LA FINE DELL’UTOPIA

Da quando l’uomo è nato si è sempre pensato di guardare al futuro come a un orizzonte che attira e promuove la messa in moto di tante energie allo scopo, si crede, di migliorarlo, ma in realtà è solo un frutto del movimento interno dell’animo. Sono state così avanzate nel tempo tante ipotesi di edificazione di un mondo senza ombre né difetti. Si è lottato e spesso guerreggiato per costruirlo, salvo a veder franare lentamente ogni tentativo di attuazione del nuovo.

Questa si chiamava “Utopia” (dal greco “οὐ τόπος” = non luogo = realtà che non esiste), un termine introdotto e inventato dall’umanista inglese Thomas More (Tommaso Moro) nel 1516 nell’opera in due libri “Utopia“, che sostanzialmente vuol dire “Sogno” di un’Isola Perfetta con le sue 54 città (contee inglesi) ma ancora inesistente. Dopo di lui ne hanno parlato molti filosofi come C. Saint-Simon (1760-1825), Ch. Fourier (1772-1837), P. J. Proudhon (1809-1865)…Ne ha scritto anche il nostro grande Italo Calvino (1923-1985) quando la definisce come un “Planare sulle cose vedendole dall’alto, con leggerezza”.

Nella Storia sono state prospettate molte forme di Utopia che sono riconducibili sostanzialmente a quattro: quella Chiliastica (dal greco “ χίλιοι”, cioè mille: con riferimento alle idee apocalittiche del Millenarismo), quella Liberal-Umanitaria, la Conservatrice e quella Socialista-Comunista.

Illustro brevemente ciascuna di esse.

Utopia Chiliastica. È quella che si rifà all’Apocalisse di Giovanni (cap. 20, vss. 2-7) ed è legata al ritorno di Cristo e alla instaurazione del Regno di Dio sulla terra che, dopo vari cataclismi, le garantirà un periodo di grande prosperità per la durata di Mille Anni. Terminati questi, il mondo cesserà di esistere. L’attesa di una simile realtà ha attraversato buona parte del Medioevo non solo nella cristianità, ma anche nella tradizione giudaica e in questi ultimi tempi presso alcune confessioni religiose.

Utopia Liberal-Umanitaria. Nel Liberal-Umanitarismo sono ricorrenti quattro concetti. Il primo riguarda la natura del Sé e l’idea di Persona. Il secondo verte sul prevalente impegno deontologico delle teorie liberali e sulla tesi a proposito della non neutralità della giustizia. Il terzo mette a fuoco il ricorso alla teoria dei diritti e ne critica l’inadeguatezza normativa: la Giustizia è e dovrebbe essere la prima virtù delle istituzioni sociali. Il quarto riguarda invece l’essenza della persona umana che ha “ontologicamente” bisogno di “altro da sé” per arricchire la propria espansione vitale. Mentre la Persona è in grado di garantire il proprio Essere, la stessa ha bisogno di una Comunità per essere generata. Principali assertori di questo pensiero sono stati il filosofo E. Mounier (1905-1950), l’ingegnere A. Olivetti (1901-1960), il teologo-filosofo T. Demaria (1908-1996).

Utopia Conservatrice. La sua caratteristica è la difesa del passato e di alcuni suoi valori, la dimenticanza del rispetto per i diritti e le libertà altrui con il conseguente impedimento a poterli esercitare in pubblico, la non sufficiente apertura alle innovazioni. Molte volte questo atteggiamento, chiamiamolo, rigidamente oscurantista ha fatto precipitare le società in autentiche dittature di una simile maggioranza al potere. Un esponente molto importante di questa non visione del diverso è il filosofo polacco Walicki Andrzej –Stanislaw Andrzej Walicki (1930). Insieme con L. Kolakowski (1927-2009), B. Baczko (1924-2016) e J. Szacki (1929-2016) egli fondò la cosiddetta Scuola di Varsavia di Storia delle idee, con al loro centro l’analisi della slavofilia. Gli slavofili dettero vita a una corrente filosofica, politica e letteraria tesa al recupero dei valori della Russia patriarcale, contadina e cristiana. Intellettuali come I. Kiréevskij (1806-1856), A. Chomjakov (1804-1860) e i fratelli Aksakov (metà ‘800) inserirono il mondo contadino russo in una visione religiosa e romantica, opposta a quella illuminista. Questa Russia ideale fu e viene esaltata anche oggi presso tante collettività, slave e non, quale contraltare di un Occidente individualistico, urbanizzato e scettico.

