ERNEST HEMINGWAY A STRESA

Nella vita e in “Addio alle armi”

Ernest Hemingway, quarantanovenne, giunge a Stresa al Grand Hotel des Iles Borromée, con la sua inconfondibile Buick azzurra decappotabile, la quarta e ultima moglie Mary, l’autista Riccardo, in occasione dell’elezione di Miss Italia che si svolge il 26 Settembre 1948 al Grand Hotel Regina.

Nel registro delle presenze del grande albergo che lo ospita per la seconda volta, si firma an old client, un vecchio cliente. Hemingway infatti, diciannovenne, nel 1918 aveva trascorso dieci giorni di convalescenza a Stresa al Grand Hotel des Iles Borromée, dopo le gravi ferite a una gamba riportate come volontario dell’esercito americano sul fronte del Piave e durante il periodo di cura, presso l’ospedale della Croce Rossa americana di Milano.

Quando nel 1928 scrive in poche settimane la prima stesura di “A Farewell to Arms”, completato a Parigi nel 1929 (ma pubblicato solo nel 1948 nella traduzione italiana di Fernanda Pivano con il titolo di “Addio alle armi”), Hemingway ambienta l’ultima parte del romanzo negli stessi luoghi del lago Maggiore e nello stesso grande albergo di Stresa, dove ha trascorso la convalescenza nel 1918.

L’esperienza vissuta dal giovane Ernest, arruolato con il corpo di spedizione statunitense del generale Pershing e in forze a Fossalta di Piave sul fronte italo-austrico, durante la prima guerra mondiale, si ritrovano nel romanzo fin dalle prime pagine. I personaggi, gli scenari, i luoghi sono costruiti attraverso la verità della sua memoria, perché, come sottolinea Ford Madox Ford nella “Prima introduzione per la Modern Library Edition” del 2032, per il lettore la storia diventa quasi un’esperienza ricordata.

La storia personale di Hemingway è infatti rivissuta quasi integralmente attraverso il protagonista del romanzo, il tenente Frederik Henry: la sua esperienza al fronte come autista di ambulanze, le ferite a una gamba colpita da una bombarda austriaca, il ricovero presso l’ospedale della Croce Rossa americana di Milano; la storia amorosa con la protagonista femminile del romanzo l’infermiera Catherine Barckley dietro cui si cela la storia vera del giovane Ernest con l’infermiera Agnes von Kurowsky.

Stresa e il Grand Hotel des Iles Borromée vengono raccontati e dipinti com’erano al tempo della prima guerra mondiale, proprio come appaiono nelle foto dell’epoca. Il grande albergo, il primo costruito a Stresa nel 1861 e adibito a convalescenziario durante la guerra, oltre ad ospitare ricche famiglie di sfollati dalle grandi città, obiettivi di frequenti bombardamenti, si presentava così al giovane Hemingway: una grande facciata lineare e sobria nel semplice susseguirsi di gradi finestre, un abbaino centrale quale unico elemento decorativo (caratteristica degli edifici del lago di fine Ottocento); uno spazio antistante riservato al passaggio e alla sosta delle carrozze delimitato da una semplice recinzione di ferro; oltre la strada carreggiabile del Sempione, la riva del lago con alcune barche tirate in secca; due terrazzamenti decorati con aiuole; di fronte lo spettacolo delle isole Borromee, inserite in una cornice di montagne e colline che si riflettono in uno specchio d’acqua ampio e sinuoso dal Ticino fino alla Svizzera.

L’arrivo di Ernest a Stresa è avvenuto verosimilmente come quello di Frederik, disertore in fuga verso la Svizzera dopo la disfatta di Caporetto, quando, indossati gli abiti civili, dopo un viaggio in treno, trova rifugio al Grand Hotel des Iles Borromée di Stresa, dove inizia la parte finale del romanzo:

Avevo comprato a Milano un biglietto per Stresa. […] Il Grand Hotel Des Iles Borromée era aperto e parecchi albergucci che stavano aperti tutto l’anno. Mi avviai nella pioggia verso l’Iles Borromée portando la valigia. Vidi una carrozza che scendeva la strada e feci segno al vetturino. Era meglio arrivare in carrozza. Entrammo nel viale del grande albergo, il portiere uscì con l’ombrello e fu molto gentile. Presi una buona stanza. Era molto grande e chiara e guardava sul lago. Le nuvole erano scese sul lago ma doveva essere bello col sole. Aspettavo mia moglie, dissi. C’era un gran letto doppio, un letto matrimoniale con una coperta di satin. L’albergo era molto lussuoso. Attraversai i lunghi corridoi, le larghe scale, i saloni fino al bar.

