al Prut. L’essere asserragliati al di là del Nistro è condizione provvisoria, come peraltro, con la consueta minacciosa ambiguità, ricorda da due anni a questa parte il governo russo, protettore militare del governo secessionista di Tiraspol’ e con unità armate dispiegate in quel territorio. Ne risulta che, tolta la superficie della Transnistria (poco più di 4100 chilometri quadrati popolati da circa 450 mila abitanti), la Moldavia effettivamente controllata dal governo di Chișinău è estesa su 30.300 chilometri quadrati e con una popolazione di 2,8 milioni di abitanti. Traducendo le cifre in elementi concreti, significa un territorio ondulato e impreziosito dalle fertilissime “terre nere” vasto come poco meno di Lazio e Abruzzi-Molise uniti insieme e con gli abitanti del solo comune di Roma.
Per rimarcare ancor più le differenze con i secessionisti nostalgici dell’Unione Sovietica (non solo russo-ucraini, giacché in Transnistria vivrebbero comunque indisturbati un centinaio di migliaia di moldavi di lingua romena, circa il 28,6 per cento della popolazione nel 2015, secondo il censimento della Transnistria), la Repubblica di Moldavia ha adottato una bandiera tricolore affine a quella della Romania, blu-giallo-rosso, con al centro lo stemma del principato medievale di Moldavia, Stato precedente all’unificazione della Romania, nel medioevo indipendente sotto vari dinasti locali, in seguito divenuto vassallo dell’Impero ottomano, quindi autonomo nell’Ottocento, unitosi infine con il principato di Valacchia a formare uno Stato divenuto il primo nucleo della Romania indipendente, riconosciuta tale infine nel 1878 dopo l’ennesima guerra russo-turca. Eppure i romeni chiamano la regione sulla quale insiste l’attuale Repubblica di Moldavia con un altro nome: Bessarabia, in romeno Basarabia. Ogni evocazione di esotiche connessioni con l’Arabia è frutto della nostra fantasia. E a questo punto si deve tornare a parlare dell’equivoco toponomastico.
Bessarabia e Moldavia, tra equivoci storico-toponomastici e dispute nazionali
In realtà il toponimo Bessarabia deriva, in modo un po’ contorto, da un condottiero della prima metà del XIV secolo di origine cumana (i cumani, detti anche “poloviciani”, erano un popolo della steppa di stirpe uralo-altaica penetrati nell’Europa centro-orientale) chiamato Basarab (in cumano “padre autoritario”), che si ritagliò uno Stato nell’attuale regione romena della Valacchia, il vasto ripiano posto tra i Carpazi meridionali e il Danubio dove peraltro sorge oggi la capitale Bucarest. Assunto il titolo di voivoda (principe) della Valacchia, si rafforzò a tal punto da scontrarsi con il re d’Ungheria Carlo Roberto d’Angiò, che intendeva far valere i suoi diritti sovrani sulla Valacchia e costringere Basarab all’atto di vassallaggio. La fortuna e il valore arrisero al voivoda romeno-cumano che sconfisse l’esercito ungherese nel 1330[1]. Tutto questo non avrebbe apparentemente nessun nesso con il territorio dell’attuale Repubblica di Moldavia, da tutt’altra parte rispetto alla Valacchia, se non che durante il voivodato di Basarab e della sua dinastia lo Stato valacco si estese in direzione del delta del Danubio occupando la regione a nord del braccio di Chilia, il ramo deltizio danubiano più a settentrione. Quest’area, attualmente parte dell’Ucraina e denominata Budžak (in romeno Bugeac, dal turco bucak, “angolo”), è una regione litoranea scarsamente abitata e orlata lungo la costa del Mar Nero da numerose lagune formate dai fiumi e corsi d’acqua che scendono dalle “terre nere” dell’attuale Moldavia, spingendosi fino al lago costiero che funge da foce del Nistro (Dnestr). Fu proprio questa regione, prima delle invasioni turche-ottomane, ad assumere per prima il nome di Bessarabia, dal nome della dinastia regnante in Valacchia.
Le “terre nere” più a monte, tra i fiumi Prut e Nistro, furono invece raggiunte dall’espansione del voivodato di Moldavia (in romeno Moldova), emerso a metà del XIV secolo nella regione collinare a est dei Carpazi orientali, inizialmente e giustappunto lungo il corso della Moldova, un affluente carpatico del Siret, fiume di maggiore consistenza che si getta infine nel Danubio e che nel corso inferiore funge da confine naturale tra la Moldavia (intesa l’attuale regione romena a ovest del Prut) e la Valacchia. L’espansione moldovana, facilitata dall’emancipazione voivodale dalla tutela magiara e dalla protezione offerta alle vie commerciali che univano il Baltico al Mar Nero, raggiunse presto il Prut e incluse anche la regione fino al Nistro già alla fine del Trecento, annettendo sul mare la costa dal braccio di Chilia alla foce dello stesso Nistro (Dnestr), dove sorgeva Cetatea Albă, fortezza frequentata anche dai mercanti genovesi, l’attuale Bilhorod-Dnistrovs’kyj, cittadina ucraina a 50 chilometri a sud-ovest di Odessa. La “discesa” della Moldavia verso il mare produsse al contempo la “risalita” verso l’entroterra del toponimo Bessarabia che, con il passare dei secoli, si impose su tutta la regione compresa tra il Prut e il Nistro, attualmente per due terzi inclusa nella Repubblica di Moldavia[2].
La denominazione ufficiale “Bessarabia” fu però opera dei russi, i quali nel 1812, al termine di un conflitto russo-ottomano scatenato dalla reazione del sultano in seguito all’invasione zarista della Georgia nel 1807, annetterono l’intero territorio popolato da romeni tra il Nistro e il Prut, che nel frattempo, a partire dal XVI secolo, era entrato a far parte nominalmente dell’Impero ottomano attraverso l’autonomia concessa dalla Sublime Porta ai principi moldavi, vassalli (spesso recalcitranti) del sultano. Dal 1812, dunque, la Bessarabia iniziò a gravitare nello spazio imperiale russo. E dopo un iniziale periodo di autonomia amministrativa e linguistica che sembrò favorire il mantenimento dell’equilibrio culturale antecedente all’annessione, si impose con progressione il processo di russificazione: abolita l’autonomia nel 1828, dal 1843 fu imposta la lingua russa per tutti gli atti ufficiali, sopravvivendo l’uso nel romeno nelle scuole e nella liturgia, finendo per dover soccombere al russo tra gli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento. Nel 1873 la regione fu eretta in gubernija, un governatorato sottoposto direttamente all’autorità pietroburghese, e nella seconda metà del secolo fu incoraggiato l’insediamento di contadini nelle fertili “terre nere”, affluendovi così colonie di russi, ucraini e tedeschi, oltre a bulgari e gagauzi (turchi convertiti al cristianesimo ortodosso) provenienti dall’Impero ottomano[3].
