ADELAIDE CAIROLI E LE CAMICIE ROSSE DEI GARIBALDINI

VALERIA BIRAGHI

Superata a Stresa la villa Ducale, sede tuttora dell’Istituto di Studi Rosminiani, dove dal 1849 al 1855 si svolsero i famosi incontri tra Rosmini e Manzoni, immaginiamo di calarci nella realtà di quegli stessi anni e di proseguire in carrozza verso Belgirate, a cinque chilometri di distanza nella direzione di Arona. La strada napoleonica, che dal Sempione conduce a Milano lungo il litorale del lago Maggiore fino al Ticino, si snoda tra le pendici delle montagne e la riva del lago. Sulla sponda opposta degradano le colline lombarde sotto il dominio austriaco, con l’aquila imperiale e la costante minaccia dei cannoni del feldmaresciallo Radetzky puntati dai suoi “vapori” di guerra verso la cittadina di Arona. Qui nel 1848 è rientrata, perdente, la flotta di Garibaldi dopo gli scontri tra Cannero e Laveno. Ancora qui, nel 1859, è iniziata la liberazione della Lombardia, quando Garibaldi con i suoi sfondò il confine sul Ticino per penetrare in Brianza, quindi a Milano.

La strada è polverosa. Tra carri, carretti, uomini e donne che procedono a piedi, si fanno strada le carrozze – privilegio della classe aristocratica e alto borghese – che hanno accompagnato le personalità illustri del Risorgimento tra una villa e l’altra, dove nei “salotti”, si consumava l’attesa dei grandi eventi che avrebbero portato all’unità d’Italia.

Superata la villa “Pallavicino” costruita sulla collina da Ruggero Bonghi, il fedele amico e testimone dei colloqui tra Manzoni e Rosmini, e futuro ministro del regno d’Italia, arrivati con la carrozza a Belgirate, non possiamo non fermarci di fronte alla villa di Adelaide Bono Cairoli.

Affacciata sul lago, di color giallo intenso, arroccata alle prime pendici della collina Motta Rossa che le regala una posizione dominante sull’ incantevole Golfo Borromeo, è composta da più corpi su piani diversi che portano ai giardini retrostanti e collegati fra loro da una serie di ampie vetrate. Tra le prestigiose ville di Belgirate, Villa Cairoli è una delle più famose,  antiche e storiche con la sua targa commemorativa che si legge a fatica dietro una lunga cancellata di ferro battuto.

Osservando la villa da una panchina dell’attuale ridente lungolago ricco di aiuole fiorite, e dove spicca il monumento dedicato a Benedetto Cairoli; mentre scorrono sulla strada del Sempione le auto di turisti italiani e stranieri, che ci riportano alla nostra convulsa contemporaneità, l’immagine che per prima ci viene alla mente è quella di Adelaide che nella sua prestigiosa dimora chiama a raccolta le donne di Belgirate per confezionare tutte insieme le camicie rosse per i Garibaldini pronti a partire per la spedizione dei Mille del 1871. La villa che abbiamo di fronte, imponente e silenziosa, si anima attraverso una nostra ricostruzione fantasiosa. Vediamo le donne di Belgirate, nonne, madri, figlie, con l’entusiasmo che accelera i passi, che escono dalle povere casupole incollate le une alle altre e scivolano verso il lago lungo i tortuosi vicoletti in discesa. Un segno di croce di fronte alla chiesa “vecchia” dedicata a Santa Maria, un sogno affidato a una preghiera.

Quindi la villa risuona del chiacchiericcio delle donne chine sui panni rossi che vengono tagliati, cuciti con mani agili e veloci. Adelaide incoraggia, elogia, muovendosi orgogliosa fra le camicie rosse. Le immagina indossate da quei giovani ardimentosi, spronati da Garibaldi a cavallo, a cui affida la comune speranza di libertà e unità della nazione.

La vita intensa e gloriosa di Adelaide Cairoli e dei suoi figli, eroi e martiri del Risorgimento italiano, merita di essere ricordata ripercorrendone la storia.

Adelaide, terza di quattro sorelle, nacque a Milano in una famiglia di estrazione aristocratica: la madre era contessa e il padre un conte che aveva avuto vari incarichi prestigiosi all’epoca delle repubbliche napoleoniche. Rimasta orfana a cinque anni, Adelaide ricevette un’educazione religiosa studiando a Verona presso l’istituto delle suore del Collegio Reale.