[…] Scendemmo a far colazione […] Ci servirono una buona colazione con un paio di bottiglie di Capri bianco. […] L’albergo era enorme e imponente e vuoto ma il cibo era buono e il vino molto piacevole e alla fine il vino ci fece sentire bene.

Nella realtà, Ernest scrive alla sua famiglia, in alcune lettere di fine Settembre 1918:

Sono qui a Stresa, località sul lago Maggiore, uno dei più bei laghi italiani […] Questo è un posto fantastico. L’hotel è ottimo come il Chicago Beach nel South Side. Nonostante la guerra è pieno di ospiti […] Ci sono parecchie contesse. […]Sono qui da quattro giorni […] Sono qui in permesso ai Laghi. Sopra le nuvole vedo la Svizzera. […] Sono qui a Stresa, un resort sul lago Maggiore, uno dei più bei laghi italiani. Ho dieci giorni di permesso dall’ospedale e resto qui. […] Fra non più di quattro giorni dovrei tornare all’ospedale di Milano per dei trattamenti elettrici alla mia gamba. […] Questo è un posto fantastico.

Nelle lettere ai suoi familiari e amici come nel romanzo, Hemingway descrive le relazioni intrecciate con gli ospiti, il suo rapporto con l’ambiente del lago e delle montagne che lo circondano. Descrive con un entusiasmo quasi infantile le meraviglie del paesaggio e del grande albergo. Nella lettera del 26 Settembre To Marceline Hemingway racconta:

Vado a pescare e faccio il bagno…

Visita anche il Palazzo Borromeo dell’isola Bella. Infatti l’archivio conserva la sua firma nel registro dei visitatori del 1918.

Nella lettera del 29 Settembre scrive che da due giorni è ospite dell’albergo il vecchio conte Grecco, centenario che si prende cura di lui e lo presenta a circa 150 persone! É molto in gamba, non si è mai sposato, va a letto a mezzanotte, fuma e beve champagne. Gli racconta delle sue cene con Maria Teresa, la moglie di Napoleone; delle relazioni amorose con donne dell’ultimo secolo passate alla storia. Zoppica, ma rema sul lago, si siede sotto gli alberi e ascolta la musica, fa gite in montagna con il trenino che risale la montagna sopra Stresa. Ernest scrive: Andiamo al Mottarone e abbiamo visto il monte Rosa.

In “Addio alle armi”, nel XXXV capitolo, il personaggio del Conte Giuseppe Greffi corrisponde perfettamente al vecchio conte Grecco ospite del Grand Hotel:

Il conte Greffi aveva novantaquattro anni. Era stato un contemporneo di Maeterlink ed era un vecchio coi capelli e baffi bianchi e bei modi. Era stato nel servizio diplomatico tanto dell’Austria che dell’Italia e i ricevimenti per i suoi compleanni erano i grandi avvenimenti della società di Milano. Si avviava a diventare centenario e giocava un biliardo sciolto ed elegante in contrasto con la sua fragilità di novantaquattrenne. Lo avevo conosciuto quando ero stato a Stresa un’altra volta fuori stagione e giocando a biliardo avevamo bevuto champagne. Mi parve una cosa splendida e mi diede quindici punti al cento e mi vinse. […] Trovai il conte Greffi nella sala da biliardo. Stava esercitandosi e aveva un’aria molto fragile sotto la luce che cadeva sul tavolo da biliardo. Su un tavolino da gioco, poco discosto dalla luce, c’era un secchiello d’argento col collo e il turacciolo di due bottiglie di champagne che si affacciavano dal ghiaccio…