Utopia Comunista e Socialista. Comunista: ha come linee dominanti la ricerca dell’egualitarismo puro (A. Gramsci: 1891-1937), la centralità direttiva del Partito unico che controlla ogni ambito della vita con il Capitalismo di Stato, la lotta di classe, l’ateismo di Stato, l’eliminazione della proprietà privata e di ogni forma di libertà individuale e di gruppo con la conseguente negazione del pluralismo. Come maggiori rappresentanti si hanno K. Marx (1818-1883), F. Engels (1820-1895), V. Lenin (1870-1924), N. Bucharin (1888.1938), L Trotskij (1879-1940), E. Bloch (1885-1977), quelli più progressisti del “Comunismo dal volto umano” come A. Dubček (1921-1992), R. Garaudy (1913-2012), M. Gorbaċȉov (1931-2022) con la Glasnost’-Perestrojka e alcuni esponenti della nota Scuola di Francoforte (Th. Adorno, J. Habermas, H. Marcuse…). Socialista: rivolge l’attenzione alla classe operaia e lavoratrice, esclude determinate radicalità come imposte e praticate dal Comunismo, ammette la libertà personale e di associazione. Quest’ultimo ha come ideologi i summenzionati filosofi C. Saint-Simon, Ch. Fourier, P. J. Proudhon e per l’Italia G. Salvemini (1873-1953).

Avendo presenti queste premesse storiche e, non volendo giudicarle grazie anche a qualche aspetto positivo che alcune di esse pur offrono, c’è da dire che oggi tanta storiografia è orientata prevalentemente all’analisi e descrizione degli eventi, dei loro intrecci, delle molte zone oscure, magari delle contraddizioni che si annidano in tante scelte, per non parlare dei vari giochi organizzati nel silenzio di una stanza per progettare azioni volte ad appagare gli interessi di pochi o di alcuni ceti privilegiati. Purtroppo in passato è stato così e ancora oggi perdura, ma non è questo il vero cambiamento che si auspica come fine per la Storia.

Una meta da perseguire, anche se provvisoria, è giusto che ci sia, ma “la meta assoluta” dell’Umanità spesso cozza con il Principio di Realtà, secondo il quale l’evoluzione dei fatti non segue percorsi sempre idealmente rettilinei, ma troppo frequentemente, essendo questi complessi, entra a far parte del più vasto e intricato ingranaggio della ricerca di sempre inediti equilibri fra i ricorrenti contrapposti interessi. In fondo esiste una costante e purtroppo continua lotta per la sopravvivenza e questa condiziona, ridimensiona e deforma inevitabilmente ogni aspirazione alla idealità.

A causa di una simile dinamica, oltre che di altre legate ai caratteri particolari dei singoli protagonisti della Storia troppo spesso privi di impulsi morali, non ci sarà mai l’intero compimento di un qualunque processo di Utopia, che, se di essa qualche esperienza concreta viene sperimentata, questa è sempre relativa a singoli soggetti e comunque si sviluppa come circoscritta nello spazio e nel tempo. Alla fine, cambiate le circostanze, il potere e l’affermazione dell’Ego degli attori degli eventi arrogantemente ritorna spingendo troppo spesso la comunità umana al disastro.

Così è accaduto sempre nella Storia: dall’antica Roma repubblicana (Guerre Civili) a quella imperiale (lotte per la successione al trono), dai conflitti fra Papato e Impero a quelle fra le realtà territoriali (Principati, Signorie), dal fascismo e dal nazismo al comunismo e al peronismo, dai golpe alle varie dittature e così si potrebbe continuare con i molteplici conflitti sociali che seguitano a caratterizzare e spesso a insanguinare i nostri tempi, come le varie forme di imperialismo socioeconomico, ai violenti terrorismi di ispirazione religiosa, ai fondamentalismi di tante etnie conseguenti anche agli antichi colonialismi, ecc.

