MALATTIA X: VERA O NO?

Malattia X: sui nemici invisibili (virus e batteri) serve una informazione corretta

Nelle ultime settimane, evidentemente in assenza di migliori argomenti da trattare, vari giornali si sono dilungati sulle variopinte ipotesi su quale virus potrà essere la causa della Malattia X destinata a diventare pandemica. Pandemia che, a detta di alcuni virologi, potrebbe essere molto vicina e probabilmente più pesante di quella appena passata.

La X indica una malattia eventuale e non una particolare malattia.

Questa vera e propria disinformazione crea paura, preoccupazione eccessiva e favorisce l’ elaborazione di ipotesi cospirazionistiche. Sembra anche dimenticare la morale della favola “al lupo al lupo” di Esopo: dare troppi allarmi per nulla fa si che quando l’ allarme è serio, non venga creduto!

Cerchiamo, quindi, di stare ai fatti.

Stiamo parlando di un mondo sterminato di virus. Si stima, infatti, che al mondo vi siano circa 10 nonimilioni (10 alla 31esima) particelle virali, 10 miliardi di volte il numero delle stelle. Di tutti questi virus i virologi hanno catalogato e nominato solo 9110 specie, quelle più legate agli esseri umani, agli animali e ai vegetali perché direttamente patogeni o potenzialmente patogeni.

Dal maggio 2015 l’ OMS, consapevole del panorama virale con cui abbiamo a che fare, ha formato un gruppo di esperti internazionali ai quali ha dato il compito di stilare una lista di patogeni definita “bluprint priority list” da consegnare agli Stati affinchè mettano in atto una serie di misure preventive per evitarne la diffusione qualora si presentasse un eventuale focolaio epidemico.

Questa lista originariamente comprendeva il virus di Ebola, il virus Zika, il virus della SARS, quello della febbre di Lassa, il virus  Marburg, il virus della Rift Valley  e il virus Nipah. Ogni anno la lista di questi virus abbastanza esotici, la cui diffusione era ed è in aumento, è stata aggiornata.

Nel febbraio 2018 durante la riunione annuale del gruppo “Blueprint priority” l’ OMS ha deciso di aggiungere alla lista una specie di “segnaposto” chiamato “Disease X”.

La “malattia X” è, infatti, un termine che l’ OMS ha voluto utilizzare per definire una malattia causata da un patogeno sconosciuto da aggiungere alla lista di quelli conosciuti affinchè la preparazione dei vari Stati (ad esempio sui vaccini, i test diagnostici, i farmaci, i dispositivi di protezione personale etc..) fosse sufficientemente flessibile e ampia da comprendere anche patogeni eventualmente sconosciuti. Le raccomandazioni dell’ OMS circa “la malattia X “avevano, quindi, l’ obiettivo di evitare che i Paesi si focalizzassero solo su singoli virus gia noti invece di pensare e agire in modo ampio.

Subito dopo, nel 2019, alcuni ricercatori identificarono nei membri della famiglia Coronavirus le prime possibili cause di “malattia X” e, in effetti, dopo un anno la prima “malattia X “pandemica è arrivata: era causata da un nuovo Coronavirus e ha fatto oltre quindici milioni di decessi. Nessuno Stato era pronto.

In realtà gli unici che si sono dimostrati pronti ad affrontare la sfida infettiva X sono state le ditte produttrici di vaccini che in meno di un anno hanno messo a disposizione il primo vaccino contro un patogeno prima sconosciuto.

La decisione di includere “la malattia X” nella lista “bluprint priority ” è stata criticata da varie istituzioni internazionali, perché ritenuta una incitazione al panico, ma ha anche fatto prendere decisioni importanti ad alcuni Paesi.

Ad esempio il Regno Unito nell’ agosto del 2023 ha inaugurato un nuovo centro di ricerca a Port Down che ha l’obiettivo di identificare patogeni nuovi con potenziale pandemico e avere pronti in 100 giorni test diagnostici e vaccini. Ricerche specifiche avevano, infatti, dimostrato che se a Wuhan avessero avuti a disposizione in 100 giorni le prime dosi di vaccino e i test diagnostici specifici, il focolaio di SARS-Cov2 sarebbe rimasto confinato alla Cina centrale.

Sempre nel 2023 l’ OMS, volendo aggiornare la lista “Bluprint priority” ha emesso un bando internazionale per reclutare un gruppo di esperti per ognuna delle 26 famiglie di virus oggi conosciute con l’ obiettivo di identificare, all’ interno di ogni famiglia, quei virus già noti che, con i dati oggi a disposizione, potrebbero essere la causa di focolai epidemici estesi. I risultati del gruppo, formato da 200 ricercatori indipendenti, sono attesi per la prima metà del 2024 e la lista “bluprint priority”verrà aggiornata.