Iniziò allora quella trasformazione etnica della Moldavia orientale (Bessarabia) che tese a ridurre l’elemento romeno a vantaggio soprattutto di quello slavo, particolarmente nelle più fertili regioni centrali e settentrionali, quelle che attualmente formano la Repubblica di Moldavia. Nel litoraneo Budžak, invece, oltre a nuclei di russi e ucraini furono altrettanto cospicui gli insediamenti di bulgari e gagauzi, così come ancora oggi evidenziano i censimenti ucraini, nei quali difficilmente si riscontra un’etnia dominante nella regione. In quello del 2001, ad esempio, i 617 mila abitanti del Budžak risultavano essere al 40 per cento ucraini, al 21 per cento bulgari, al 20 per cento russi, al 13 per cento moldovani (romeni, secondo la definizione ufficiale) e al 4 per cento gagauzi. A monte del Budžak ucraino, la Repubblica della Moldavia (esclusa la Transnistria) includeva secondo il censimento del 2014 una popolazione ben più omogenea, a netta maggioranza romena (82 per cento), con minoranze di ucraini (6,6 per cento), gagauzi (4,6 per cento), russi (4,1 per cento) e bulgari (1,9 per cento).
A un certo punto la Bessarabia si è trasformata in Moldavia. Questo non è avvenuto nell’Ottocento e nemmeno nei primi anni del Novecento, ma solo in seguito alla Prima guerra mondiale. Alla fine del conflitto il Regno di Romania, complice anche il collasso dell’Impero Russo e l’instaurarsi della Repubblica dei Soviet in Russia, ebbe l’opportunità di annettere la Bessarabia fino al Nistro, dunque anche il territorio dell’attuale Repubblica di Moldavia (esclusa la Transnistria) e del Bugeac, compresa l’ormai nota isola dei Serpenti. Il tutto avvenne in seguito al ritiro delle truppe russe dalla regione e alla creazione di un governo autonomo a Chișinău nel dicembre 1917, che nell’aprile 1918 votò l’atto di annessione alla Romania[4]. Un tentativo sovietico di rioccupare la regione fallì nel mese di maggio del 1919 e infine, con il trattato di Parigi, firmato il 28 ottobre 1920, Regno Unito, Francia, Italia e Giappone riconobbero la sovranità romena sulla Bessarabia. Un trattato tuttavia che, data la necessità di stabilire buone relazioni con l’Unione Sovietica, che mai cessò di reclamarne il possesso, spinse le potenze dell’Intesa a ritardarne la ratifica: nel 1927, nel caso dell’Italia, il Giappone addirittura non lo ratificò mai. Gli Stati Uniti riconobbero l’annessione della Bessarabia da parte della Romania addirittura nel 1933[5].
Frattanto l’Unione Sovietica creò il suo doppione di Bessarabia nel territorio della Repubblica socialista sovietica Ucraina, ritagliando sulla riva orientale del Dnestr (Nistro) una striscia un poco più vasta dell’attuale Repubblica secessionista transnistriana, denominata dal 1924 Repubblica Socialista Sovietica Autonoma Moldava. Tale politica fu giustificata con una certa astuzia dal governo sovietico, volendosi mostrare l’attenzione delle autorità per la minoranza etnica di lingua moldava (ovverosia il romeno, così come moldavi erano denominati gli abitanti di quella regione per non riconoscerne la nazionalità romena, cosa che peraltro avviene anche oggi), considerando che in effetti una certa presenza di nuclei di etnia romena si era avuta nella regione a partire dal XVII secolo. Ma di fatto la mossa rappresentava anche un espediente per rivendicare all’Unione Sovietica, entità statale succeduta all’Impero russo, il possesso della Bessarabia, questione che si voleva mostrare non fosse stata dimenticata. Ed inoltre per avanzare anche delle pretese sull’intera Moldavia, compresa la regione più propriamente nota con questo nome posta a occidente del Prut, che non era mai stata annessa alla Russia e che è oggi parte della Romania.
In seguito al patto tedesco-sovietico (Molotov-Ribbentrop) dell’agosto 1939 ebbe inizio l’occupazione della Polonia e, poco tempo dopo, le pretese di spartizione tra le sfere di influenza tedesca e sovietica nell’Europa orientale fecero tra le sue vittime proprio la Bessarabia romena che, alla fine del mese di giugno 1940, dopo un ultimatum al governo romeno, fu occupata dalle truppe sovietiche e subito costituita in Repubblica Socialista Sovietica Moldava. L’anno dopo, nel contesto dell’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, appoggiata dalla Romania guidata dal maresciallo Ion Antonescu, il cui esercito fornì dopo quello tedesco il maggior numero di effettivi schierati sul campo, la Bessarabia tornò ad essere aggregata alla madrepatria. Ma fu una riannessione effimera, che durò dal luglio 1941 all’aprile 1944. Dopo di allora la Bessarabia, tornata a chiamarsi Moldavia (compresa una striscia a est del Dnestr) e in parte assegnata all’Ucraina (Bugeac e isola dei Serpenti), fu riassorbita nello spazio sovietico e riconosciuta definitivamente territorio dell’URSS con la firma del trattato di pace nel 1947. Si può dire che tutte le questioni rimaste sul tavolo e ancora oggi motivo di tensione nella regione derivano da questa conclusione.
I nodi gordiani che riguardano questo piccolo Stato europeo di lingua romena sono essenzialmente riassumibili in una serie di problemi irrisolti a cui, dopo il 2022, se ne sono aggiunti altri:
• Transnistria. La Repubblica secessionista, formalmente e per il momento non riconosciuta de iure dalla Federazione Russa (sebbene siano presenti forze militari russe sul suo territorio e sebbene la Transnistria sia stata dichiarata de facto un territorio sotto protezione russa), è stata inclusa idealmente nel Russkij mir (spazio culturale russo) dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
• Identità romena nella Repubblica di Moldavia. Tale è di fatto, ma per non irritare il Cremlino e non allarmare l’opinione pubblica moldava nostalgica dell’Unione Sovietica, almeno fino al 2022 si è perpetuata la convenzione di definire ufficialmente “moldava” la lingua romena della Repubblica di Moldavia e, più in generale, moldava la nazionalità predominante dello Stato.
• In seguito al conflitto russo-ucraino si è aggiunto il problema della sicurezza della Moldavia, circondata in buona misura dal territorio ucraino e intenzionata a mantenersi estranea al conflitto, ma minacciata dalla presenza di truppe russe sul suo territorio (Transnistria) e sottoposta a provocazioni, pressioni e minacce più o meno mascherate da parte del governo russo.
• Problemi economici derivati dall’isolamento a causa del conflitto in Ucraina. La mancanza di un affaccio sul mare e la chiusura del porto di Odessa hanno costretto la Moldavia ad appoggiarsi quasi unicamente al commercio transfrontaliero con la Romania.
• Il processo di inclusione nella Unione Europea. Accelerato proprio in ragione del conflitto in Ucraina e che tuttavia rischia di destabilizzare il Paese a causa dell’intervento indiretto nella politica interna da parte della Russia, che sostiene la causa di alcuni partiti di opposizione in Moldavia. Da parte moscovita l’adesione della Moldavia all’Unione europea rappresenterebbe una minaccia, in ragione della possibilità di un futuro ingresso della Moldavia nella NATO.