I ricordi dell’esperienza vissuta da Hemingway a diciannove anni a Stresa si sposano oltre che con le sue irrinunciabili bevute, anche con la sua passione per la pesca che porta il pensiero a “Il vecchio e il mare” dove i dialoghi tra il vecchio e il ragazzo, con un ritmo cadenzato e lento, ritornano in Addio alle armi tra Frederik e il barman dell’hotel:

Il barman mise una giacca e uscimmo. Scendemmo in città e prendemmo una barca e io remai mentre il barman sedeva a poppa e lanciava la lenza con l’esca a cucchiaio e un peso al fondo per pescare le trote del lago. Remammo lungo la spiaggia mentre il barman teneva la canna in mano e dava di quando in quando qualche balzo in avanti. Dal lago Stresa appariva molto deserta. C’erano le lunghe file di alberi nudi, i grandi alberghi e le ville chiuse. Remai verso l’isola Bella e mi avvicinai ai muraglioni, dove l’acqua diventava improvvisamente più fonda e si vedeva il muro di roccia scendere obliquo nell’acqua, e poi risalii lungo l’isola Pescatori. Il sole era sotto una nuvola e l’acqua era cupa e liscia e molto fredda. Niente abboccò, per quanto vedessimo sull’acqua qualche cerchio di pesci che salivano. Mi avvicinai remando all’isola Pescatori dove c’erano barche tirate a secco e uomini che rammendavano reti. «Dobbiamo bere qualcosa?» «Va bene.» Portai la barca al molo di pietra e il barman tirò su la lenza, avvolgendola in fondo alla barca e agganciando l’esca a cucchiaio sull’orlo della falchetta. Io scesi e legai la barca. Andammo in un piccolo caffè, sedemmo a un tavolo di legno nudo e ordinammo del vermut. […] Il barman remò al ritorno. Risalimmo il lago oltre Stresa pescando e poi scendemmo non lontano dalla spiaggia. Tenevo la lenza tesa e sentivo il lieve pulsare dell’esca a cucchiaio che si rivoltava mentre guardavo la cupa acqua di novembre del lago e la riva deserta. Il barman remava a vogate lunghe e nella spinta in avanti della barca la lenza vibrava. Una volta qualcosa abboccò: la lenza si indurì all’improvviso e balzò indietro, io tirai e sentii il peso vivo della trota e poi la lenza vibrò di nuovo. L’avevo mancata…

Ernest Hemingway, come documenta la lettera del 29 settembre, si trattiene a Stresa dieci giorni. Finita la convalescenza sul lago rientra a Milano all’Ospedale della Croce Rossa americana. A fine dicembre torna al fronte sul Piave prima di imbarcarsi da Genova per gli Stati Uniti all’inizio di gennaio del 1919.

Nel romanzo i protagonisti restano al Grand Hotel des Iles Borromée solo alcuni giorni. Hemingway nelle ultime pagine, che anticipano il tragico epilogo che si consumerà in Svizzera, lascia il ricordo di quel lago che era solito osservare dalla finestra della sua camera, rimasto dipinto con colori indelebili nella sua memoria:

Ricordo quando mi svegliai quel mattino. Catherine dormiva ancora e la luce del sole entrava dalla finestra. Non pioveva più e scesi dal letto e attraversai la stanza fino alla finestra. Giù c’erano i giardini, ora spogli ma regolari e belli, i sentieri di ghiaia, gli alberi, il muro di pietra sul lago e il lago nella luce del sole con le montagne in fondo. Rimasi alla finestra a guardare fuori…

Avvisati dell’arresto imminente di Frederik, di notte lasciano con una barca la spiaggia di fronte all’albergo. Si avventurano nella nebbia e sotto la pioggia verso Pallanza, sulla sponda di fronte a Stresa. Frederik attraverso gli occhi e la memoria di Hemingway riconosce le luci di Laveno, di Luino, le montagne che contornano il lago fino alla Svizzera:

