LA POTENZA DI UNA VOCALE

“Il personale è politico” è una affermazione importante nata e diffusasi tra gli anni Sessanta e Settanta.

Tende, in generale, a sottolineare come vi sia una stretta continuità fra gli aspetti sociali di una condizione storica e quelli, apparentemente più limitati e indipendenti, che agiscono nella sfera dei rapporti privati e dei comportamenti conseguenti.

Non casualmente trovò terreno fertile nel momento della crescita dei Movimenti Studenteschi e, soprattutto, di quelli Femminili e Femministi.

La attenzione si spostava dal tradizionale terreno dello sfruttamento della forza lavoro e dalla conseguente lotta di classe a quello sofferenza sul piano dei rapporti interpersonali, con particolare riferimento al rapporto maschio – femmina.

Si trattò di un cambiamento non da poco.

Costrinse la politica e le varie forme di rappresentanza a iniziare ad occuparsi anche di aspetti della esistenza che avevano scientemente sempre rimosso.

In particolare le forze di sinistra avevano un tradizionale punto di vista basato sulla illusione che, una volta ottenute democrazia e giustizia sociale, le altre questioni dolorose si sarebbero risolte progressivamente in bene.

In altri termini, il prevalere di importanza della economia considerata come “struttura” da cui dipendevano gli altri aspetti della vita sociale (considerati appunto “sovrastruttura”) si risolveva in questo quadro in termini positivi.

Un mondo socialmente più giusto ed equilibrato sarebbe diventato tale anche sul terreno dei rapporti interpersonali e quindi nella sfera del privato.

Di passaggio si può osservare che veniva con questo atteggiamento cancellato e rimosso il più importante e duraturo insegnamento dell’Anarchia che partiva invece proprio dalla infelicità personale per lanciare la propria idea di rivoluzione.

Di qui l’attenzione sulla Felicità, l’impegno sulle norme relative al diritto di famiglia e in generale la considerazione più consapevole ed impegnata sulle forme di oppressione di natura interpersonale.

Persino la cancellazione delle attenuanti concesse al colpevole in caso di delitto d’onore (che arriverà soltanto nel 1981) appare come una ulteriore conseguenza della scoperta che “il privato è politico” e dei movimenti che questo principio aveva contribuito ad attivare.

La collettività, insomma, inizia ad imparare a non distogliere lo sguardo dai comportamenti cosiddetti privati perché anche essi la definiscono in quanto polis.

In quanto, cioè, comunità civile mossa ed organizzata da principi verso i quali non si deve smettere di operare per la loro piena realizzazione.

Naturalmente oggi la forza eversiva di questo passaggio teorico appare ancora maggiore.

Una gran parte del mondo è autoritariamente guidata da una concezione di tipo religioso che considera legittima e dovuta sia l’oppressione femminile che la stroncatura violenta di ogni comportamento personale considerato abnorme.

L’idea della continuità fra sviluppo complessivo e miglioramento dei rapporti interpersonali va ora più che mai difesa con forza ma deve sempre essere unita alla difesa della libertà individuale in termini assoluti.

Comunque, non è che le cose vadano così bene anche dalle nostre parti.

Qui una vocale ha diffusamente modificato il senso dello slogan da cu siamo partiti.

Qualcuno, per ignoranza o malvolenza, ha iniziato (molti anni fa) a scandire che “il personale è politica” modificando la desinenza dell’ultima parola.

E, stranamente, molti lo hanno subito seguito.

Siamo a parecchi anni fa.

Una mia amica rimane incinta, diciamo casualmente, di un uomo che non ama e che a sua volta non la ama.

Vorrebbe, vorrebbero entrambi, abortire e superare questo momento difficile.

Ma Maria (chiamiamola così) è una fervida militante dell’Unione dei Comunisti Italiani Marxisti Leninisti più nota come “Servire il Popolo”.

Una organizzazione che predica che ogni atto personale è un atto politico,anzi è direttamente “politica”.

Deve quindi discutere della sua volontà in un organo politico.

