– Il pensiero pensa.
Il pensiero non può fare altro. Pensa.
Il pensiero sta dentro se stesso e nel tempo del suo divenire, con tutta la varietà di posizioni, dalla stasi vuota all’intenzionalità divagante. Da un pensiero all’altro.
Si trova così, è consustanzialmente con sé stesso.
E quando non è con sé non c’è il pensiero e può soltanto ammetterlo come una possibilità che non può verificare. Il sonno, l’ambiguità del sogno, fino all’estremo del prima e del poi della vita.
È dunque ambiente e sostanza, da sempre.
– Il pensiero del pensiero.
Il pensiero può pensare se stesso.
Gli è naturale pensare al pensare, alla natura – la modalità? l’origine? il funzionamento? – di quello che sta facendo.
Così, l’atto del pensare viene a coincidere con l’atto in cui il pensiero pone a se stesso la domanda di ciò che è. E questa differenza costitutiva è però anche il circolo vizioso che lo rinchiude su se stesso: pensa il pensiero che pensa il pensiero che pensa… Potenza impotente di sé e insieme lo scarto su cui tenta un impossibile dentro/fuori rispetto a se stesso.
– Il pensiero è un bordo.
Il pensiero è presenza a se stesso e domanda, ma al tempo stesso è attraversato e circondato da altro rispetto a cui reagisce e si declina. Sensazioni, sentimenti, piacere, dolore, euforia e noia, segnali che arrivano dal corpo in cui sta, e anche l’andirivieni con il passato che continua nel presente che si apre a ciò che sarà. Pensiero che comprende e contiene o pensiero/bordo che constata un’alterità?
– Il pensiero della realtà.
Poi, c’è il cosiddetto “buon senso”.
Il pensiero si adegua all’evidenza di ciò che lo circonda, prende atto di quella cosa che chiama realtà perché si presenta con i tratti di un’esistenza che non dipende da lui.
Così rimuove la domanda e “funziona”, come farebbe una macchina, e si organizza su una mappa semplice ed efficace con due protagonisti che lui stesso definisce: il soggetto e cioè chi pensa e l’oggetto, ciò che viene pensato. Semplice, evidente, condiviso.
– Il pensiero e/è Dio.
E se la mappa la facesse Qualcun altro che proprio per questo la garantisce? I pensieri sono lì e della loro verità si fa fondamento un’Autorità assoluta che li riporta comunque a un ordine e assicura un criterio sulla base del quale distinguerli e tracciare un discrimine tra vero e falso. Una sorta di Pensiero del Pensiero, tautologico e insieme creatore e garante del pensiero di ciascuno e della realtà. Un super-paletto che mette fine a qualunque circolo vizioso. Con un’ulteriore garanzia: il livello fondante del Pensiero si basa su una Rivelazione e cioè su una Verità non discutibile dal pensiero, di fronte alla quale il movimento del pensiero si ferma.
– Il pensiero fonda i pensieri.
Alternativa. Il “buon senso”, che del pensiero è una declinazione, diventa un punto di partenza, dal quale il pensiero cerca fondare la possibilità di un giudizio ragionevole, addirittura scientifico, magari pensando a una cornice immutabile in cui accogliere e dare ragione dei dati della realtà. Così, elabora categorie, schemi, astrazioni che consentono di generalizzare e fondare regolarità. Convenzioni e al tempo stesso strutture della realtà. Con annesso rischio di un infinito avvicinamento a una coincidenza impossibile, come quella del poligono di cui si possono moltiplicare quanto si voglia i lati ma che non finirà mai per coincidere con la circonferenza in cui è inscritto.
– Il Super-pensiero.
Il pensiero non si è fermato, ha esorbitato con un movimento ininterrotto tra soggetto e oggetto, in cui ha preso coscienza di tutte le forme in cui si è dato, religione, estetica, diritto, moralità, eticità, filosofia… fino a concentrarsi nell’idea di un Super-pensiero pacificato e conciliato con se stesso. Tutto ciò che è razionale è reale tutto ciò che è reale è razionale.