Mi tenevo vicino alla riva perché avevo paura di smarrirmi nel lago e perder tempo. A volte eravamo così vicini che si poteva vedere una fila d’alberi e la strada lungo la riva con le montagne dietro. Non pioveva più e il vento respinse le nuvole finché la luna apparì e guardando indietro vidi la lunga punta nera di Castagnola (collinetta verdeggiante tra Pallanza e Intra) e il lago con frangenti bianchi e più in là la luna sulle alte montagne di neve. Poi le nuvole tornarono a coprire la luna, e le montagne e il lago scomparvero ma era molto più chiaro di prima e si poteva vedere la riva. […] Quando la luna ricomparve vedemmo le ville bianche sulla riva sui pendii della montagna e la strada bianca che trapelava tra gli alberi. Il lago si allargò e sulla riva opposta, ai piedi delle montagne, vedemmo qualche luce che doveva essere di Luino. Vidi uno spacco cuneiforme tra le montagne sull’altra sponda…

Quando nel 1948, dopo trent’anni, lo scrittore torna al Grand Hotel des Iles Borromée è ricco e famoso. Anche Stresa, dopo la prima guerra mondiale, ha assunto una fisionomia dal gusto “floreale” secondo lo stile liberty imperante. Grazie al successo di “Addio alle armi” è diventata famosa in tutto il mondo. Lo stesso albergo ha perso l’essenzialità originaria delle sue linee; è stato sopraelevato, ampliato, impreziosito; si affaccia su un lungolago ricco di piante e fiori.

Hemingway occupa la suite n° 5, da allora suite Hemingway, la più elegante ed esclusiva del Grand Hotel, che accorpa tre stanze diventate un ampio appartamento di 240 m.q. con arredi preziosi, fotografie dello scrittore, un’ampia terrazza sul lago. L’angolo bar, vicino alla maestosa entrata principale, porta anch’esso il suo nome e ostenta con giusto orgoglio una sua fotografia. É risaputo quanto l’alcool abbia accompagnato la vita dello scrittore fin da ragazzo. Per Hemingway come per Frederik il buon whisky è molto picevole. E’ una delle parti piacevoli della vita. Nella lettera To William B. Smith del 13 dicember 1948, il sotto tenente Ernest scriveva: cinquanta dollari ferrosi non sono molto per vivere. […] Se consideri che bevo più o meno 50 Martini al giorno!

Una foto dell’archivio Borromé lo riprende mentre sta pescando di fronte all’isola Bella come nel romanzo.

I temi fondamentali della narrativa di Hemingway, guerra, amore e morte, sono i punti fermi della sua vita, audace, spregiudicata, divisa tra l’incanto dell’esistenza e la sua precarietà; il sentimento di rivolta contro il sangue versato ingiustamente nelle guerre. L’esperienza estrema sul fronte italiano in bilico tra la vita e la morte, le ardite battute di caccia e di pesca al marlin vissute da ragazzo con il padre continuano nella sua vita di reporter di guerra e di scrittore.

Il conte Greffi del romanzo, dietro cui si nasconde il conte Gracco conosciuto dal giovane Ernest convalescente al Des Iles Borromée, è lo stesso Hemingway che nel 1948, di fronte a numerosissimi giornalisti, mette in gioco il suo inseparabile kit da bigliardo. Perde per la scommessa sulla vincitrice del concorso di bellezza che si svolge a Stresa presieduto da Totò. In un articolo de La Stampa V.C.O dell’8 dicembre 2021 di Luca Gemelli, nipote del vincitore della scommessa, si legge:

Hemingway passò la notte tra la tavola da biliardo e il bar Des Iles, dove alloggiava anche mio papà, reduce da pochi anni dai campi di battaglia di El Alamain e Kasserin […] e quella notte, il famoso scrittore e mio padre strinsero amicizia tra fiumi di alcol, racconti di guerra e partite a biliardo.

Anche la vita stessa è per Hemingway un gioco d’azzardo che si può vincere, ma anche perdere… fino a spararsi con il proprio fucile da caccia, a soli sessantadue anni, in un giorno caldo e assolato di piena estate.

Pochi anni prima, nel 1954, già scrittore mito della beat generation e simbolo della letteratura mondiale del ‘900, era stato “vincitore” del premio Nobel.


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