IRAN E RUSSIA, COSA VOGLIONO?

A partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, il potere “geo-strategico” e i rapporti di forza sono rimasti in mondo saldo divisi tra le due potenze vincitrici (Usa e alleati-Urss) con una spiccata predominanza del primo quanto in ambito bellico ed economico. Era l’inizio di quella fase soprannominata “pax americana” che nel bene o nel male plasmò tutta la politica internazionale nella seconda metà del XX secolo fino alla caduta dell’altro contendente, imploso sotto l’incapacità della sua classe dirigente e nell’ostinazione di rifiutare il progresso.

In quel frangente la pax americana divenne assoluta, il blocco rosso era morto e il post storicismo neoliberista poteva finalmente prevalere su tutti gli aspetti della vita occidentale e non solo. Peccato che si trattasse di una pia illusione, e che in realtà il blocco rosso e i non allineati si stavano sotto le ceneri riorganizzando prendendo così una nuova identità. Nacquero i BRICS, 18 anni dopo la caduta dell’Urss, con le stesse divisioni interne e problemi che in parte si portavano ancora appresso nonostante lo scacchiere internazionale fosse radicalmente cambiato.

Erano cambiati prima di tutto i paesi membri del fu blocco orientale / non allineati, la loro ricchezza interna e non meno importante la loro demografia. Oggi i Brics, diventati ultimamente Brics+, portano con loro il 45% della popolazione mondiale e nel 2028 si prevede che il loro Pil supererà quello del G7.

In questa fase storica ci troviamo in un momento di crisi, dove i rapporti di forza internazionali non sono più saldati ad un unico perno, ma bensì si stanno sfaldando e riposizionando in modi che in questo momento a stento possiamo immaginare. È come se ci trovassimo nel pieno di un terremoto, le faglie e le zolle di terra stanno cambiando posizione in una sorta di deriva dei continenti. In questo scenario le maggiori potenze non occidentali; i Brics+ appunto, cercano di ristabilire a loro favore questo scenario torbido e confuso.

La parola chiave è “riconoscimento”, da parte delle forze egemoni, una presa di atto formale che il tempo dell’unipolarismo è finito (o quasi) e che si entra in una nuova era della storia contemporanea. La fine del bipolarismo, coincise con un evento storico ben preciso e inamovibile dalla mente degli uomini, l’ammaina della bandiera sovietica, rossa, con la sua inconfondibile falce e martello gialli. Si cerca un evento simile, che possa rappresentare uno “stacco”.

Qualcuno pensa che potrebbe essere rappresentato dall’invasione russa dell’Ucraina avvenuta nel febbraio del 2022, un punto di svolta di un conflitto lungo che durava da 8 anni e che aveva visto una regione, il Donbass, martoriato dalle tensioni e dalla guerriglia, segnando la caduta di 15 mila soldati sia russi che ucraini.

Qualcun altro pensa che lo stacco storico possa essere il 7 ottobre, un altro punto di svolta di un conflitto ben più lungo di quello del Donbass, anzi, lunghissimo, 80 anni di tensioni, sofferenze e vicendevoli attentati, nonché malitesi, problemi di comunicazione e una conseguente diplomazia impossibile.

Il conflitto medio-orientale potrebbe essere la miccia che fa esplodere il già precario equilibrio che finirebbe una volta per tutte di redistribuire questo potere ancora unipolare, in modo multipolare.

La geopolitica nonostante le tante critiche, ci aiuta proprio in questo. Cioè, incrociare la grande quantità di dati che provengono dalle più disparate branche di studio, in linea con quella teoria della complessità postulata da Morin.

Nel caso del conflitto in Ucraina per esempio. Sappiamo che storicamente le guerre nascono per motivi economici legati alla scarsità di risorse, successe in parte con le guerre del golfo, e la ghiotta opportunità da parte di Saddam di prendere il controllo dei territori iraniani e del Kuwait ricchi di greggio.

È successo con le guerre coloniali in Africa. E si ripropone oggi sul fronte dell’Europa Orientale. Il Donbass infatti, è una delle regioni più ricche di idrocarburi e di metalli. Si stima che all’argo della Crimea e degli Oblast costieri recentemente conquistati dai russi, ci siano riserve di gas stimate tra gli 1.2 e i 5 trilioni di metri cubi, un numero spaventoso, che sarebbe capace di ripagare economicamente tutti i danni e il depauperamento dell’esercito che la guerra ha causato.
Oltretutto la grande opportunità per la Russia di soppiantare completamente l’Ucraina come fornitore di gas per l’Europa, espropriandogli a tutti gli effetti questo business miliardario.