In generale, comunque, sembra difficile si possa avere una vera e propria pandemia causata da patogeni a trasmissione oro-fecale grazie ai buoni livelli igienico-sanitari raggiunti da molti Paesi. Improbabile sembra anche una pandemia causata da patogeni a trasmissione parenterale e sessuale poichè, di fatto, esclude una fetta consistente di popolazione. Anche i virus che si trasmettono grazie alla intermediazione di vettori (zanzare etc), nonostante siano in aumento (basti pensare ai virus della dengue), è improbabile possano diventare pandemici per l’ assenza dei vettori specifici in ampie zone del mondo.

Il panorama, quindi, si restringe ai patogeni che si trasmettono per via respiratoria, la modalità di trasmissione più difficile da contenere come la recente pandemia ha ampiamente dimostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno.

Una particolare criticità è rappresentata dai virus zoonotici a trasmissione interumana respiratoria. La probabilità di contatti stretti animali/uomo aumenta con l’aumentare della popolazione umana e tutto ciò che ne consegue, rendendo più frequenti gli spill-over. Inoltre la globalizzazione sempre più accentuata rende più facile e meno controllabile la loro diffusione. Basti pensare che sono sufficienti 36 ore per fare il giro del mondo in aereo: un tempo ben inferiore al periodo di incubazione della maggior parte delle malattie trasmissibili.

Infine, vista la situazione così conflittuale del mondo di oggi non si può nemmeno ignorare che un nuovo virus con potenzialità pandemiche venga creato in laboratorio grazie alle tecnologie di gene editing. Questa nuova branca della Virologia è chiamata “Synthetic Virology” e in molti paesi sono attivi laboratori ad essa dedicati. Un esempio ci arriva dal Canada dove, nel 2017, è stato creato un nuovo Orthopoxvirus che, se rilasciato per errore nell’ ambiente, troverebbe la popolazione mondiale completamente sprovvista di protezione e potrebbe diffondere velocemente. Questo fatto e altri analoghi aprono ancora una volta la questione del fin dove è lecito che certe ricerche possano spingersi.

Cosa devono fare gli Stati per essere comunque preparati per affrontare i virus della lista “Bluprint prority” e quello/i della “malattia X”?

  • Ridurre il rischio di spill-over attraverso un maggior rispetto dell’ ambiente, degli ecosistemi e un maggior controllo delle zone a rischio di contatto stretto uomo/animali.
  • Aumentare la sorveglianza microbiologica (anche con test rapidi) sia nelle persone che negli animali con il potenziamento dei centri dove si conduce la ricerca dei patogeni meno comuni.
  • Aumentare le ricerche finalizzate a migliorare le contromisure mediche e sociali, compreso il distanziamento, da prendere all’ insorgere di un focolaio epidemico espansibile.
  • Accorciare i tempi per la produzione di vaccini, test diagnostici e farmaci.
  • Migliorare la comunicazione tra gli stati sia diretta che mediata dagli organismi sovranazionali.
  • Migliorare la comunicazione verso la popolazione che non può essere lasciata all’ esperto virologo di turno ma devono essere coinvolti esperti di comunicazione.
  • Garantire la distribuzione veloce di farmaci, vaccini, test diagnostici e dispositivi di protezione individuale.
  • Ultimo, non ultimo, aumentare, senza creare alcun allarmismo, il livello di conoscenza dei problemi da affrontare, iniziando dalle scuole di tutti i gradi. Il Servizio Sanitario nazionale, infatti, non può affrontare questi problemi da solo.

Solo dei virus ci dobbiamo preoccupare?

Nel gruppo dell’ OMS ai virologi è stato aggiunto un gruppo di esperti sui batteri multi-resistenti agli antibiotici poiché l’ antibiotico-resistenza batterica sta aumentando in tutto il mondo anche nei confronti di quei due antibiotici che erano considerati le ultime risorse e cioè i carbapenemi e la colistina. Questo è sicuramente un problema preoccupante al quale gli Stati devono prestare molta attenzione perché è gia in corso una larga diffusione silenziosa dei batteri multi-resistenti nelle strutture sanitarie con circa dieci milioni di decessi all’ anno. Si tratta di batteri che vengono selezionati dalla pressione selettiva antibiotica presente negli Ospedali. I pazienti, colonizzati da questi batteri durante i ricoveri, li trasferiscono nel territorio una volta dimessi. I caratteri genetici di resistenza agli antibiotici vengono mantenuti per alcuni mesi, poi, in assenza di pressione selettiva, vengono persi. E’ improbabile, quindi, che questi batteri dal carico genetico aumentato possano diventare causa di una vera e propria pandemia a livello territoriale. L’ attenzione deve, comunque, restare alta soprattutto nell’ utilizzo consapevole degli antibiotici e nella sorveglianza microbiologica.

L’ utilizzo degli antibiotici in medicina veterinaria e in zootecnia (nonostante sia vietato) aumenta la complessità del problema.

Fa ben sperare, invece, il fatto che varie nuove classi di antibiotici, identificati anche grazie alla Intelligenza artificiale, sono in avanzata fase di sperimentazione con buone probabilità di successo.


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