RACCONTARSI UNA FAVOLA

È davvero una chicca il film di Alice Rohrwacher “La Chimera” da poco uscito nelle sale cinematografiche reduce dal successo ottenuto al Festival di Cannes 2023.

Faccio fatica ad esprimere ciò che ho provato nel vedere il film e ciò che provo ogni volta che volontariamente o non ci torno col pensiero. La trama è originale, tratta di un giovane archeologo forse proveniente dall’Inghilterra o chissà da quale altra parte del mondo che, scoprendosi rabdomante, ha la capacità di trovare, in base alle sue azioni sensoriali, ottenute seguendo un bastoncino biforcuto (spesso di legno di nocciolo e di sambuco) i luoghi dove sono nascoste le tombe degli antenati di civiltà passate.

Tali tombe conservano gli oggetti appartenenti ai defunti pertanto risalenti a secoli fa per cui il loro valore è assolutamente allettante per i cosiddetti tombaroli; il protagonista non sa del commercio che esiste a latere delle sue scoperte tanto che, nonostante il suo lavoro, non si permette una vita agiata né anela ad una situazione diversa data la sua natura ingenua e per certi aspetti demodé. Il suo maggior desiderio è quello di ritrovare la sua amata, scomparsa da qualche tempo, e che ricerca instancabilmente in ogni dove.

Questa, in breve, la storia che fa da griglia o meglio da canovaccio, come in una commedia dell’arte, dove si intessono l’ordito e la trama di una favola antica. L’atmosfera che si respira da subito ci riporta indietro nel tempo; una sorta di alchimia temporale trasporta gli spettatori verso un mondo lontano ma che echeggia in ognuno di noi che siamo parte integrante di quel passato, discendenti di quella sacralità del culto dei morti e delle costruzioni di luoghi come i cimiteri, luoghi questi atti a conservar la memoria dei propri cari.

Nella nostra letteratura non mancano riferimenti importanti a questo culto tanto da suscitare in Foscolo la disapprovazione per l’Editto di Saint-Cloud emanato dal Napoleone nel 1804, in base al quale, i morti dovevano essere seppelliti fuori dalla città e in tombe comuni; il poeta insorse poiché ciò privava il singolo dell’illusione che il caro estinto potesse ancora ascoltarlo grazie a quella “CELESTE CORRISPONDENZA DI AMOROSI SENSI “che si crea ogni volta tra il vivo e l’estinto. E che dire di Totò e della sua “A LIVELLA” quando rende giustizia dopo la morte al povero spazzino ancora denigrato dal Conte blasonato e sepolto accanto alla sua misera tomba spoglia in una notte misteriosa ricordando al nobile che la vanità umana non ha più valore dopo la dipartita.

Ma dopo questa digressione, torniamo al film, in un alternarsi di emozioni di piani alti e bassi il protagonista si lascia andare in quella ricerca spasmodica di un amore non realizzato, non concluso che alberga e riaffiora in lui in ogni momento della sua vita e fa sì che l’innamorato entri in una dimensione altra ogni volta che si avvicina ad un luogo sacro quasi quasi attratto da una forza occulta che lo attira verso di sé. Ecco che ad ogni tomba si ritrovano oggetti di ogni tipo: anfore, suppellettili, lanterne, e statue che comunque diventano poi merce di scambio per tombaroli e predatori insensibili.

Questo agire è molto frequente nel nostro paese visto l’abbondanza di questi posti colmi di reperti archeologici infatti la regista non si fa scappare l’occasione di far riferimento all’Italia facendola personificare in una donna chiamata appunto Italia la quale a un certo punto, dichiara: questa è l’Italia. Noi siamo abituati a convivere con questa cultura che unisce i vivi e i morti in un solo amplesso lo sono testimoni tanti luoghi di culto che ancora oggi resistono alle nuove dottrine. Non dimentichiamo il “Cimitero delle Fontanelle” presso Napoli che comprende centinaia di teschi a cui spesso i napoletani ricorrono quando la sorte li mette a dura prova.

Tale culto è famoso in tutto il mondo e costituisce una grande attrattiva per i turisti tanto che quando, per il Capodanno del 2003 fu chiesto a Rebecca Horn di realizzare un’opera per il nuovo anno, Lei non esitò a riempire piazza del Plebiscito (piazza più significativa di Napoli) con 333 teschi in ghisa piantati nel selciato ispirandosi proprio al “Cimitero delle Fontanelle” e nominando l’opera: Spiriti di Madreperla.

Un fil rouge letteralmente un filo rosso ci accompagna per tutta la durata del film comparendo di volta in volta in flashback tra una scena e l’altra, all’improvviso tenendo così alta l’attenzione sulla sua costante visione. Alla fine sarà proprio quel filo rosso a svelarci a sorpresa il finale di tutta la storia; esso ricongiungerà i due amanti, o meglio le due anime, quella del protagonista e quella della sua compagna che concluderanno la loro “odissea” con un abbraccio, testimonianza questo di forza e grandezza dell’amore.


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