La CBC riporta che i tempi in cui l’invasione sono avvenuti, cioè il febbraio del 2022, non sono una coincidenza, ma il chiaro obbiettivo di impedire al governo ucraino di condurre nuove esplorazioni di idrocarburi nel mar Nero. Oltre a questo, in Donbass si estrae Litio e terre rare molto utili per la transizione energetica e l’allargamento del mercato delle rinnovabili. La Russia da bravo paese Rentier non può farsi scappare l’opportunità di continuare a vivere di estrazione di risorse naturali, ben sapendo che quelle in suo possesso non sono eterne. Il tutto condito con la necessità di essere riconosciuta come nuova super potenza emergente, creando le false flag del Donbas e del regime nazista di Kiev.

Chiaramente questa non è la verità, ma è una lettura dei fatti che non andrebbe scartata a priori. Come detto, la geopolitica cerca di unire diverse materie per tracciare una quadra di eventi molto complessi come una guerra o una tensione internazionale. Quando il tutto sarà finito e gli archivi diventeranno di pubblico dominio (se mai accadrà) gli storici potranno finalmente farsi un’idea più chiara.

Quasi analoga è la questione sul fronte medio orientale. Dove i palestinesi combattono per quella che è la risorsa ancestrale non rinnovabile per definizione: la terra. Una terra contesa con un gruppo etnico altrettanto agguerrito che a intervalli irregolari ha stazionato in quel territorio per secoli. Agli arabi di Palestina, non importano tanto gli idrocarburi di cui quella terra non è molto ricca, anche se sono presenti alcuni giacimenti abbastanza importanti. Bensì l’agricoltura e la possibilità di auto sostenersi senza dipendere dalle importazioni e dagli aiuti stranieri. E in aggiunta a questo, la possibilità di consolidare la loro identità nazionale, da sempre sostenuta sulla lotta e che trovarono espressione in figure come quella di Yasser Arafat.

Hamas, formazione mussulmana sciita ha trovato supporto in questa guerra per la terra nell’Iran, altra potenza regionale a maggioranza sciita, governato da un imam; Khamenei, che invece di risorse naturali, di cui il suo paese abbonda, cerca il gia citato riconoscimento internazionale. Il suo paese, da almeno venti anni inserito nell’”asse del male”, tra i nemici giurati della Casa Bianca, insieme alla Siria di Assad e alla Corea del Nord del bombarolo Kim. Ora cerca il punto di svolta per raggiungere il grado di potenza continentale, da potenza regionale quale è attualmente. I 500 tra razzi continentali e droni lanciati su Israele proprio questo significavano, uscire da anni di tensioni indirette e non detti per mostrarsi ancora più minacciosi agli occhi del nemico americano.

L’Iran gioca anche un ruolo fondamentale per quanto riguarda il controllo degli stretti, basti pensare a Bab-el-Mandeb dove a farla da padroni sono il movimento di Ansarallah (Houthi), un’altra formazione sciita, che prende a cannonate quasi quotidianamente navi di qualsiasi tipo che si dirigono verso i porti europei. Ebbene, come per Hamas e Hezbollah in Libano, la fornitura di armi iraniana ha un grosso impatto sulle operazioni militari di questi gruppi, senza di esse molto probabilmente, cesserebbero qualsiasi attività.

Non sappiamo ancora per certo cosa significhi vivere in un mondo multipolare. Abbiamo conosciuto il bipolarismo di ferro, poi l’unipolarismo totale e adesso il suo parziale collasso. Un tema connesso alla fine dell’unipolarismo è il fenomeno della de-dollarizzazione, cioè la costante diminuzione delle transazioni internazionali effettuate in dollari, e a favore di altre monete come, per esempio, il renmimbi cinese (yuan) o il rublo, anche se quest’ultimo è decisamente marginale. La de-dollarizzazione è un processo in atto da almeno venti anni, ma come mostrato dai grafici che tengono traccia delle transazioni internazionali, è un processo estremamente lento e per certi versi incerto. La sua importanza non è secondaria, ma è per lo più simbolica. Una potenza (la Cina per esempio) può essere in grado di definirsi tale e continuare benissimo, per convenzione, a effettuare transazioni internazionali con altre monete. Ciò che definisce la sua importanza è l’esercito e la quantità di risorse utilizzabili o sotto forma di riserve.

Le conseguenze di un mondo multipolare non saranno solo rappresentate da una eterogeneità dei pagamenti in valuta estera (ammesso che ciò avvenga). Ma specialmente in una rinascita delle istituzioni internazionali; L’ONU in special modo, che in questi tempi di incertezza sta vivendo il punto più basso della sua credibilità internazionale. A partire dall’incapacità di poter incidere in maniera decisa nei conflitti in corso e in particolare per il grande fardello della guerra a Gaza, che ormai viene vissuta da molti come una malattia cronica di cui non vale più la pena di parlare se non per un rigurgito di moralismo vedendo le scene agghiaccianti dei bombardamenti o delle stragi. Spesso l’Onu è stata accusata di essere uno strumento di politica estera della NATO o degli Stati Uniti o di entrambi, e di avere un totale squilibrio nel suo consiglio di sicurezza dove appunto, i paesi occidentali in particolare hanno diritto di veto a scapito di altre potenze minori.


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