È nel presente che si scopre la forza profetica di un autore e della sua opera. La crisi in Ucraina, sulla quale incombe ormai lo spettro raggelante di un conflitto mondiale, induce a rileggere Democratic Ideals and Reality, il breviario geopolitico di Halford J. Mackinder. Lascia sgomenti l’aderenza allo stato attuale delle cose che si ritrova fra queste pagine. L’autore, un accademico inglese dalle molteplici competenze, lo scriveva nel 1919, all’indomani della Grande Guerra. Oggi, a oltre cento anni di distanza dallo scoppio di quest’ultima, in Europa si profila un’apocalisse analoga. D’altronde, Papa Francesco aveva detto che la terza guerra mondiale si combatteva a puntate già prima dell’invasione russa dell’Ucraina.
Mackinder previde il rischio di una cronicizzazione del ricorso alle armi fra nazioni imperfette per la loro stessa consistenza territoriale. Infatti partiva dal suo campo di studi specifico, la geografia. Grande conoscitore della mappa planetaria, individuava codici interpretativi delle relazioni internazionali studiando le longitudini e le latitudini. La definizione esatta della professione di Mackinder sarebbe quella di geostorico. Per lui l’estensione e la posizione di una comunità specifica ne determina gli orientamenti, le potenzialità e l’affermazione sulle altre. Mackinder analizzava i potentati dei secoli scorsi, dagli albori della civiltà agli imperi navali dell’età moderna, per ammonire contro il pericolo di una deriva occidentale verso l’autodissoluzione. A meno che non si arrivasse al controllo dell’Heart-Land, la massa continentale dell’Eurasia, che avrebbe voluto dominare Hitler. Tanto che il libro di Mackinder fu ripubblicato nel 1942, quando la seconda guerra mondiale era al culmine. Il pensiero geopolitico dell’autore fu ripreso da Karl Haushofer e attecchì nella mente del Führer, che violò il patto Molotov-Ribbentropp per lanciare le armate tedesche lungo le pianure dell’Europa orientale, alla conquista del terreno slavo. Putin ha avviato il percorso contrario, in spregio agli accordi di Minsk che precludevano una “spinta propulsiva” – per citare Berlinguer in senso opposto – verso ovest, insidiando la NATO, e la reconquista dei Paesi satelliti del Patto di Varsavia.
Solo che Mackinder ravvisava i sintomi di una volontà conquistatrice nella Germania invece che nella Russia. Al posto di Putin per lui c’era Bismarck, il cui disegno di l’unificazione nazionale non era altro che l’aggregarsi di un impero volto al controllo dell’Heart-Land.
Mackinder spiegava che negli istituti scolastici prussiani la geografia aveva un posto precipuo, poiché si trattava di formare un’élite capace di affermarsi nella piena turbolenza di un’epoca, quella contemporanea, di facili spostamenti sulla superficie terrestre, quando ormai le esplorazioni erano terminate con l’accesso ai poli e non rimaneva che organizzare l’atlante a vantaggio dei più dotati. Mentre i docenti inglesi irridevano la geografia, ritenendola superflua, se non inutile, anzi dannosa, in quanto fomentatrice di idee guerrafondaie.
Ora l’analfabetismo funzionale delle giovani generazioni in nome del digitale è l’azzeramento delle capacità analitiche sulle quali basare le visuali di prospettiva allargata.
Mackinder sosteneva che la Terra, dopo l’invenzione di mezzi che permettono di attraversarla rapidamente, si può suddividere in isole geopolitiche. La principale è quella eurasiatica. Chi la controlla, controlla il mondo. Questo è il perno esatto intorno al quale ruotano le aspirazioni di Putin e le contromosse occidentali a prevalenza americana.
Pertanto si cronicizza non solo il rischio di guerre continentali che l’unione monetaria non sventa. Mosca vorrebbe dettare le proprie condizioni alla fragile Unione Europea su basi geopolitiche, realizzando quella che già Kissinger aveva definito “finlandizzazione” dell’intera fetta occidentale del continente. Ossia tenere in pugno le capitali con la minaccia di una zampata dell’orso russo. Chi appunta il rancore su Vladimir Putin sembra ignorare che dietro di lui, insieme a lui e per lui si esprime un coacervo d’interessi che ripropongono la Kultur di Bismarck. Eppure lo si capisce dall’atteggiamento degli oligarchi, che non si sono affatto chiamati fuori dall’aggressione all’Ucraina, legati come sono intrinsecamente alla dinamica putiniana. La frammentazione delle ex repubbliche sovietiche seguita al crollo del Muro non rappresentava il logico e prevedibile sbocco di un percorso obbligato di un esito democratico. Semmai vi sarebbe stato un ricompattamento dell’Heart-Land a guida, o meglio, tirannia moscovita, cui risponde quello che una volta si chiamava “mondo libero” e attualmente sembra avere perduto qualsiasi connotazione significativa che non sia riconducibile alla rete globale della finanziocrazia.
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