IL CENTRO DA CHE PARTE VUOLE STARE?

Le elezioni regionali tenute in Sardegna si sono concluse con una vittoria netta, seppur molto risicata, della coalizione M5S-PD-AVS. È la prima volta da almeno 9 anni che il centrosinistra strappa una regione al centrodestra, da 4 anni invece che vince in una regione. È la prima volta nella storia della Sardegna che viene eletta una presidente donna. mentre prosegue seppur con alcune variazioni locali in positivo, la tendenza dell’astensione che si attesta al 47%.

Una nota di riflessione invece per quanto riguarda il “terzo incomodo” di questa elezione, ovvero Renato Soru, il candidato del cartello di centro Liberu, Azione-Italia Viva-+Europa e Rifondazione Comunista. Come prevedibile Soru non ha sfondato, nemmeno quel poco che serviva per superare la soglia di sbarramento, si è fermato infatti all’8,7% poco meno del 9% necessario. Tutto ciò condito da quello che (al sottoscritto almeno), pare il solito atteggiamento astioso e con la puzza sotto al naso di chi vuole ostacolare il centrosinistra con la solita scusante dei 5 Stelle populisti, del PD come partito buono a nulla ecc. Ripetiamo, che questo atteggiamento di disunione non fa altro che rafforzare il fronte opposto, è molto probabile infatti, che senza la candidatura di Soru, Todde sarebbe riuscita a vincere con un margine quantomeno maggiore rispetto ai 1600 voti in più rispetto a Truzzu. Perché per quanto la coalizione di Csx sia riuscita a vincere, soprattutto grazie al voto disgiunto, è anche vero che come liste, il Cdx ha preso il maggior numero di voti (48% contro il 42 del csx).

Questo tatticismo di chi vuole fare l’antipopulista a tutti costi (forse dimenticandosi che il populismo sotto certi aspetti è il cuore della democrazia parlamentare) non fa altro che allontanarlo dalla sala dei bottoni, a che serve avere un buon programma elettorale, anche ben studiato se poi non ti vota nessuno? Evidentemente a poco.

Ci sarebbe anche la questione della credibilità, Renzi e Calenda, seppure quest’ultimo nelle ore in cui sto scrivendo, abbia ammesso che questo tipo di atteggiamento solitario non ripaga, sono due figure che hanno raggiunto il culmine dell’impopolarità all’interno della società italiana, pensare di costruire progetti futuri alleandosi con queste due personalità, significherà semplicemente condannarsi a percentuali di consenso molto risicate oltre che alienarsi una parte di elettorato che ti (ci) vedrà come una manica di “renziani” che voltano le spalle a quella parte di popolazione in difficoltà, o che non necessità di soluzioni “moderate” nel lungo termine.

Del resto, l’astensionismo, seppur originario da condizioni economiche difficili da risolvere in tempi brevi, (basti pensare che la maggior parte di coloro che scelgono di non votare appartengono al percentile più povero della popolazione), si può spiegare anche, in parte, con la candidatura di personaggi impopolari. N’è emblematico il caso di Roma quando fu candidata Virginia Raggi, una figura all’epoca molto popolare, che riuscì a risollevare il numero di votanti, riportando effettivamente gente alle urne, con un 57% rispetto al 52% delle elezioni del 2013. Nel 2021 l’elezione che ha visto prevalere Roberto Gualtieri ha visto un calo di affluenza di ben 8 punti con un 44% totale di affluenza.

Un grande merito di questa vittoria va senz’altro a Giuseppe Conte, riuscito nell’impresa di trovare un nome popolare e con una certa competenza nel settore del management, oltre che molto conosciuta in territorio sardo. Il PD ha avuto l’umiltà per una volta di capire che senza assecondare I 5 Stelle la partita non sarebbe andata a buon fine, come dimostrato per esempio, nel caso del Lazio, dove i due partiti sono andati separati, con Alessio d’Amato che prese il 39,5% e Donatella Bianchi che prese il 12,21%. L’unione gia all’ora delle due forze avrebbe quasi sicuramente permesso a uno dei due di vincere con un margine decente (forse del 51%).

Diciamo che l’effetto collaterale della candidatura di Todde è stato l’inimicarsi i moderati, Renzi e Calenda infatti, coerentemente con il loro slogan “mai coi 5 Stelle” hanno deciso di seguire una strada alternativa che però non ha portato i risultati sperati.

Clemente Mastella, in una dichiarazione del 27 febbraio, dice che “il centro deve decidere da che parte stare”. In modo simile si è pronunciato anche Calenda, sostanzialmente sostenendo che per non condannarsi all’irrilevanza, una coalizione con i 5 Stelle e il PD è la strada da percorrere. Per quanto riguarda Italia Viva, rimangono ancora delle ambiguità specialmente per un possibile avvicinamento di Renzi all’ala moderata del centrodestra. Per le elezioni Regionali in Abbruzzo invece, che si terrano il 10 marzo, sembra assodata la scelta del campo largo, che questa volta prevederà la partecipazione del terzo polo e dell’alleanza giallo-rossa a sostegno di Luciano d’Amico. Insomma, la situazione è tutta in divenire.

Ma per chiunque spera ancora in un progetto riformista e progressista, che sia di centro o meno, la speranza nel futuro non può che essere riposta nel progetto del campo largo che Elly Schlein e Giuseppe Conte stanno coraggiosamente costruendo. Il resto lo lasciamo a questa destra manganellatrice.


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