– Il pensiero è artificiale. (1)
Il pensiero è sempre stato artificiale. Coincide con gli strumenti con cui gestire e esercitare il suo movimento e gestirlo sempre meglio. Lo fa da sempre con il linguaggio, pensiero e/è parola. Il primo strumento, parole che si concatenano, si succedono, si rimandano, si lasciano, si perdono, si ritrovano, si ricordano, si dimenticano… Ne consegue un’esigenza pratica e al tempo stesso filosofica: dare un ordine che sia corretto dunque trovare modalità che garantiscano della loro concatenazione e della verità e/o degli effetti che possono produrre. E qui o sorge il Sole della verità che splende alto e l’illumina oppure c’è il gioco libero che esalta la potenza poietica e arbitraria della parola.
– Il pensiero è artificiale. (2)
Il pensiero si rappresenta. Sente il bisogno di depositarsi, di affidarsi a qualcosa che non lo faccia svanire nel suo movimento, e che, se per un verso ne arresti il dinamismo sfuggente, la pulsazione in interrotta, per l’altro gli consenta di non disperdersi, di lasciare una traccia che può assumere le forme più diverse. Un’espressione matematica, una poesia, un romanzo, una lettera, un trattato, un semplice appunto, un aforisma, un libro… dunque il pensiero esce da sé, si fissa congelando l’energia primigenia e offrendo allo sguardo altrui il risultato di sé. La scrittura.
– Il pensiero è artificiale. (3)
Il pensiero non è solo il pensiero, la sua aspirazione all’ordine va di pari passo alla necessità di rappresentare/rappresentarsi in qualcosa che consenta di andare oltre il limite strutturale di se stesso. Parole che diventano romanzi, poesie e immagini. Il pensiero non è solo parola ma anche visioni e, oltre, immaginazioni, fantasie, invenzioni, dimensioni sonore…
La parola diventa il dentro/fuori di questo gioco strutturale che, a sua volta, diventa pittura, scultura, cinema, televisione. Oppure è un sogno da cui il pensiero si sveglia e che tenta di afferrare con le parole.
– Il pensiero è un dispositivo. (1)
Dunque, il pensiero, la galassia che lo compone, viene a se stesso ed è presente a se stesso, ma come si dà? E autopoietico, si genera per gemmazione spontanea? Paradosso: constata che è, ma mentre è non può dire perché è e cosa lo fa essere tale. Sta dentro di sé ma rimanda se non a un fuori, a una causa efficiente. Solo che non la conosce, mentre procede orgoglioso di sé gli è del tutto sconosciuto ciò che lo fa pensare, la macchina che instancabile genera pensieri-parole, pensieri-immagine. Dovrebbe entrare nella (sua) testa mentre sta pensando, acrobazia impossibile. E poi cosa vedrebbe: un cervello, un organo con una materialità che è il contrario della invisibile trasparenza dei pensieri che… produce.
– Il pensiero è un dispositivo. (2)
Come al cinema, lo spettatore è seduto davanti allo schermo. Non può vedere il dispositivo che proietta le immagini e si convince della loro realtà.
Il mito della caverna è la prima rappresentazione di questo paradosso così come la metafora dell’inconscio: vediamo e parliamo, ma non sappiamo come e perché. I pensieri appaiono e scompaiono, baluginano, si impongono, convincono… e il gioco dell’oblio e della memoria ha sempre un margine che non dipende dal pensiero.
Ipotesi. Che non ci sia un algoritmo che governa tutto fatto di una misteriosa corrispondenze fra una struttura materiale e una rete immateriale, di cui ci illude la (sensazione) della libertà? Che il primo algoritmo non sia quello che presiede al pensiero?
– Il pensiero è un effetto.
Se il pensiero è l’effetto di un dispositivo, da questo dipende anche l’oscillazione tra libertà e coazione, presenza e estraneità. Pensieri ricorrenti, pensieri rimossi, il fragile perimetro della veglia, il sonno e il sogno, incubi e immaginazioni, idee-eureka… Lavoriamo e c’è chi lavora con noi. Libertà e/è macchina.
– I pensiero artificiale 2.0.