Il problema della Transnistria
Andando con ordine, il problema legato all’esistenza della Transnistria è al momento irrisolvibile. Il modus vivendi stabilito all’indomani dell’accordo di pace, nel 1997, è stato chiaramente alterato con l’invasione russa dell’Ucraina. Se, fino all’annessione russa della Crimea nel 2014 e, soprattutto, fino al 24 febbraio 2022, l’atteggiamento del governo moldavo nei confronti della repubblica secessionista era dettato dal timore reverenziale nei confronti del protettore ufficiale del governo di Tiraspol’, allo stesso tempo non solo la Moldavia ma l’Europa intera si erano abituate a considerare quella bizzarra repubblica di nostalgici dell’Unione Sovietica null’altro che un dettaglio, magari fastidioso, comunque non in grado di perturbare l’ordine europeo ai suoi confini orientali. Più un capriccio della storia che una minaccia per il futuro. Non che fossero mancate tensioni e tentativi da parte moldava e ucraina di rendere la vita difficile ai secessionisti di Tiraspol’. Per esempio, nel 2006, con la decisione del governo ucraino di permettere il passaggio di merci dalla Transnistria all’Ucraina soltanto se corredate da documenti vistati dalla dogana moldava, fatto che non mancò di produrre una crisi con Mosca. Il precedente presidente moldavo tra il 2016 e il 2020, Igor Dodon, esponente del filorusso Partito Socialista della Repubblica di Moldavia (PSRM), aveva persino prospettato in tempi ragionevolmente rapidi il riassorbimento della Transnistria nell’orbita di uno dei due Stati confinanti, la Moldavia o l’Ucraina[6].
Al netto di una certa retorica politica, è probabile che il filorusso Dodon ambisse a riannettere la Transnistria, fornendo al contempo la garanzia al Cremlino che il suo Paese sarebbe rimasto politicamente equidistante tra Russia e Occidente e non avrebbe dato corso al processo di adesione all’Unione Europea. Chiaramente le garanzie di Dodon non devono essere sembrate abbastanza convincenti perché di quel progetto non se ne è fatto niente. Nel 2018 sembrò addirittura che ben più complesse e ardite trame si stessero tessendo non più tanto tra Mosca e Chișinău, ma addirittura tra Mosca e Bucarest, proprio al fine di risolvere il problema della Transnistria. I fatti sono questi: nel 2019 si dovevano tenere in Moldavia le elezioni parlamentari. Tra i partiti in corsa si presentò il PUN, Partidul Unității Naționale (Partito dell’Unità Nazionale), il cui segretario generale, Anatol Șalaru, era stato ministro della Difesa, assumendo posizioni critiche nei confronti della Russia e apertamente favorevoli alla NATO. Lo appoggiò in questa sua corsa elettorale una figura di rilievo come l’ex presidente romeno (tra il 2004 e il 2014) e all’epoca senatore, Traian Băsescu, in qualità di vicepresidente onorario del partito, sbarcato direttamente dalla nazione sorella per perorare l’Unirea (Unione) tra Moldavia e Romania.
In tale contesto ci furono degli abboccamenti tra i governi russo e romeno per sondare a vicenda le rispettive intenzioni. Sembrò a un dato momento che il patto potesse essere fondato sull’accettazione da parte russa dell’annessione della Moldavia alla Romania, con l’esclusione della Transnistria e con il confine posto sul fiume Nistro (Dnestr), ottenendo in cambio da parte romena il tacito assenso all’annessione russa della Crimea. Si fece avanti in un’occasione persino l’ambasciatore russo a Bucarest, Valeri Kuzmin, il quale, durante un evento pubblico tenutosi presso l’università di Suceava (capitale dell’antico principato di Moldavia), suggerì di attuare un referendum sull’Unirea così come era stato fatto in Crimea nel 2014. La strategia russa di stimolare l’appetito della Romania si basava sulla speranza che l’ondata di irredentismo che si sarebbe prodotta galvanizzasse le minoranze romene presenti nei territori ucraini annessi all’Unione Sovietica dopo il 1940 e il 1944, particolarmente nella regione di Černivci (in romeno Cernăuți) e nel Budžak, finendo così per seminare zizzania tra Ucraina e Romania e, allo stesso tempo, facilitando l’opera degli ucraini filorussi che intendevano mettere in discussione i confini tra Russia e Ucraina[7].
Il progetto tuttavia è fallito perché i favorevoli all’Unirea, a Chișinău così come a Bucarest, hanno preferito saggiamente scartare ogni accordo con Mosca per perseguire un modello di riunificazione alla tedesca, attraverso leggi votate dai rispettivi parlamenti, auspicabilmente con la più ampia maggioranza, così da evitare manipolazioni demagogiche e conseguenti resistenze popolari. Un’operazione, dunque, da realizzare senza fretta e con le dovute precauzioni. Peraltro il risultato elettorale del PUN è stato largamente deludente. Un risultato che non va confuso con il rigetto popolare all’Unirea, ma come la conferma che sia stato percepito come necessario un processo più attento alle conseguenze e ben ponderato sul piano politico. Prova ne è che, in una certa qual misura, l’unione tra Moldavia e Romania è già in essere a un livello simbolico come quello della cittadinanza. Dal 2010 al 2021, infatti, circa 1,027 milioni di moldavi hanno acquisito la cittadinanza della nazione sorella; questo significa che poco prima dell’invasione russa dell’Ucraina il 40 per cento dei moldavi erano già ufficialmente cittadini romeni[8]. In ogni caso, va pur detto, l’Unirea non risolverebbe l’annoso problema della Transnistria, giacché il confine verrebbe portato al Nistro, escludendo pertanto la riva sinistra governata dai secessionisti filorussi di Tiraspol’ e mantenendovi lo status quo.
L’identità romeno-moldava
Un’altra questione irrisolta riguarda l’identità romena dei moldavi che, almeno fino ad oggi, si è mascherata dietro alla definizione di un’identità specificamente moldava o moldovana: null’altro che un espediente lessicale per non irritare, oltre al Cremlino, coloro che per ragioni ideologiche rifiutano di identificarsi con i romeni. Vittime, costoro, della destrutturazione nazionale iniziata durante il secolo di annessione all’Impero russo e attuata con maggiore successo dopo il 1944 dall’Unione Sovietica, che intese privare la piccola Repubblica Socialista Sovietica Moldava dello sbocco al mare, sottraendole il Budžak e con esso la possibilità di un eventuale sviluppo autonomo, annettendole in cambio proprio la regione transnistriana, più industrializzata e popolata ma anche con una presenza più significativa di slavi (russi e ucraini). L’imposizione dell’uso dei caratteri cirillici per scrivere il romeno e una certa rilettura della storia fecero il resto. Al momento dell’indipendenza da Mosca una parte cospicua della popolazione di lingua romena della Moldavia, specialmente nelle aree rurali, era e rimane tuttora convinta che l’identità moldava non si sia formata, come per i romeni, ai tempi della conquista romana della Dacia o per l’influenza culturale della Dacia romanizzata sulle popolazioni daciche limitrofe, ma per l’influenza linguistica daco-romana esercitata presso le popolazioni slave ritenute a torto già stanziate in età imperiale romana tra il Prut e il Nistro. Così che per costoro la lingua parlata nel Paese non sarebbe il romeno, ma una sua variante: il moldavo.
