ROMA LANDER DEL CENTRO ITALIA

POLIS, ROMA

“C’è un asse Meloni/Tajani ed è un asse per la Capitale – scrive il Messaggero – subito dopo le Europee, questo il disegno condiviso da premier e vicepremier che riprendono la bandiera storica dei loro partiti (Più Roma in Italia più Roma per tutti), uno dei primi atti del governo sarà varare la legge delega con cui questa capitale viene equiparata, per quanto riguarda poteri facoltà normative e possibilità di spesa, a una Regione. Roma sul modello Berlino, ecco, visto che la città guida della Germania è di fatto un Land”.

Ci risiamo! Come è già accaduto altre volte, per la verità non molte volte, si torna a parlare di Roma non solo per i suoi rifiuti e le sue buche.

Ma partiamo dall’inizio. I padri costituenti se ne dimenticarono e Aldo Moro nel 1958 provò a metterci una “pezza” ma la commissione che presiedeva non raggiunse l’obiettivo. Ci riprovarono i socialisti nella IX legislatura, ma lo scioglimento anticipato delle Camere impedì l’approvazione di una legge speciale per Roma Capitale. Ancora una volta fu necessaria una “pezza”, questa volta ebbe la forma di un decreto legge del governo Craxi. A cui si aggiunse nella legislatura successiva una leggina per la spesa. Il problema di una legge per la capitale tornò di attualità dopo la riforma costituzionale del 2001, ma il dibattito parlamentare si è trascinato fino alle recenti elezioni politiche senza produrre alcun risultato.

La verità è che non abbiamo alcuna idea di Capitale, non sappiamo che cos’è, non sappiamo come è fatta una Capitale; lo sapevano i Cesari, ed anche i Papi, lo sapeva Mussolini e forse anche Garibaldi, ma noi cittadini del XXI secolo, laici e cattolici, deputati e senatori dell’Italia democratica e repubblicana, non sappiamo come deve essere, che ruolo deve avere, quale immagine, quale sviluppo, non abbiamo cioè una nostra idea di capitale e finché non avremo un’idea di capitale, non potremo costruirla. E infatti ci siamo limitati a dargli il titolo, Roma Capitale.

Roma è così condannata ad essere una città, una delle tante, costretta a contendersi il titolo di capitale con le altre capitali, con quella della moda o con quella dell’arte, come ai tempi delle Repubbliche Marinare. E così Roma si distingue dalle altre grandi città italiane solo perché ha un onere in più: quello di mettere il suo territorio al servizio dello Stato. Ma la capitale è un’altra cosa. Forse è la città-Stato? Difficile dare una risposta, ma sappiamo che la capitale di uno Stato moderno non può stare nello stesso ordinamento che regola in egual modo piccoli e grandi Comuni.

Sappiamo che la capitale dovrebbe avere un Governo con una più vasta autonomia, un Consiglio Comunale con più poteri, forse, dovrebbe avere una sua potestà legislativa, dovrebbe cioè essere non più soltanto un’Assemblea di gestione, ma piuttosto un’Assemblea di Governo. Ma nell’immediato questa strada appare impraticabile, e tuttavia i problemi del territorio, dei servizi, delle opere pubbliche, insomma della qualità della vita, impongono che si trovino le soluzioni, mentre la crisi del regionalismo è terreno di cultura per quanti hanno sposato la causa della Repubblica delle Autonomie solo per sottile calcolo, ma rimanendo fortemente ancorati ad un’ideologia centralistica oppure si inventano una normativa differenziata per Regione.

E allora, che fare? Ci vuole una legge per la Capitale: un atto normativo indispensabile per una ricomposizione funzionale dei poteri pubblici nel quadro legislativo attuale, una legge che stabilisca modi e forme di intervento e non una legge di spesa come quella vigente che viene utilizzata da decenni per far fronte alle difficoltà finanziarie del Comune di Roma, che pure ci sono, ma che è possibile riscontrare, seppure in maniera diversa, in tutti i Comuni italiani.