Il pensiero ha il sogno artificiale di se stesso. Costruire macchine che possano pensare, macchine in cui intanto trasferire le sue capacità computazionali, moltiplicandone le possibilità per quantità di dati e velocità delle operazioni. Macchine che possano replicare le sue operazioni secondo le sue esigenze, senza altro impegno che una richiesta. Macchine che eseguano e paradossalmente lo tolgano alla necessità di pensare e ne eliminino pause, attese, incertezze, angosce. Comincia con la calcolatrice e arriva al computer che può maneggiare una massa immensa di informazioni, trovare collegamenti e svolgere compiti che postulano due condizioni: connessione e interazione.
Il pensiero-click, richiesta, tasto, risultato.
– La macchina calcolante, strumento e dispositivo.
Il risultato di un dispositivo genera un altro dispositivo.
La macchina calcolante ne ha l’ambiguità: strumento docile e insieme struttura che condiziona chi la usa senza farsi percepire come tale.
Ne constato l’efficienza, posso stupirmi dei risultati, servirmi di un’interazione che può governare le operazioni più diverse della quotidianità. Constato risposte che vengono date alle mie domande, e che la combinazione di una tastiera può produrre “magicamente” applicazioni che si interfacciano con la vita e vi portano quello che prima era diviso e parcellizzato, sottoposto alla costrizione dello spazio e del tempo: banche, alberghi, treni, aerei, cibo, salute, prenotazioni, forme, relazioni, comunicazioni, informazioni e poi cinema, stampa, radio, televisione…
Questa macchina è/può essere tutto. Tutto ciò che reale on line e tutto ciò che è online è reale. Il computer è lo Spirito Assoluto e la performatività di una simulazione.
– Pensiero e macchina del pensiero.
Il pensiero interagisce con la macchina, la orienta e la indirizza a soddisfare le sue richieste. E però la macchina non è il terminale passivo a cui si applica una libertà, è stata infatti programmata per poter interagire. È cioè un dispositivo che risponde a dei comandi tanto quanto presuppone un programma che incanali l’azione di chi la usa. E chi la usa non può andare oltre il quadro delle compatibilità previste dal programma. Il pensiero trasferisce pensiero che a sua volta presuppone programmazione e controllo, e dunque chi lo governa, pensiero politico e pensiero economico.
– La macchina usa l’utente.
Il programma ne nasconde un altro che registra tutto quello che l’utente gli fa fare. Il dispositivo sintetizza in tempo reale il pensiero dell’utente e ne elabora lo schema delle scelte e delle preferenze. Il pensiero viene ridotto al programma che ha generato e alle relative operazioni e, intanto, alimenta il marketing di se stesso. Pensiero che programma e programmazione del pensiero.
– La macchina pensa?
L’algoritmo evolve, impara e diventa flessibile, si adatta, diversifica, stabilisce relazioni. Un programma non gli dà solo ordini ma istruzioni che non riguardano il cosa ma il modo e l’ambito dell’elaborazione.
La macchina allora pensa? O consiste in operazioni che simulano il pensiero, quel pensiero? Intanto, esegue operazioni che sono il risultato di programmi che replicano alcune delle modalità con cui il pensiero pensa, aumentandone l’efficacia. Non ha creato i programmi, contiene programmi che operano sulla base di un dispositivo creato dall’intelligenza di chi la usa.
– Agere o intelligere (1)
La macchina agisce. E agendo capisce anche di agire? La macchina funziona con programmi che non sono fatti più di operazioni ma delle istruzioni per eseguirle, con la possibilità dunque di scegliere e dare risposte puntuali, con flessibilità e un’elaborazione diversificata e personalizzata.
Il pensiero gli trasferisce architetture sempre più articolate di sé, che replicano le reti che lo costituiscono e modellizzano la galassia che lo costituisce.
Si può dare allora un punto in cui dalla complessità si genera lo scarto dell’autonomia e della consapevolezza? Si può raggiungere quel punto in cui germina la coscienza, oppure con tutti gli avanzamenti possibili, le sofisticazioni che possono far pensare a una libertà decisionale, la sovrumana capacità di gestione di dati rimane sempre soltanto il risultato di un programma? Rimane comunque e sempre un agere che, se esibisce la capacità di intelligere, resta sempre agere.