Una convinzione abbastanza ridicola, considerando oltretutto che la parlata romena della Moldavia differisce in misura assai trascurabile da quella della Romania, ma tanto basta a rinfocolare la diffidenza dei moldovenisti più radicali dai loro concittadini che si identificano come romeni, producendo così una frattura nella società che si esprime, a livello politico, nella divisione tra partiti favorevoli all’Unirea con soluzioni gradualiste, filoeuropei (perché l’ingresso nell’Unione europea farebbe comunque cadere il confine con la Romania) e talvolta anche filoatlantisti, e partiti tendenzialmente filorussi e ostili all’Unirea, più favorevoli semmai a ricercare una soluzione concordata con Mosca per la Transnistria. Tali partiti sono votati senza esclusione in gran parte da cittadini moldavi di lingua romena, alcuni consapevoli della loro vera identità storica e culturale, altri, per ragioni di varia natura, legati a una tradizione storica e culturale sostanzialmente inventata, ma in grado di richiamare alla memoria l’età dell’oro sovietica, mantenuta artificialmente in vita dai separatisti transnistriani, orgogliosamente legati all’uso della lingua romena ancora scritta in caratteri cirillici. Il nodo linguistico, almeno per il momento, sarebbe stato risolto il 16 marzo 2023 con l’approvazione di una legge che definisce romeno la lingua di stato (limba de stat)[9], provvedimento voluto dalla presidente Maia Sandu, eletta nel 2020 come candidata del PAS, Partito d’Azione e Solidarietà (Partidul Acțiune și Solidaritate), formazione politica liberale e riformista di centro-destra, nettamente a favore dell’adesione all’Unione europea.
Lo Stato (quasi) più povero d’Europa
L’altro problema, quello che spinge i moldavi “moldovenisti” a ricordare con una certa nostalgia l’età dell’oro sovietica, è quello dell’arretratezza economica. I dati parlano chiaro: il Pil pro capite della Romania è di 19.530 dollari, secondo la stima per il 2024 del Fondo Monetario Internazionale, mentre quello della Moldavia ammonta a 7.490 dollari pro capite, al terzultimo posto in Europa dopo Ucraina (ma per ragioni legate al conflitto in corso) e Kosovo. Naturalmente il conflitto in Ucraina non ha favorito l’economia del Paese che, per di più, dipende per la produzione di energia elettrica in gran parte dall’estero, mentre i principali impianti termoelettrici e idroelettrici si trovano in Transnistria, il cui governo dal novembre 2022 ha cessato l’esportazione nella Repubblica di Moldavia di energia elettrica prodotta dagli impianti alimentati con gas russo. La presidenza Sandu si è dovuta pertanto misurare con la necessità di tagliare integralmente le importazioni energetiche dalla Russia che, attraverso MoldovaGaz, partecipata al 50 per cento da Gazprom, forniva gli idrocarburi per la produzione di energia elettrica.
La sostituzione di MoldovaGaz con Energocom, società integralmente moldava, è stata seguita pochi mesi dopo da ripetuti blocchi alla distribuzione di gas russo, cessata definitivamente dal dicembre 2022, decisione che ha imposto alla Moldavia di connettersi alla rete elettrica romena, la quale tuttavia fornisce energia a costi molto più alti, sovvenzionati pertanto dall’Unione Europea. Una economia, quella moldava, rimasta essenzialmente esportatrice di prodotti agricoli e, almeno in questo, favorita dai fertilissimi suoli delle “terre nere” che garantiscono cospicui raccolti di grano, mais e altri cereali, patate, barbabietole da zucchero, semi di girasole, tabacco, frutta e uva, quest’ultima utilizzata tra l’altro per la produzione di un rinomato vino locale, fino a una decina di anni fa destinato in gran parte al mercato russo mentre oggi per il 60 per cento è esportato nei Paesi dell’Unione europea[10]. Il problema principale rimane quello dello snodo portuale di Giurgiulești, aperto nel 2006 e utilizzato anche come terminale per idrocarburi, tuttavia, sebbene in fase di potenziamento, non abbastanza grande da consentire alla sue corte banchine fluviali di sopperire ai traffici marittimi moldavi. Unica nota positiva è il fatto che i porti ucraini sul Danubio e sul ramo di Chilia (Reni e Izmail) hanno progressivamente preso il posto di Odessa per le merci moldave, favoriti in questo dalla relativa sicurezza garantita dalla vicinanza della frontiera con la Romania, il cui territorio è sull’opposta sponda fluviale, fattore che, unitamente all’appartenenza della Romania alla NATO, ha fino ad adesso scoraggiato attacchi missilistici russi e permesso al traffico marittimo in partenza dai porti fluviali danubiani di crescere di sei volte nel 2023[11].
Rischi per la sicurezza e l’integrità territoriale della Moldavia
La Transnistria e la presenza di truppe russe all’interno dei suoi confini rimane un’inquietante spada di Damocle puntata sul futuro del piccolo Paese di lingua romena, ma con una discriminante: la maggiore o minore pericolosità della piccola repubblica secessionista nostalgica dell’Unione Sovietica dipenderà dalla tenuta del fronte russo-ucraino. Fintanto che il territorio secessionista si ritrova isolato e stretto tra uno Stato apertamente ostile (Ucraina) e un altro che, seppur non apertamente ostile, ha di fatto tagliato tutti i legami con esso, non rappresenterà un serio problema. Le “forze di pace” russe inviate sul posto durante il conflitto moldavo-transnistriano (1992-1997) ammontano infatti ad appena poco più di mille unità, ormai private peraltro di rifornimenti, mentre il famigerato deposito di munizioni di Cobasna, che negli anni Novanta del secolo scorso immagazzinava oltre 40 mila tonnellate di equipaggiamenti militari, oggi sarebbe ridotto della metà e, per di più, con gran parte del munizionamento inservibile, in certi casi risalente persino al 1936[12].
Diverso sarebbe se il fronte russo-ucraino dovesse crollare e l’armata russa dovesse ricongiungersi con le forze di interposizione rimaste bloccate in Transnistria. Al momento si tratta di un’ipotesi remota, ma che tuttavia non può essere scartata a priori. Ad ogni buon conto fintanto che il fronte russo-ucraino rimarrà stabilmente sulla sponda orientale del Dnepr non vi dovrebbero essere particolari minacce alla sicurezza della Moldavia provenienti dalla Transnistria: il nido di vespe al di là del Nistro rimane per il momento inattaccabile, anche da parte ucraina, fatto che produrrebbe peraltro delle frizioni con il governo moldavo, dal momento che formalmente la Transnistria è ancora oggi territorio moldavo. Pertanto il modus vivendi è tale da lasciare tutto così com’è, in attesa di futuri sviluppi. Tuttavia qualcuno a Kiev aveva preso in considerazione un’ipotesi di trattativa futura basata su uno scambio di territori tra l’Ucraina e la Moldavia. In cambio della cessione da parte moldava della sponda orientale del Nistro, corrispondente alla regione secessionista, l’Ucraina avrebbe ceduto alla Moldavia una parte del Budžak (Bugeac), ripristinando così in parte l’unità della Bessarabia storica. Il punto è che non si è trattato di nulla di ufficiale, ma soltanto di ipotesi formulate da analisti e politici ucraini[13].
Qualcosa, tuttavia, di cui si potrebbe tornare a parlare qualora (sebbene con ben poche probabilità) l’Ucraina riuscisse a riconquistare i territori sottratti dai russi, di fatto vincendo la guerra. La Transnistria, c’è da crederlo, sarebbe a quel punto merce di scambio sul tavolo della pace, destinata a scomparire dalla carta geografica. Ma al di là della lista dei sogni, attualmente quel territorio è molto prezioso per Mosca, dal momento che la repubblica secessionista è strategicamente posizionata sulla linea divisoria che separa l’Europa prettamente peninsulare (Scandinavia e isole Britanniche escluse) dalla sezione eurasiatica del continente, trovandosi su quel famoso “istmo d’Europa” che va da Kaliningrad (Königsberg) a Odessa. Per la Russia il confine ideale di separazione tra il Russkij mir (mondo russo) e la decadente Europa occidentale. Non sarebbe facile pertanto strappare alla Russia il consenso ad abbandonare ogni rivendicazione su quella linea, se non in caso di una sconfitta cocente. E c’è da credere che, molto probabilmente, tale sconfitta non giungerà alla fine del conflitto russo-ucraino.