Si tratta invece di poter disporre di un complesso di norme che, nel rispetto dei principi costituzionali e di poteri delle autonomie locali, consentano una pianificazione delle opere per rendere possibile alla città di Roma di adempiere alla sua funzione, quella di Capitale dello Stato, senza che il peso di quest’onere cada tutto intero sulle spalle di chi nella capitale ci vive. Per ottenere questo risultato è necessario un coordinamento delle competenze statali, regionali, provinciali e comunali.
Un coordinamento delle competenze che si realizzi in una programmazione flessibile degli interventi, e che, specialmente per quanto riguarda le grandi opere infrastrutturali, sia tutt’uno con gli interventi per l’Italia Centrale.

L’obiettivo, dunque, è quello di individuare una sede di concerto, un momento di sintesi che trovi completa espressione in una piattaforma che integra gli interventi di ricostruzione delle aree terremotate dell’Umbria e delle Marche nel quadro del potenziamento dello sviluppo orizzontale del Paese.

Ecco perché non sono più di attualità soluzioni e ipotesi di gestione di questi interventi fatte nel tempo trascorso: per esempio istituire un Commissariato di Governo, oppure un Consorzio di imprese pubbliche e private, a cui affidare la realizzazione degli interventi. Agli atti del parlamento c’è una proposta di legge dei socialisti che negli anni ’80 indicarono in una Agenzia Speciale la soluzione più idonea. Così come sarebbe sbagliato dare poteri straordinari al Sindaco di Roma, perchè verrebbe a sottointendere che gli interventi da compiersi abbiano un carattere appunto straordinario e cioè limitati nel tempo e nella spesa; al contrario, l’intervento dello Stato a favore della Capitale e dell’area centrale dell’Italia deve essere ordinario, costante e senza limiti di tempo.

In definitiva il problema che oggi abbiamo di fronte non è semplicemente quello di fare delle opere funzionali alla missione di una Città di rilievo internazionale, ma quello di realizzare un intervento, che determini lo sviluppo dell’Italia centrale di cui Roma è insieme Capitale dello Stato e centro motore dello sviluppo. È evidente come la salvaguardia di tale obiettivo postuli la necessità di convogliare in un alveo unitario tutte le funzioni di pubblico interesse, la cui esplicazione è indispensabile a fare emergere e a valorizzare in modo coordinato e continuo i peculiari aspetti di Roma Capitale e delle regioni centrali.

Dovremo attendere il risultato delle prossime elezioni Europee per conoscere i piani del presidente del consiglio e del suo vice, ma comunque sia è necessario tenere conto che qualunque progetto di legge, relativo a Roma Capitale e allo sviluppo delle regioni dell’Italia centrale, coinvolge necessariamente le sfere di competenza di più commissioni permanenti: la Commissione interni, per esempio quella di lavori pubblici, delle finanze.
Si tratterebbe quindi di sottoporre i progetti di legge a più commissioni riunite con il rischio di non tenere presente qualche aspetto del problema e di trovarsi di fronte a conflitti di competenza tra commissioni permanenti, non sempre ingiustificati. E allora, l’unica strada praticabile è quella della istituzione di una Commissione speciale del Parlamento a cui siano affidati tutti i progetti di legge, analogamente a quanto è sempre avvenuto ogni volta che si è trattato di un complesso di interventi pubblici organicamente collegati in zone territorialmente limitate. Non manca, d’altra parte, un preciso precedente parlamentare in questo senso: la Commissione per Roma, istituita al Senato della Repubblica nella terza legislatura.

È responsabilità di tutti, politici e tecnici, uomini di cultura ed operatori economici cercare di evitare che di Roma Capitale e dello sviluppo dell’Italia centrale si continui a parlare soltanto nei seminari e nei centri studio, anche quando danno indicazioni utili come quelle elaborate recentemente dal Censis, ma che invece la società civile partecipi all’apertura di questo grande cantiere ideale per passare dal sogno alla realtà.


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