Ogni volta, dunque, che si è inteso dare un assetto definitivo a questo vivere sociale, stipulando magari Convenzioni o Contratti (J. Rousseau – Costituzioni varie) o creando Organizzazioni (Società delle Nazioni, ONU…), qualche momento dopo, se svuotati di contenuti, si è andati quasi sempre incontro a dolorosi fallimenti. Questa è la dura realtà della quale occorrerebbe prendere coscienza, non per dichiarare la sconfitta, anzi, ma per comprendere meglio il potenziale e paziente cammino da avviare con la Costruzione di una Speranza, avendo ben presente che non ogni cambiamento ne è un suo credibile segho. Questo differente percorso umano è fondamentalmente attraversato e caratterizzato da alcuni elementi-base: l’individuazione attenta e lungimirante di obiettivi reali da perseguire per il bene comune, la saggia intelligenza nel saper leggere e calcolare tutte le variabili a essi legati, la scelta di quelle decisioni ragionevolmente concretizzabili, la pazienza nell’attesa dei risultati, soprattutto la costanza, la coerenza e la luce di un’Etica che spiani positivamente l’azione quotidiana per non tradire le linee di fondo nello sviluppo realizzativo di un progetto. Quanta fatica, però, è richiesta in questo immane e forse sovraumano lavoro!

Tutto questo presuppone una Umanità un po’ più matura e, diciamo pure, seria in quanto a capacità di elaborazione e attuazione di un piano pensato, con un minimo comune senso poi di responsabilità negli interventi sociali programmati. Ma sarà così? Chissà! Ora sappiamo soltanto che l’idea positiva in sé comunque cammina lentamente nel Tempo, ma l’Utopia per quanto nobile nelle intenzioni, essendo orfana di continuità, nella sua globalità si presenta, purtroppo, morta da tempo se non da sempre, perché una Società Perfetta, come insegna la Storia, non è mai esistita né ci sarà in avvenire, se l’Uomo come ipotetico suo autore per natura è imperfetto e limitato e come tale non può crearla dal nulla (dal Meno non nasce il Più né una somma di molti Meno può produrre il Più), anche se la ricerca di una maggiormente giusta e la pratica di un comportamento pacifico sono sempre da augurare e promuovere positivamente e con fiducia ogni giorno: questo, che non è assolutamente pessimismo ma sano e ragionevole realismo, si può e si dovrebbe ottenere impegnandosi personalmente e lottando concretamente per il Bene senza mai delegare le soluzioni nelle mani di uno o di pochi.

Mi piace concludere queste brevi riflessioni riportando il pensiero di quattro grandi Personaggi della Storia. Nella loro diversità parlano in sostanza della stessa verità.

San Francesco d’Assisi (1182-1226): “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile.”

Adriano Olivetti (1901-1960), imprenditore italiano: “Spesso il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare.”

Paul Claudel (1868-1955), drammaturgo francese: “Quando l’uomo tenta di immaginare il Paradiso in terra, il risultato immediato è un molto rispettabile inferno.”

Karl Popper (1902-1994), epistemologo austriaco: “Giudico il cosiddetto utopismo una dottrina attraente, anzi, fin troppo attraente, e addirittura pericolosa e nociva. Dal mio punto di vista essa si vota da sola alla sconfitta e conduce alla violenza.”

Nell’altalenante e spesso contraddittorio ma sempre avvincente gioco della vita che per i più è uno sfibrante correre su un ponte sotto il quale sovente si apre l’abisso del vuoto, rimane, dunque, il Principio Speranza dal quale farsi guidare e gestire nelle scelte personali e collettive: senza di esso non ci sarebbe più esistenza degna di essere scritta nel Tempo. Se una Utopia è luminosa e vera, nella sua integralità essa è, direi, un sacro patrimonio perlopiù personale impresso solo nella mente e nel cuore delle Anime migliori per onestà e sensibilità. Così è stato per la Nuova Frontiera di J.F. e R. Kennedy, del Sogno per M. L. King, per G. Falcone, P. Borsellino…, anche se qualcosa di essi, sebbene pagato a caro prezzo con la vita, pur è rimasto. Ma: è un altro argomento.


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Commenti

Una risposta a “LA FINE DELL’UTOPIA”

  1. Avatar marcello paci

    stupende riflessioni, ne farò tersoro di approfondimento con amici. grazie