Moldavia e Unione Europea: la rivoluzione moralizzatrice di Maia Sandu
Il processo di inclusione della Moldavia nell’Unione Europea è invece un’ipotesi che si va facendo di giorno in giorno più probabile. La tempesta perfetta sembra aver predisposto l’occasione altrettanto perfetta per un’accelerazione del processo, sebbene con un alcune incognite. Occasione accresciuta dal fatto che l’attuale presidente della Moldavia sia l’economista Maia Sandu. Considerando le non sempre specchiate carriere politiche di diversi capi di Stato e di governo dell’Europa orientale, il caso di Maia Sandu rappresenta (al netto di impreviste future brutte sorprese) una lodevole eccezione, ancor più apprezzabile da noi italiani, se si considera che la presidente moldava si ritrova a guidare uno Stato di cultura latina. Nata nel 1972, figlia di un veterinario direttore di un allevamento suino e di un’insegnante, ha studiato economia all’Accademia di Studi Economici della Moldavia, venendo impiegata dopo la laurea al ministero dell’Economia e acquisendo nel frattempo un’ulteriore laurea in relazioni internazionali presso la locale Accademia di Pubblica Amministrazione[14].
Dal 1998 è stata assunta presso l’ufficio di Chișinău della Banca Mondiale, tornando al ministero dell’Economia tra il 2005 e il 2006 e intraprendendo una carriera da funzionaria interrotta, dall’assunzione della carica di ministro da parte del filorusso Igor Dodon, destinato anni dopo a essere eletto alla presidenza della Repubblica. Sandu ha deciso in quell’occasione di trasferirsi negli Stati Uniti d’America per perfezionare ulteriormente la sua formazione, dapprima, negli anni 2009-2010, presso la John F. Kennedy School of Government dell’Università di Harvard, in seguito a Washington, fino al 2012, come consigliera del direttore esecutivo della Banca Mondiale. A quella data risale il suo ritorno in Moldavia, essendo stata proposta come ministro dell’Educazione dal Partito Liberal Democratico di Moldavia (PLDM), formazione moderata di centro-destra favorevole all’integrazione europea, rimanendo alla guida del ministero fino al 2015 e mettendosi in luce per l’introduzione di regole più severe per gli esami di baccalaureato (equivalente della nostra maturità), varando inoltre un codice dell’istruzione che introduceva, tra le altre cose, concorsi per l’assunzione dei vertici delle istituzioni scolastiche e accademiche.
Tale attivismo, apprezzato dagli elettori, l’ha resa tanto popolare da essere candidata dal PLDM ad assumere la carica di Primo ministro. Il 24 luglio 2015 Sandu ha compiuto una scelta decisiva per il suo avvenire: ha accettato l’incarico, ma ponendo come condizione per la sua assunzione le dimissioni dell’allora procuratore generale della Repubblica di Moldavia e del governatore della Banca Nazionale di Moldavia, Dorin Drăguțanu. Lungi dall’essere una mossa dettata da ragioni di spoils system, Sandu riteneva che Drăguțanu non fosse la persona adatta a guidare l’istituto bancario nazionale, giudicandolo colluso con attività opache di gruppi operanti sul fronte del riciclaggio di denaro. Anni dopo i sospetti si sono rivelati fondati, portando all’arresto di Drăguțanu e a rivelazioni sulle frodi sistematiche compiute tra il 2009 e il 2016[15]. All’epoca, tuttavia, questa intransigente presa di posizione le costò la carica di Primo ministro e, da parte sua, rinunciò anche al suo incarico ministeriale per fondare nel dicembre 2015 il Partito d’Azione e Solidarietà col quale ha affrontato le elezioni presidenziali del 2016, riuscendo ad arrivare al secondo turno, ma perdendo contro Igor Dodon con il 47,89 per cento dei suffragi. Nel 2020 Sandu ha invece strappato a Dodon la rielezione, vincendo al secondo turno con il 57,72 per cento dei voti.
Si noti peraltro che alle elezioni moldave, sia parlamentari sia presidenziali, è consentito votare ai cittadini della Transnistria che ne facciano richiesta. Per l’occasione vengono approntate delle sezioni elettorali riservate ai transnistriani, trasportati in autobus sulla riva occidentale del Nistro. Nel 2016 dei 70 mila voti di distacco tra Sandu e Dodon, quasi 17 mila giunsero appunto dagli elettori transnistriani[16]. Elettori che nel 2020 hanno ancora una volta favorito il candidato filorusso con percentuali schiaccianti. Gli stessi transnistriani che, in occasione delle scorse elezioni presidenziali russe del 15-17 marzo 2024, si sono recati ai seggi approntati appositamente dalle autorità russe in Transnistria per dare il loro contributo alla rielezione di Vladimir Putin, scatenando le ovvie proteste del governo moldavo a cui Mosca ha replicato brandendo il dato relativo alla presenza di circa 200 mila cittadini russi residenti in Transnistria[17]. Si noterà l’uso da parte russa dello stesso strumento adottato dai cittadini moldavi e con il beneplacito del governo romeno per favorire l’unione della Moldavia alla Romania.
Maia Sandu ha dovuto fare i conti con la potente fazione filorussa moldava fin dal giugno 2019, quando è riuscita ad ottenere la carica di Primo ministro in un governo filoeuropeo di coalizione e in aspra coabitazione con il presidente Dodon, governo subito rovesciato da un pronunciamento (in seguito ritirato) della Corte Costituzionale moldava e, pochi mesi dopo, caduto per un voto di sfiducia del Parlamento. Una volta assunta la carica di presidente della Repubblica ha dovuto subito fronteggiare gli effetti del Covid, sotto l’aspetto economico e sanitario, e dal 2022 la delicata situazione creatasi all’indomani dell’operazione militare russa contro la confinante Ucraina, che ha trasformato la Moldavia in una sorta di temuto secondo fronte dell’offensiva. Non sono inoltre mancate campagne di diffamazione ai danni della presidente sulla base di false informazioni diffuse da testate giornalistiche russe e veicolate attraverso i social network, che accusavano Sandu, tra le altre cose e senza fondamento, di essere un’esponente della comunità Lgbt (una vera e propria infamia per i filorussi) e un’ammiratrice del maresciallo Ion Antonescu, il capo del governo romeno alleato di Hitler durante la seconda guerra mondiale. In questo caso in modo da lasciare intendere che, oltre al regime “nazista” guidato da Volodymyr Zelens’kyj, ci sia un altro presidente di uno Stato ex sovietico animato dalla stessa ideologia, sostenuto dall’Occidente e finanziato da George Soros[18]. Trasformando così la Moldavia in un potenziale obiettivo per una futura operazione militare speciale di “liberazione”.