– Agere/intelligere (2)
Il nostro pensiero è al tempo stesso il programma che lo fa essere, che lo produce. Il pensiero pensa e elabora schemi, percorsi, modalità che appartengono al pensiero, e le trasferisce alla macchina. Trasferisce un’elaborazione di sé al quadrato – e tuttavia senza la consapevolezza della sua genealogia, del suo dispositivo – e anche istruzioni perché la macchina compia ulteriori – forse imprevedibili – elaborazioni. Fino al punto di oltrepassare l’agere? Bisognerebbe pensare a un algoritmo cosi totalizzante da essere totalitario, e cioè tale da riprodurre quello del pensiero: un riprodurre che per quanto portato all’estremo non arriverebbe mai a coincidere. La sfasatura iniziale si replica anche nel risultato.
– Algoritmo, potere e buon senso.
Algoritmo come Frankenstein, il mostro costruito dallo scienziato che va fuori controllo? L’algoritmo ha l’ambizione di replicare, con la potenza di cui dispone, le capacità del pensiero, fino a tenere insieme l’arco più ampio possibile di variabili nel funzionamento del pensiero.
A fronte della pulsione onnipotente, due limiti. Il primo a monte – la conoscenza che il pensiero ha di sé e che la scienza ha del cervello – l’altro a valle: l’utente, l’assuefazione confortevole dell’utente che con una sorta di buon senso normalizzante si vive in un ambiente percepito come naturale, rimuovendone la programmazione tecnologica. Un ambiente confortevole, duttile, così personalizzato da eliminare contraddizioni e problemi del vissuto.
Questa assuefazione che assoggetta ha come contraltare il potere di chi gestisce l’algoritmo.
– Il pensiero, domani.
Il pensiero di oggi può immaginare, ma non può sapere. C’erano una volta la scimmia poi Neanderthal poi il Sapiens che si è mosso, parecchio, ma mostra ancora parecchi difetti, nasce, cresce, invecchia e muore. È sottoposto all’irreversibilità analogica e a non voler essere del tutto ottimisti, come scriveva Camus ne Il malinteso, “gli uomini muoiono e non solo felici”. Diventeranno una protesi delle macchine? Oppure li attende un avvenire bionico? Pezzi di ricambio e superintelligenza incorporata direttamente nel cervello. Con tutte le immaginazioni orwelliane in agguato, il pensiero sarà un Superpensiero? Per tutti o per qualcuno? Perché la storia, mutatis mutandis, potrebbe essere sempre la stessa. Chi ha e chi non ha.
Intanto, il pensiero della vita è ancora questo e ha ancora quel traguardo mortale la cui ombra sta dentro, di fianco, accanto al pensiero. Per quanto l’intelligenza artificiale diventi onnipotente e per quanto vorrà assomigliare al pensiero, vincerà se farà della felicità un programma felice, se riempirà la mancanza da cui si origina la vita e la condizione stessa del pensiero, e se sconfiggerà l’irreversibile della vita e della morte.
– Il pensiero dei dinosauri.
C’erano una volta i dinosauri e non c’eravamo noi.
Adesso ci siamo noi e non ci sono più i dinosauri.
I dinosauri sono stati un passaggio in un cammino che doveva approdare a noi e alla nostra coscienza/intelligenza? Oppure sono un monito alla presunzione antropocentrica?
Ipotesi. Al di là del caso e della necessità, un altro degli schemi/circolo vizioso con cui continuiamo a interrogarci sulla nostra presenza qui, in questo mondo, mi chiedo se non ci sia un super algoritmo che coincida con la totalità degli elementi in gioco e che sia consustanziale al divenire.
Un aggiustamento ininterrotto tra equilibrio e squilibrio sta nelle cose e ha infinite varabili, comprese quelle che riguardano lo spazio-tempo, ed è trasversale a tutto, al punto da regolare la composizione della materia fino alle particelle delle particelle delle particelle e il movimento di quello che chiamiamo universo (?) che non sembra – e razionalmente – non può avere limite.
Rispetto a questo tutto è, è stato e sarà possibile.
Il (mio) pensiero si ferma qui. Ora.
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