Qui le spiegano che i proletari non abortiscono, che ogni nuovo nato è un fucile in più nella rivoluzione prossima ventura, che i valori degli sfruttati sono ben diversi dalla eccessiva licenza che i ricchi e i potenti si concedono allegramente.

Far nascere questo bambino esula dunque dalla sfera personale per collocarsi in quella politica.

Dunque il bambino nasce ed è giusto sperare che poi sia andato tutto bene.

Anche perché, nel frattempo, Aldo Brandirali, fondatore e leader di “Servire il Popolo”, riappare prima come democristiano e poi come esponente milanese di Forza Italia.

Sarà anche assessore con il sindaco Albertini.

Prego non considerare questa triste storia come un episodio estremo e non significante.

Al contrario dal momento in cui le scelte e le preferenze personali sono diventate atti politici destinati a contrapporsi e a cercar di prevalere sugli altri, si è aperta una valanga che non sembra destinata a finire.

Naturalmente, e per fortuna, si tratta quasi sempre di situazioni molto meno gravi e drammatiche di quel mio ricordo giovanile.

Permettere alla sfera politica di entrare d’autorità in quella degli atteggiamenti e delle decisioni personali ha fatto sì che tutto diventasse messaggio.

In primo luogo, naturalmente, il vestiario.

Se eri fascista dovevi indossare le scarpe a punta, se eri un compagno dovevi portare l’eskimo (su cui Guccini compose una splendida canzone).

Le scelte musicali ed artistiche diventarono rapidamente anche esse indicative. A poco valeva spiegare che la grande stagione del Futurismo che conquistava gran parte del mondo non aveva nulla a che fare con il regime mussoliniano.

Se ti piacevano Carrà e Boccioni eri schedato.

E, naturalmente, se eri davvero di sinistra dovevi (almeno in teoria) condividere l’idea della “coppia aperta”.

Le eventuali resistenze su questo piano nascondevano la sopravvivenza di cascami di carattere politico o culturale che andavano estirpati.

Pur senza giungere alla follia che portò la povera Maria a una scelta non voluta, capitava abbastanza spesso che anche le piccole dinamiche di coppia venissero esaminate e discusse in sede collettiva.

Ne scaturivano pareri e suggerimenti operativi.

I maschi, nel loro semplicismo, si difesero parzialmente da queste prassi che del resto tendevano di solito a contestare il loro ruolo.

Si diffuse la battuta secondo cui le “compagne” dopo la riunione “si portavano i compiti da fare a casa”.

Altri tempi, si dirà.

E, in effetti, le cose oggi vanno ancora peggio.

La continuità stabilitasi tra privato e pubblico ha trasformato la sfera dei comportamenti personali in uno strumento di comunicazione rivolto sistematicamente all’esterno.

Un segmento dell’esistenza che dovrebbe essere governato da istanze di ordine etico o, al massimo, di gusto personale viene esposto come se dovesse operare in una dimensione di carattere collettivo.

In particolare per coloro che, come i politici, devono cercare il consenso l’esposizione apparentemente libera della vita personale è diventata strumento di caratterizzazione e di lotta.

Non siamo, si badi bene, alla ipocrita foto di gruppo della scalcagnata Famiglia Reale che parla in riferimento al ruolo pubblico che deve essere comunque svolto.

Siamo finiti piuttosto in un contesto selvaggio in cui alle “immagini rubate” (della cui natura si può sempre dubitare) si risponde sui social usando entrambe le occasioni per presentarsi e cercare di confermare il consenso.

In questo quadro la fine della distinzione tra vita privata e pubblica viene presentata e vissuta come un fatto di democrazia e di possibilità di conoscenza.

Siamo assai lontani da uno dei primi atti di Francois Mitterrand che pose il segreto di Stato sulle notizie relative alla salute e alla vita privata del Presidente.

Chiedeva, come credo sia giusto, di essere valutato per i suoi atti pubblici e non per i suoi passaggi, magari problematici, di vita privata.

Si difendeva, a suo modo e con il suo potere, da quella vocale dalla forza insospettata.


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