Di certo c’è che la presidente Sandu si è fatta molti nemici in patria e all’estero, non solo per l’allineamento senza indugi verso l’Europa e l’Occidente, scelta di campo ulteriormente rafforzata in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, ma anche e forse soprattutto in ragione della campagna anticorruzione che è stata varata negli ultimi quattro anni. Una campagna necessaria, visto il clima di corruzione imperante che si era ulteriormente rafforzato sotto la presidenza del predecessore di Sandu, il filorusso Dodon, accusato tra l’altro di essere al soldo del potente oligarca moldavo Vladimir Plahotniuc, figura costantemente sotto attenzione da parte della stampa straniera e dell’Interpol, accusato di aver messo a libro paga gran parte della classe politica del Paese, manovrando direttamente per un decennio dal suo seggio al parlamento di Chișinău. Un filmato avrebbe mostrato Plahotniuc mostrato mentre passava all’ex presidente Dodon una busta di plastica contenente con tutta evidenza una grande somma di denaro contante, scandalo che guadagnò a Dodon il popolare nomignolo Kuliok (busta di plastica) e che fu cavalcato da Sandu in campagna elettorale[19].
Peraltro, proprio negli anni a cavallo tra l’assunzione dell’ufficio di Primo ministro e di presidente della Repubblica di Moldavia, il vento fino ad allora favorevole a un clima di corruzione diffusa, denunciata in passato dalla stessa Maia Sandu, ha cambiato improvvisamente direzione: nel giugno 2019 Plahotniuc, fiutando il cambio di passo, si è dimesso da membro del parlamento e si è trasferito in Turchia, dove attualmente vive; nell’ottobre 2021 è stato rimosso il procuratore generale della Repubblica di Moldova, Alexandru Stoianoglo, accusato di aver favorito per anni attività criminali e riciclaggio di denaro nel sistema bancario moldavo; il 26 maggio 2022 è stata formalizzata l’accusa di corruzione e tradimento a favore della Federazione Russa contro l’ex presidente Dodon, posto agli arresti domiciliari e in attesa di processo. Dodon, Plahotniuc e un’altra figura ben nota a Maia Sandu, Ilan Șor (Shor), finanziere israelo-moldavo coinvolto nel 2014 in prima persona nella più nota frode bancaria del Paese (un miliardo di dollari scomparso da due banche moldave di proprietà del suo gruppo finanziario), sono stati inoltre segnalati dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti d’America per crimini finanziari e per i loro legami con il Cremlino, potenzialmente intesi a sovvertire la legalità democratica in Moldavia[20].
Șor, nato a Tel Aviv nel 1987 da genitori israeliti moldavi immigrati in Israele negli anni Settanta del secolo scorso, si trasferì in Moldavia per intraprendere attività finanziarie, divenendo anche leader di un partito omonimo (Șor), formazione filorussa e demagogica sciolta nel 2023. In seguito allo scandalo bancario del 2014 (ammanco peraltro ripianato da un prestito d’emergenza alle due banche da oltre 800 milioni di dollari e finanziato con fondi pubblici moldavi) è stato condannato in contumacia nel giugno 2017 a sette anni e mezzo di reclusione, pena aumentata nel processo d’appello (aprile 2023) a quindici anni[21]. Il politico-faccendiere vive, ufficialmente dal 2019, in Israele e ha mantenuto intatti i legami con Mosca, complice anche il fatto che sua moglie (una cantante pop russa) e i suoi figli vivano in Russia, influendo fino al 2023 nella politica moldava attraverso lo stesso partito Șor, che si è ripresentato costantemente alle elezioni parlamentari. In quelle del 2021 il partito, pur subendo una flessione, ha ottenuto il 5,7 per cento dei voti e Ilan Șor è stato formalmente eletto in parlamento, ma dichiarato decaduto dopo la sentenza di appello. Inutile aggiungere che le proteste che si sono tenute in Moldavia contro le decisioni della presidenza Sandu e l’allineamento con l’Occidente in politica estera, in particolare tra settembre 2022 e giugno 2023, sono state organizzate o appoggiate, oltre che dai partiti filorussi, riuniti dal 2021 nel Blocco dei Comunisti e dei Socialisti (Blocul Comuniștilor și Socialiștilor), guidato dai capi dei rispettivi partiti, Vladimir Voronin e Igor Dodon, anche dallo stesso partito Șor, il cui facoltoso leader è stato inoltre accusato di pagare i dimostranti[22].
Moldavia e Unione europea: una rapida conclusione del negoziato di adesione?
In questo frangente il processo di integrazione della Moldavia nell’Unione Europea procede apparentemente a marce forzate e, probabilmente, con possibilità concrete che l’ammissione all’Unione del piccolo Stato di lingua romena arrivi prima di quella di altri Paesi dell’Europa orientale. Non tanto, forse, per la propensione di buona parte dell’opinione pubblica moldava, che nell’adesione all’Europa vede il doppio vantaggio dell’ingresso in un’area di libero scambio e sicurezza continentale, con i benefici politici ed economici derivanti, ma anche un passo decisivo in direzione dell’unione di fatto, quanto meno doganale, con la Romania. Ad accelerare i tempi potrebbe essere invece la politica moralizzatrice della presidente Sandu, fino ad oggi intesa a varare riforme strutturali e ad introdurre in Moldavia princìpi di governo basati sul rigoroso rispetto della legge.
Le incognite sono legate, naturalmente, alla tenuta dell’attuale maggioranza di governo. Se la popolarità della presidente non è stata intaccata in questi anni tra gli elettori filoeuropei che si identificano come romeni, non si può certo dire che questa sia cresciuta negli ultimi anni tra gli elettori dei partiti filorussi e che si identificano come moldavi. Come se non fossero bastate le dimostrazioni di piazza degli scorsi anni e la notizia dello sventato colpo di Stato nel febbraio 2023, annunciato dal presidente ucraino Zelens’kyj sulla base di informazioni ottenute dai suoi servizi segreti e tale da mettere in allarme non solo Chișinău ma la stessa Unione europea e gli Stati Uniti d’America, rimane nell’aria una sensazione di spaccatura della società moldava in due fronti contrapposti che non sembrano disposti al dialogo. Il problema insoluto della Transnistria aggrava il quadro perché, se è pur vero che già oggi un altro Paese membro dell’Unione europea, Cipro, convive con la presenza al suo interno di una repubblica secessionista (Repubblica Turca di Cipro del Nord) riconosciuta da un solo Stato al mondo, la Turchia, e il cui territorio peraltro divide in due parti la stessa capitale dello Stato (mentre almeno in Moldavia la Transnistria è persino geograficamente estranea ai progetti di riunificazione moldavo-romena), è altrettanto vero che l’opinione pubblica della Repubblica di Cipro (membro dell’Unione europea), pressoché integralmente greca sotto il profilo etno-linguistico, è stata da sempre compatta a favore di più stretti legami con la Grecia e con l’Unione Europea. Così non è invece per quanto riguarda la Moldavia, dove una minoranza ancora oggi molto consistente si oppone più o meno apertamente all’inclusione del Paese nell’Unione europea, puntando a privilegiare i rapporti con la Russia di Vladimir Putin, mentre il fronte dei favorevoli (anche tiepidi) all’Europa sarebbe attestato al 61 per cento, secondo un sondaggio approntato in Moldavia nel marzo 2022, e al 63 per cento, secondo un più recente (luglio 2023) sondaggio dell’International Republican Institute (IRI), organizzazione con sede a Washington. Dati confortanti ma non esaltanti, soprattutto se parametrati all’euroentusiasmo degli ucraini, stimato dallo stesso sondaggio del 2023 al ben più significativo 81 per cento, con punte dell’85 per cento nelle regioni occidentali[23].
