IL VALORE DELLA SCONFITTA

Non dovrebbero esserci dubbi sul valore conoscitivo (e non solo) della sconfitta.

Senza sconfitta non ci sarebbe stata un’anabasi e senza sconfitta Rossella non avrebbe detto “Dopotutto domani è un altro giorno”. La sconfitta, personale o meno che sia, analizza e rivela cose del mondo che altrimenti non si vedrebbero nemmeno. La sconfitta definisce e racconta per sempre le persone, i popoli e le Nazioni. Un giorno, terribilmente, potrebbe anche definire l’umanità nei suoi distruttivi errori verso il mondo.

Napoleone esiste per Waterloo come Giulio Cesare per le Idi di Marzo: in quel momento, e solo in quel momento, essi si sono totalmente descritti e consegnati alla Storia nella forma più estesa e più alta.

Questa potenza interpretativa deriva da fatto che la sconfitta, personale o meno che sia, riassume tutti gli elementi del quadro in un contesto immediatamente sincronico.Li sottrae dunque alla successione nel corso del tempo per disporli in un unico frame operativo: essa ci rivela che nulla va perduto, che tutto continua ad agire per sempre (sino alla sconfitta, appunto), e, soprattutto, che l’infinitamente piccolo può agire a un certo momento con la stessa efficacia dell’infinitamente grande.

Si potrà forse osservare che in questa capacità sincronica la sconfitta somiglia molto alla morte, ed è parzialmente vero. Ma la morte è, come è stato autorevolmente scritto, la “norma di chiusura” mentre la sconfitta può essere (e spesso è) una norma di apertura.

Può determinare, nella consapevolezza che comporta, la apertura di nuovi percorsi per chi si trova a viverla.

Essa è, per definizione, vitale. Noi esistiamo nella consapevolezza che un giorno arriverà la morte ma consideriamo la possibilità di venire sconfitti come una caratteristica, magari anche replicabile, della esistenza. E ogni sconfitta fotografa e analizza la situazione di quel particolare momento, cui ne seguiranno inevitabilmente altri.

Mussolini sosteneva che ogni uomo muore come, secondo la sua natura, deve morire. Non credo si aspettasse quanto gli sarebbe successo, ma certamente la sua fotografia più vera e completa è quella del giorno della sconfitta.

In quella notte fra il 24 e il 25 Luglio del ’43 vengono distillati e descritti tutti i dati costitutivi del personaggio, vecchi e recenti, curiosi e drammatici. E così vale per tutti noi, grandi o piccoli, famosi o sconosciuti che siamo: la sconfitta è il nostro vero specchio in cui, per un momento, riusciamo a rifletterci. Va però, a questo punto, osservato che negli ultimi anni la sconfitta è passata di moda e non la si indossa più tanto volentieri.

Nel 1953 Giuseppe Saragat si assunse totalmente una pesante sconfitta elettorale parlando di “destino cinico e baro”. In quella coraggiosa dichiarazione definiva il prossimo futuro che lo avrebbe portato, dopo dieci anni, alla Presidenza della Repubblica, primo socialista a scalare il Quirinale.

Oggi, a guardare con attenzione, si riscontra che la sconfitta non esiste più e, comunque, non viene mai citata o ammessa.

Perdere, essere sconfitti, è diventata una cosa di cattivo gusto, che non può essere esibita nella comunicazione isterizzata che caratterizza questo momento; farlo significherebbe sottoporsi a un’analisi delle motivazioni e costringerebbe a prendere (o fingere di prendere) decisioni correttive degli eventuali errori.

Dietro questa strana “scomparsa” sta una cosa assai più importante, vale a dire il processo di serializzazione della lotta politica e culturale. Mentre la struttura narrativa che sorregge la centralità nel percorso della Sconfitta è certamente quella cinematografica e filmica, oggi noi assistiamo alla vittoria della serialità. Dato, cioè, un certo gruppo di personaggi che interagiscono fra loro, lo schema narrativo prevede la non estinzione degli stessi.

Nella lotta politica (e aggiungo, in quella culturale) il problema che si pone ai protagonisti non è più vincere o perdere, trionfare o essere sconfitti. L’obiettivo è avere una visibilità tale da essere presenti anche nella prossima puntata, che poi sarà domani.

Per questo nessuno può perdere, con orgoglio e dignità. Occorre, al contrario, esprimere una posizione vigorosa, trionfante ed aggressiva. La serie deve continuare e ogni personaggio desidera non essere escluso e agisce di conseguenza. E poiché ben si sa che un messaggio, per essere gradito al pubblico, deve essere positivo, consapevole e forte il nostro attuale ceto politico ha deciso di escludere la sconfitta dal proprio orizzonte comunicativo.

E se, purtroppo, ogni tanto si deve pur votare è necessario rimuovere la eventuale sconfitta dalle riflessioni successive all’espressione popolare. La aggressione muscolare all’avversario, l’avvertimento che il voto non esprime la vera volontà popolare, il riferimento ad altre battaglie in cui intanto si starebbe vincendo diventano il perno della comunicazione.

E siamo pronti a un’altra puntata, in un Beautiful che va in scena nei talk e sul WEB ogni giorno che Dio manda in terra. La prospettiva si riduce, il progetto si sfarina nell’indomani, le identità si mescolano nel racconto infinito. A noi rimane il ricordo di Giuseppe Garibaldi, vittorioso e sconfitto tante volte, che al momento di morire fa spostare il suo letto verso il sole per guardarlo anche nell’ultimo momento della vita.


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