Nel 1824, a 18 anni, sposò il pavese Carlo Cairoli, un vedovo con due figli, più grande di lei di 28 anni. La casa di Cairoli, a Pavia, era in parte adibita ad ospedale. Qui Adelaide conobbe Carlo, prestigioso chirurgo, convinto patriota e cattolico praticante.

Il loro fu un matrimonio con profondi legami e da esso nacquero otto figli: Benedetto, Maria Teresa, Teresa Caterina, Ernesto, Luigi, Enrico, Giovanni e Carolina che morirà poco dopo la nascita.

Adelaide, oltre ad essere una donna di grande cultura, fu una madre molto attenta ad instillare nei figli forti sentimenti di amor patrio e ad educarli all’amore per la società. Inoltre la sua situazione economica benestante le permise di finanziare varie attività patriottiche e giornali legati a questi ideali. Tenne una ricca corrispondenza con illustri personaggi del Risorgimento ed entrambe le sue dimore, nel pavese e a Belgirate, già di proprietà della sua famiglia, divennero salotti politici e letterari. Nella villa di Belgirate si svolsero molti incontri tra politici e patrioti. Tra gli ospiti celebri che vi soggiornarono più assiduamente vi fu Giuseppe Garibaldi.

Quando Carlo Cairoli morì per una banale caduta dalla carrozza, Adelaide, nominata per testamento di Carlo tutrice dei figli minori, seppe con determinazione affrontare da sola la conduzione della famiglia e i problemi finanziari legati alla gestione delle proprietà fondiarie del marito. Dopo la morte di due figlie, Adelaide si legò ancor più saldamente a Mazzini e a Garibaldi. Anche per questi legami e per questo clima patriottico tutti i suoi figli maschi parteciparono alle lotte per l’indipendenza italiana. Il primo ad impegnarsi partendo volontario per le varie guerre fu il primogenito Benedetto che sarà l’unico a non cadere in combattimento. Anni dopo, tra il 1878 e il 1881, rivestirà la carica di presidente del Consiglio del Regno d’Italia. Ernesto è il primo figlio a morire nel 1859, nella seconda guerra di Indipendenza, arruolato nei Cacciatori delle Alpi, una brigata di volontari piemontesi agli ordini di Garibaldi che ricordò con emozione questo avvenimento, riconoscendo ed esaltando l’influenza patriottica di Adelaide sui figli. Spesso Adelaide faceva loro visita nei quartieri militari, accolta con entusiasmo dai Garibaldini. Nel 1860 si recò a Quarto per salutare Benedetto ed Enrico, volontari nella Spedizione dei Mille.

Così scrisse al figlio Benedetto appena partito con il fratello:

Quante cose vorrebbe dirti la tua mamma! Ma l’emozione che rende cotanto convulsa l’anima mia, mi rende più che mai incapace di tradurti quei sentimenti che formano a vicenda la mia delizia e il mio tormento. Oh mio Benedetto! Quali sorprese mi sono riservate dal tuo nobile slancio e da quello del nostro Enrico. La vostra mamma è fiera ed ha diritto di esserlo, di possedervi. Ma quanto le costa questa suprema sua materna gloria.”

Entrambi feriti durante la spedizione, furono raggiunti dal fratello Luigi che morì a Napoli nel settembre del 1860, dopo essersi distinto nell’impresa siciliana e aver partecipato alla marcia di risalita della penisola. Risulta, da una lettera a Benedetto, che Adelaide seguisse su una mappa gli spostamenti dei figli e che il timore per il loro futuro fosse mitigato dal loro valore. Durante il trasporto della salma di Luigi da Napoli a Pavia ci furono molte cerimonie pubbliche lungo la penisola. Ippolito Nievo, scrittore e patriota garibaldino scrisse nel 1860 di Adelaide: “va segnando di tombe e di lacrime il sentiero di glorie per cui l’Italia ritorna alla sua grandezza.”

Benedetto ed Enrico ritornarono a casa gravemente feriti, ma preoccupati per l’esito della spedizione dei mille dopo l’incontro di Teano, perché Roma e Venezia sarebbero state annesse al Regno d’Italia di marca piemontese senza combattimenti.