In uno scenario in cui la Moldavia diventasse uno Stato membro dell’Unione Europea, la Transnistria con il suo governo sostenuto da Mosca potrebbe esercitare una pericolosa influenza perturbatrice all’interno della politica moldava, volta per esempio a riportare alla presidenza e in parlamento esponenti filorussi, grazie al rafforzamento del fronte euroscettico e al disorientamento (tramite campagne di disinformazione) degli indecisi o dei più tiepidi sostenitori dell’Unione europea, soprattutto in caso di stagnazione o crisi economica accompagnate da alti tassi di inflazione, come peraltro già accaduto nel recente passato. Ipotesi assai improbabile, quella della influenza perturbatrice, se si considera invece il caso cipriota, dove la rigida separazione etnica tra turchi e greci in due Stati diversi rende molto più compatte e non facilmente influenzabili le rispettive opinioni pubbliche. In sostanza permane l’interrogativo: se la Russia non dovesse arretrare dalle sue attuali posizioni in Transnistria, l’Europa sarebbe abbastanza forte da garantire al suo nuovo Paese membro un efficace ombrello protettivo contro campagne di disinformazione, manovre intese a destabilizzare il quadro politico e addirittura eventuali futuri tentativi di rovesciare il tavolo con colpi di Stato?
Attualmente c’è ragione per essere moderatamente ottimisti. La Moldavia è infatti in una certa qual misura “coccolata” da quasi tutti i Paesi membri dell’Unione Europea e dagli Stati Uniti d’America. Non si contano le visite di Stato della presidente Sandu e quelle compiute nel Paese da parte di capi di Stato, di governo e ministri degli esteri europei e occidentali, soprattutto dopo l’invasione dell’Ucraina. In questo senso si legge anche la visita compiuta dal presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella a Chișinău nei giorni 17 e 18 giugno 2024, così come altre analoghe visite ufficiali intesa a garantire un concreto e visibile sostegno internazionale alla presidente Sandu e alla sua politica liberale e filoeuropea. Può questo bastare? Per il momento sì, anche perché c’è ben poco altro che possa essere fatto. Inoltre ognuna di queste visite di Stato ha comunque il vantaggio di comportare la conclusione di accordi ben più concreti per sostenere economicamente e militarmente il rafforzamento delle istituzioni statali moldave, sebbene sia noto che, per quanto riguarda almeno i Paesi europei, questi non siano generalmente nelle condizioni di mettere a bilancio ingenti investimenti per tali fini. Ma il Paese è piccolo e basta relativamente poco per poterlo aiutare.
L’Unione Europea stessa, per quanto possibile, ha elargito sovvenzioni economiche e preso provvedimenti volti a ridurre l’impatto delle campagne di disinformazione attuate dai partiti filorussi, allineandosi talvolta con analoghe misure assunte da Washington, per esempio emanando sanzioni contro i leader più destabilizzanti, sospettati sulla base di quadri indiziari molto solidi di intrattenere relazioni strette con il governo russo e di agire sulla base delle indicazioni del Cremlino. Fra questi a essere sanzionati sono stati i già citati Ilan Șor e Vladimir Plahotniuc[24]. Come si usa dire in questi casi, la Moldavia (o Bessarabia indipendente, se si preferisce un’espressione più “romenofila”) sta attraversando un guado. A seconda di come volgerà il corso degli eventi nei prossimi anni si comprenderà se a essere guadato sarà il Prut, il fiume che la separa dalla Romania e dall’Unione Europea, oppure se sarà il Nistro, il fiume che la unisce alla repubblica secessionista filorussa e che segna il limite di quell’istmo d’Europa che è la soglia dell’area di influenza russa rivendicata da Mosca. Se l’attraversamento del Nistro è cosa che potrebbe realizzarsi assai repentinamente, soprattutto se dovesse materializzarsi in Ucraina il peggiore scenario possibile sul piano militare, il guado del Prut si preannuncia al contrario lungo e irto di ostacoli. È noto che, al di là dell’accelerazione simbolica del processo di adesione all’Unione europea impressa dall’invasione russa dell’Ucraina, che ha portato a numerose e talvolta pleonastiche dichiarazioni in questo senso dei politici brussellesi, sono poi arrivati apparenti segnali concreti di un avvicinamento di Chișinău all’agognato obiettivo.
L’8 novembre 2023 la Commissione Europea ha infatti emanato la relazione sull’allargamento relativa alla Moldavia, con gli aggiornamenti sulle misure di allineamento ai parametri europei che dovranno essere posti in essere dal governo moldavo, e ha raccomandato al Consiglio europeo di ammettere il Paese ai negoziati di adesione. Il Consiglio europeo ha dato il via libera all’accesso al negoziato di adesione lo scorso 14 dicembre 2023 e infine, il 25 giugno 2024, i negoziati di adesione sono stati ufficialmente aperti. Sulla carta sembrerebbe tutto pronto per festeggiare l’adesione della Moldavia all’Unione Europea fra uno o due anni al massimo. Ma la storia dei negoziati quasi infiniti tra l’Unione Europea e diversi Paesi europei candidati all’adesione lascia credere il contrario. Se per l’Albania e la Macedonia del Nord l’accesso ai negoziati è un avvenimento recente, risalente al luglio 2022, così non vale per il Montenegro, i cui negoziati si protraggono dal 2012, e per la Serbia, in stallo dal 2014. Per la madrepatria putativa della Moldavia, la confinante Romania, in un clima geopolitico molto più disteso, il negoziato si protrasse dal dicembre 1999 fino al 1° gennaio 2007, quando il Paese fu accolto come membro a pieno titolo dell’Unione Europea. Ebbene, se il simbolico guado del Prut per entrare in Europa dovesse durare, così come per la Romania, sette anni, significando ai giorni nostri sette lunghi anni di crisi e di conflitto con esito incerto, come quelli che si prefigurano in quella parte d’Europa nel prossimo futuro, non si potrebbe essere neppure certi del felice approdo della Moldavia sulla sponda europea.
A un certo punto c’è da chiedersi se non sia meglio, soprattutto in determinati contesti, procedere forzando un po’ i tempi: d’altra parte cosa ne sarebbe stato, per esempio, della riunificazione della Germania, se si fosse deciso nel 1990 di ammettere la ex Repubblica Democratica Tedesca a un lento processo negoziale al fine di procedere al suo assorbimento nella Germania federale? Probabilmente a un certo punto gli “ossi”, dopo un decennio o più, si sarebbero stancati e non poco adirati di essere trattati dal governo di Bonn come degli alunni ripetenti e magari, chissà, avrebbero alla fine deciso di tenere tutto così com’era. E l’Italia stessa, cosa avrebbe dovuto fare al momento della sua unificazione o dopo le annessioni della prima guerra mondiale? Aspettare anni o anche più di un decennio prima di accogliere le regioni del vecchio regno borbonico, la stessa Roma e le province irredente, attendendo con pazienza che queste armonizzassero i loro sistemi amministrativi, legislativi e di governo con quelli del regno sabaudo? Vladimir Putin peraltro non pare che si faccia tanti scrupoli con negoziati e processi di adesione: se dovesse un giorno riuscire a mettere le mani sull’Ucraina e magari anche sulla Transnistria si può credere che farebbe durare il “processo di adesione” di quelle regioni alla Federazione Russa al massimo qualche settimana.
