TRA CONFLITTUALITÀ E COLLABORAZIONE

Mezzi di comunicazione e pubblicità ci hanno riempito le menti di spazzatura. Il valore dell’uomo è stato scambiato con la sua vendibilità. Abbiamo creato una società che accentua le diseguaglianze, che esaspera ogni status symbol, che esalta il più forte e umilia gli sconfitti. Si è venuto affermando un capitalismo finanziario, egoista.
Tutto è cominciato con la caduta del muro di Berlino. Si è celebrata la superiorità del sistema capitalistico e si è pensato che il mercato, da solo e senza regole, fosse in grado di garantire un indefinito sviluppo e una ricchezza diffusa. E di conseguenza in Europa si è pensato che fosse sufficiente adottare una moneta unica per mettersi al riparo da qualsiasi crisi e garantirsi un equilibrato ed eterno benessere.

Così nel nostro Paese si veniva affermando il convincimento che bastasse un maggior “tasso di furbizia” nelle relazioni internazionali e un po’ di finanza creativa per poter continuare ad ottenere credito per i nostri debiti così come avevamo fatto lungo cinquant’anni. La verità è che stiamo vivendo la crisi irreversibile del modello di espansione economica nato dalla fine della seconda Guerra Mondiale.

L’imperativo è cambiare le regole. Prendere la via delle riforme. Radicali e profonde. Ma sappiamo che per fare questo una classe politica non c’è, allora è necessario creare una supplenza. Ci vuole un movimento di cittadini capace di rivendicare i propri diritti, un movimento civico fatto da quei cittadini che producono e che consumano. Una nuova alleanza fra produttori e consumatori, un nuovo blocco sociale per costruire una diversa, originale nuova cultura politica. Destra e sinistra non spiegano più la collocazione di parte, si confondono e migrano verso definizioni e territori ideologici indistinti. E’ necessario partire dalla funzione sociale dell’impresa, dai diritti del consumatore e del cittadino. Libertà e responsabilità. È inutile creare illusioni. Sarà necessario un lavoro lungo, paziente.

La crisi ha accelerato la presa di coscienza del diritto al cibo sano ed è nata una cultura alternativa. Sono nati movimenti in molti Paesi del mondo, ed anche in Italia, a favore della qualità del cibo, la qualità come diritto dei consumatori. Movimenti che hanno fatto crescere la consapevolezza di quali e quanti danni hanno provocato alla salute pubblica le attività spregiudicate di certa industria alimentare o di certe catene della ristorazione e della distribuzione.

In questo contesto è necessario porsi la domanda di quale sia il ruolo e la funzione della grande distribuzione e come la GDO si colloca nel rapporto con il produttore da una parte e il consumatore dall’altra. Se è giusto ed attuale garantire a tutti il diritto a un cibo sano, allora è necessario intervenire nel rapporto fra produttore e distributore, sostituendo la competizione con la collaborazione.

Prendiamo in esame due casi: l’olio e il vino. Sono due produzioni che rappresentano bene la produzione agroalimentare del Bel Paese: il surplus di un prodotto di eccellenza come il vino e il deficit di un prodotto a rischio di estinzione, e cioè l’olio italiano.

Il vino lo abbiamo fatto diventare l’immagine del Made in Italy di qualità, esportandolo in tutto il mondo e facendone il prodotto più competitivo con quello che sembrava essere un leader di mercato imbattibile, il vino francese. Questa è la dimostrazione che si può affrontare il tema della produzione di un bene di consumo in due modi: il modo con cui i produttori di vino del nostro Paese hanno fabbricato una eccellenza, dall’altra una assenza sul mercato dei produttori di olio che ha lasciato spazio ad una industria del confezionamento che ha inondato le nostre tavole di un prodotto estero di bassa qualità che ha espulso dal mercato l’olio Made in Italy.

Ma ciò è potuto accadere perché nel Sistema Italia si era consolidata l’idea “piccolo è bello”, utile anche a giustificare politiche assistenziali ad una agricoltura fatta da piccole e piccolissime aziende che, per ragioni di dimensione, non erano in grado di raggiungere il mercato.

La necessità di competere con i prodotti di altri Paesi, l’affermarsi di una nuova cultura del cibo e l’emergere di un consumatore consapevole ha spinto la produzione alimentare del nostro Paese a ricercare nuovi traguardi come la tipicità e la qualità.
E soprattutto la salute del consumatore. Perché, come disse Leonardo da Vinci, “noi siamo fatti delle cose mangiate”.
Da qui la necessità/utilità delle certificazioni. Perché la certificazione, al di là di contraddizioni e insufficienze, costituisce una garanzia per il consumatore.
Sulla origine, sul processo di produzione, sulla qualità.
E per quanto più direttamente ci riguarda può garantire la italianità del prodotto. E l’italianità, in un mercato globale delle merci, non è un valore di poco conto. È il punto di incontro degli interessi del consumatore con quelli della comunità in cui viviamo. Made in Italy significa crescita del valore del prodotto nazionale, crescita delle imprese.

Se ciò è vero per la generalità dei prodotti, per l’olio dalle olive diventa determinante. Il problema è che la quantità di questo prodotto è al di sotto della domanda di consumo che c’è nel nostro Paese. C’è quindi un deficit di produzione a fronte della quale altri Paesi del Mediterraneo, come la Spagna o la Tunisia, hanno un surplus e sistemi di produzione a costi molto più bassi di quelli italiani. Tutto ciò a determinato una crisi cronica dell’extravergine Made in Italy e il formarsi di una forte industria di confezionamento cresciuta sull’importazione di oli stranieri a basso costo e di bassa qualità venduti con marchi italiani. Questa situazione richiede interventi più rigorosi, nel rispetto delle normative comunitarie e degli interessi di tutti gli attori della filiera, per salvaguardare la presenza sul mercato delle imprese agricole e artigiane con il fine di garantire al consumatore un prodotto buono, sano e nutriente e il massimo di trasparenza.

Un obiettivo forte: inaugurare una nuova, rigorosa ed incisiva azione di governo del sistema agroalimentare collocando al centro il consumatore, il cittadino, il prodotto italiano che, nel rigoroso rispetto della sicurezza, corrisponda al diritto di tutti di avere un cibo di qualità ad un prezzo giusto. Sarà anche questo un modo per superare la crisi.


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