Mazzini scrisse ad Adelaide di convincere Garibaldi a riprendere la lotta. Sollecitata da altri patrioti, Adelaide lo convinse a intraprendere una spedizione per conquistare Roma. Ma nel 1862 Garibaldi venne fermato e ferito dall’esercito piemontese-italiano.

Dal 1866 al 1867 Benedetto, Enrico e il giovanissimo Giovanni parteciparono alla terza guerra d’indipendenza con Garibaldi, ricevendo riconoscimenti e medaglie per il valore dimostrato. Quindi Giovanni ed Enrico parteciparono all’ultimo tentativo guidato da Garibaldi e sostenuto da Mazzini, di conquistare Roma. I Francesi intervennero a difendere il regno di Pio IX mentre il Regno d’Italia non sostenne Garibaldi per motivi diplomatici.

Nella spedizione per la conquista di Roma, Enrico fu ucciso a villa Gloria e Giovanni morirà dopo due anni per le ferite riportate.

Il sacrificio e il dolore sopportati da Adelaide, la portarono all’apice della fama, tanto che fu definita “madre della Nazione”.

La sua abnegazione e il suo amore per la causa italiana suggerì a Giuseppe Garibaldi un’espressione che resterà nei libri di storia: Con donne simili una nazione non può morire.

Fino all’ultimo, costretta a letto dalla malattia causata da queste sofferenze, accudita dall’ultimo figlio sopravvissuto Benedetto, continuò a sostenere che il dolore di una famiglia era ben poca cosa rispetto all’ideale dell’Unità vera dell’Italia. Adelaide morì prima di vedere Benedetto Presidente del Consiglio del Regno d’Italia, il 27 marzo del 1871 e fu sepolta nella tomba di famiglia, accanto ai suoi figli a Gropello che diventerà Groppello Cairoli. A Milano venne posta una lapide, in via Bigli 1, sulla facciata della casa dove era nata: “Adelaide Bono Cairoli/fra le madri fortissima/qui nacque li 8 marzo 1806”.

Il 24 ottobre 1875 venne inaugurato a Gropello Cairoli, un monumento alla sua memoria commissionato dal comune. La statua del fiorentino Girolamo Masini in marmo bianco, presenta la donna in posizione eretta nell’atto di procedere con sguardo fiero e triste. Alla cerimonia della posa dell’opera presenziarono, oltre al figlio Benedetto, garibaldini  e rappresentanti della sinistra democratica italiana, il deputato Felice Cavallotti e altre autorità del Regno. Durante questa cerimonia celebrativa Adelaide venne paragonata a una novella Niobe.

Il salto nel passato a cui induce la villa Cairoli con le sue suggestioni invita a lasciare le case che si susseguono di fronte al lago, strette le une alle altre con la loro armoniosa policromia, per seguire le stradine dell’antico borgo che attraverso percorsi tortuosi dal Sempione si arrampicano sulla collina. Le gradinate che assecondano i dislivelli del percorso tortuoso si snodano fra casette con terrazzini fioriti, lampioni dal sapore antico, qualche lavatoio, qualche cappella slavata dal tempo. Ogni angolo del borgo sorprende per l’autenticità di una storia passata, ma ancora pulsante. Le vecchie casupole, dove vivevano i pescatori, i giardinieri e la manovalanza al servizio dei proprietari delle ville prestigiose sono state adeguate alle esigenze moderne con il rispetto per le loro origini.

Eleganti dimore ottocentesche, tra giardini fioriti, grandi terrazze, porticati, riportano invece ad altre presenze illustri a Belgirate: quella di Manzoni, Rosmini e Bonghi che passeggiavano tra le caratteristiche “rughe”, i vicoli del centro storico; quella di Pietro Borsieri, patriota e scrittore esiliato a Belgirate, dove morì nel 1852, dopo aver pagato con la prigionìa i suoi ideali di libertà, quella di Niccolò Tommaseo, ospite assiduo.

La settecentesca villa del conte milanese Galeazzo Fontana, oggi villa Treves, era una tappa obbligata per Giulio Carcano, i coniugi Collegno, Ruggiero Bonghi quando con la carrozza attraversavano Belgirate per raggiungere a Lesa il “venerato” Alessandro Manzoni.


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