Va bene che le democrazie liberali sono un’altra cosa rispetto ai regimi autoritari, ma un po’ di elasticità potrebbe aiutare a non dover essere destinati a contrastare quei regimi con un braccio perennemente legato dietro alla schiena. Si potrebbe considerare, ad esempio, uno schema che preveda un’ammissione molto rapida (magari sancita da un referendum e che stabilisca per alcuni anni delle limitazioni alla rappresentanza di quel Paese negli organismi e nelle istituzioni europee), seguita solo allora dall’inizio del processo di allineamento ai parametri dell’Unione europea (ciò che oggi è sostituito da anni di negoziati), procedendo per tappe rigorosamente controllate dalle istituzioni europee, contemplando eventualmente delle sanzioni in caso di ritardi o gravi inadempienze e, nel caso estremo, persino l’espulsione dello Stato membro in fase di allineamento. Una volta compiuto il processo di allineamento il Paese potrebbe godere di un’ammissione con piena rappresentanza in tutti gli organismi e istituzioni europee. Se così fosse il guado della Moldavia potrebbe durare pochi mesi.
A noi spettatori del lento avvicinamento della Moldavia all’Unione Europea non resta invece che rimanere in attesa di un guizzo di buon senso, che si dispera possa però arrivare da un’Unione Europea che per sua natura non è avvezza a trovare soluzioni semplici a problemi complessi, costruita com’è stata per decenni, regolamento per regolamento, trattato per trattato, da una congrega di tecnocrati di Stato e giurisperiti di raffinata quanto arzigogolata cultura, e per di più diretta con un certo piglio moralistico e metodica rigidità da un nucleo di Stati dell’Europa centro-settentrionale non certo noti per essere dotati (a differenza dei popoli dell’Europa mediterranea) di quella duttile fantasia in grado di partorire, alla bisogna, trovate geniali che disorientano gli avversari e rafforzano il fronte interno. Al contrario, come sempre prevarranno la prassi e la pedissequa applicazione di trattati, regolamenti, codicilli e parametri di adeguamento. E non importa che ci sia Putin alla finestra, perché se le regole impongono di fare entrare la Moldavia nell’Unione europea tra sette o dieci anni, allora si aspetteranno sette o dieci anni. Con buona pace degli sforzi di Maia Sandu e della saggezza, temprata da quasi tre millenni di trionfi e disgrazie, della lupoaica Romei, la quale, c’è da temerlo, nei prossimi anni potrebbe non avere altro da fare che scuotere la testa sconsolata.
[1] Florin Constantiniu, O istorie sinceră a poporului român, Bucarest, Editura Univers enciclopedic, 1997, 586 p.; trad. italiana, Storia della Romania, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2015, 652 p. [si vedano le pp.63-67].
[2] Florin Constantiniu, Storia della Romania, op. cit. alla nota 1, pp.67-69.
[3] Ibidem, pp. 275-278.
[4] Ibidem, pp.298-303.
[5] Ibidem, pp. 316-319 e pp. 326-327.
[6] Cristi Vlas, “Igor Dodon: Reintegration of the country would start in 2019-2020”, Moldova.org, 22 giugno 2017; https://www.moldova.org/en/igor-dodon-reintegration-country-start-2019-2020/.
[7] Mirko Mussetti, ”2018, l’anno della Moldavia?”, Limes, 12, dicembre 2017, pp. 239-245.
[8] “În 11 ani, 1 027 091 de cetățeni ai Republicii Moldova au primit cetățenia României”, Journal.md, 29 novembre 2021; https://www.jurnal.md/ro/news/b7cc1a8d1ea2bbb2/in-11-ani-1-027-091-de-cetateni-ai-republicii-moldova-au-primit-cetatenia-romaniei.html.
[9] Președinta Maia Sandu a promulgat Legea care confirmă că limba de stat a Republicii Moldova este cea română, dal sito, Comunicate de presă, Președința Republicii Moldova (22 marzo 2023); https://presedinte.md/rom/comunicate-de-presa/presedinta-maia-sandu-a-promulgat-legea-care-confirma-ca-limba-de-stat-a-republicii-moldova-este-cea-romana.
[10] https://moldovalive.md/anticipating-over-100000-visitors-at-the-22nd-national-wine-day-celebration/.
[11] Nick Savvides, “Reopening of Ukraine Black Sea ports sees Danube cargo drop from peak”, SeatradeMaritimeNews, 6 febbraio 2024, https://www.seatrade-maritime.com/dry-bulk/reopening-ukraine-black-sea-ports-sees-danube-cargo-drop-peak.
[12] Limes, 5, maggio 2022, pp.155-163 [la citazione è a p. 159].
[13] Mirko Mussetti, Andrea Muratore, “La Transnistria strategica”, loc. cit. alla nota 12, p. 160.
[14] Marina Ciobanu, Victor Moșneag, CV-ul și averea Maiei Sandu, Ziarul de Gardă, 15 ottobre 2016; https://www.zdg.md/investigatii/ancheta/cv-ul-si-averea-maiei-sandu/.
[15] Natalia Zaharescu, “How the billion was stolen. Details from the case of Dorin Drăguțanu, Governor of the NBM during the banking fraud period”, Ziarul de Gardă, 7 dicembre 2023; https://www.zdg.md/en/?p=12937.
[16] Mădălin Necșuțu, “Could the Russia-backed breakaway region of Transnistria swing Moldova’s election for Igor Dodon?”, Euronews, 31 ottobre 2020; https://www.euronews.com/2020/10/31/could-the-russia-backed-breakaway-region-of-transnistria-swing-moldova-s-election-for-igor.
[17] Eloise Hardy, “Moldova protests Russian voting stations in Transnistria”, Euronews, 12 marzo 2024; https://www.euronews.com/2024/03/12/moldova-protests-russian-voting-stations-in-transnistria.
[18] “Fake News: Maia Sandu, marioneta lui Soros și a SUA la conducerea Republicii Moldova”, in Veridica.ro, 16 dicembre 2020;https://www.veridica.ro/stiri-false/fake-news-maia-sandu-marioneta-lui-soros-si-a-sua-la-conducerea-republicii-moldova
[19] Petru Negura, “The first woman president of Moldova: an overwhelming yet fragile victory”, ostBLOG.org, 19 novembre 2020; https://ostblog.hypotheses.org/1749
[20] Treasury Targets Corruption and the Kremlin’s Malign Influence Operations in Moldova, U.S. Department of the Treasury, Press Releases, 26 ottobre 2022; https://home.treasury.gov/news/press-releases/jy1049.
[21] “Decizie finală a Curții de Apel: Ilan Șor condamnat definitiv la 15 ani de închisoare”, Moldpres, 13 aprile 2023; https://www.moldpres.md/news/2023/04/13/23003037.
[22] Andrea Nicastro, “Filorusso e latitante, parla Shor, che voleva ribaltare la Moldavia: «Mi perseguitano, serve la neutralità»”, Il Corriere della Sera, 17 luglio 2023.
[23] https://consulting.md/eng/insights-publications/moldovans-opinion-on-the-war-between-russia-and-ukraine; https://www.iri.org/news/iri-polling-shows-strong-support-for-eu-accession-in-ukraine-and-moldova/.
[24] “Council Implementing Regulation (EU) 2023/1045 of 30 May 2023 implementing Regulation (EU) 2023/888 concerning restrictive measures in view of actions destabilising the Republic of Moldova”; Official Journal of the European Union, 30 maggio 2023; https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=CELEX:32023R1045.
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