CARTESIO NON AVEVA RAGIONE

Cartesio non aveva ragione Il neurologo Antonio Damasio ha scritto un libro su questo argomento con il titolo “L’errore di Cartesio”. L’errore per Damasio e per tutti gli organicisti e’ che non esistono due cose separate come Cartesio ipotizzava la “res estensa”, cioe’ il corpo e la “res cogitans” ossia la parte pensante, la mente, la memoria e le emozioni. Ormai la neurofisiologia ritiene che anche il cervello e, quindi, il nostro pensiero sia fatto di atomi ed altre strutture fisiche come il resto del nostro corpo.

Pochi oggi dubitano che cio’ sia vero. Tuttavia pochi accettano completamente questa unicita’ fisica dell’essere umano.
C’e’ in genere una obiezione poetico-sentimentale che in sostanza non accetta che il pensiero, le emozioni e specialmente la coscienza possano essere riportate a fenomeni puramente fisici. Ma allora, se questa obiezione fosse valida, quale altre spiegazioni ci potrebbero essere?
Per sfuggire a questa trappola metafisica, filosofi della mente di alto prestigio, come David Chalmers pensano che il fenomeno della “coscienza di se”, il Self, sia non spiegabile con la fisica che oggi conosciamo e che ci sia bisogno di un’altra fisica.

Un evento similare era avvenuto nei primi del 900 quando la meccanica quantistica aveva risolto i problemi che la teoria standard della fisica si era dimostrata inadatta a spiegare il mondo delle particelle elementari.

Per Chalmers il problema di cosa sia la coscienza rimane un “hard problem” cioe’ il problema piu’ difficile della neurofisiologia. Comunque teorie interpretative, come la la “IIT (Information Integrated Theory”), proposta da Tononi ed altre teorie della coscienza, rimangono ancorate a processi puramente fisici.

Qualcuno recentemente ha scritto: se volete sapere cosa sia la coscienza chiedetelo ai fisici, ma anche loro non lo sanno o propongono spiegazioni molto fantasiose come quella che riduce la coscienza al collasso della funzione d’onda della fisica quantistica.
Ma se queste controversie interpretative rimangono nell’ambito puramente teorico, e’ nel campo della medicina che queste incertezze possono avere conseguenze.
Infatti e’ nella scienza medica, che dovrebbe avere una ferrea visione organicista, che si vedono crepe del ragionamento e contraddizioni palesi.

Addirittura la medicina degli ultimi 40 anni ha partorito la specialita’ psico-somatica che cartesianamente riporta alla distinzione mente (psiche) e corpo. Cioe’ 2 regni separati che si influenzano l’un l’altro ma non condividono gli stessi meccanismi patologici. Eppure da moltissimi anni sappiamo che processi di necrosi cellulare coinvolgono i neuroni come le altre cellule del nostro corpo, e che la necrosi dei neuroni causa non solo sintomi della sfera cognitiva ma anche
della sfera motoria come la paralisi della muscolatura degli arti.

Tuttavia, malgrado queste evidenze, molti medici anche a livello accademico, hanno continuato a classificare due tipi di patologie, organiche e funzionali come fossero di origine diversa dal comune
meccanismo patologico che affligge le cellule del corpo.
Questa teorica interpretazione di patologie differenti ha portato a classificazioni, modelli e trattamenti differenziati.
Da una parte il modello delle malattie organiche o somatiche e dall’altra il modello delle malattie della psiche.
Non infrequentemente con quest’ultimo modello viene relegato tutto quello che non si riesce a classificare come organico, attribuendo spesso al malato “non organico” la causa della sua malattia.

E’ vero che nessun medico ha mai negato una connessione tra somatico e funzionale; spesso la “psiche” viene considerata come causa od aggravante di una malattia organica attraverso l’intervento dello stress, dell’ansia, dell’ipocondria etc; tuttavia la distinzione tra malattie degne di essere considerate malattie ed il resto e’ ancora presente nella nostra interpretazione della realta’.
In questo, anche i dottori della psiche dai neurologi, psichiatri e psicanalisti hanno partecipato a mantenere questo dualismo, teoricamente negato ma praticamente coltivato.

Noi accettiamo che le tassonomie, che utilizziamo in molti campi del sapere, siano errate o grossolane. Molte di queste classificazioni sono comunque utili sia dal punto di vista teorico chepratico.
Raggruppare cose simili fra di loro puo’ essere all’inizio utile alla conoscenza, ma quando la conoscenza si accresce puo’ essere piu’ vantaggioso adottare il metodo di suddividere perche’ i gruppi comprendano unita’ piu’ simili fra di loro.

Questo modo piu’ ampio di interpretare la patologia dell’uomo puo’ creare scompensi od alterare strategie terapeutiche, ma dovrebbe portare ad una interpretazione olistica della malattia. Questa visione del sapere medico dovrebbe abbattere
le barriere che erratamente sono state innalzate, come quelle tra soma e psiche, ma deve anche tener conto che la malattia accade perche’ molti fattori causali, genetici ed ambientali , si sono intrecciati fra di loro.
E che, inoltre, questo intreccio tende a variare da individuo ad individuo in modo tale che ogni malato e’ diverso da un altro, ma non solo per una differente reazione emozionale alla malattia, ma principalmente perche’ il processo patologico e’ scatenato da cause
diverse.


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