UNA FINESTRA SUL MONDO: QUALE TV ITALIANA CI POTREMMO PERMETTERE NEL 2027?

La parabola della presidenza Soldi in Rai è forse la metafora più istruttiva per comprendere l’evoluzione in corso del mercato televisivo nazionale. Soprattutto per l’incidenza dell’aggettivo, appunto nazionale.

In due anni, dalla nomina ad opera del governo Draghi, alla sua uscita che coincide con l’entrata nel gruppo BBC, con funzioni non proprio onorifiche, l’ex capo del gruppo Discovery Italia, di proprietà della Warner Bros, ha mostrato le opportunità e i rischi di una contaminazione delle realtà industriali italiane con i giganti multinazionali dell’audio visivo.

Ignorando il capitolo sul conflitto d’interessi, che affiora più volte nell’esperienza della dottoressa Soldi a Viale Mazzini, suggerito se non altro dalla coincidenza con cui i grandi nomi in uscita dalla Rai che presiedeva, sono tutti stati catturati con grande tempismo dal gruppo da cui lei proveniva.

Riportare in auge anche solo l’espressione “conflitto d’interesse avrebbe inevitabilmente un sapore amaro e beffardo, dopo la lunga guerra dei 30 anni Rai-Mediaset, conclusa con la supremazia del gruppo privato, saldamente insediato al governo del paese, e largamente capace di tradurre in attivo di fatturato il suo privilegio. Non apriremo dunque questa porta, ma non possiamo dimenticare che tenacemente continua ad operare, in varie direzioni.

Il tema che invece sarebbe utile affrontare, riguarda proprio la dinamica che si annuncia sul mercato televisivo, in cui i risvolti geo politici, o ancora meglio, geo commerciali globali stanno prevalendo sulle tradizionali motivazioni di politica interna.

La finestra sul cortile, come potremmo definire la tv generalista italiana, e in particolare il servizio pubblico, prendendo a prestito il grande film di Alfred Hitchcock, è ormai diventata un balconcino che affaccia su una grande agorà internazionale, sovrastato da attici e terrazze.

Siamo infatti nel pieno di un tornante che ci sta conducendo in un nuovo scenario, in cui, per gli effetti composti di una successione generazionale e di una trasformazione tecnologica, l’idea stessa di utenza televisiva si sta separando, in maniera sempre più decisa, dall’infrastruttura stabile e residente, di un palinsesto cadenzato da appuntamenti fissi, fruibile da un apparecchio casalingo.

Nei prossimi 5 anni vedremo al centro del mercato almeno 5 generazioni che non ricordano come fosse il consumo televisivo prima del digitale. Potremmo dire che per questa fascia di consumatori trasmissioni quali Techetechetè, il format della nostalgia che ancora la fa da padrone nella programmazione estiva di Rai 1, diventerà, eventualmente, un programma di scoperte e incontri per collezionisti dal gusto vintage che si aggireranno nell’offerta televisiva come i visitatori di un museo non ancora visto.

Contemporaneamente, ci aggiornano i diversi report previsionali dei centri di ricerca, avremo una personalizzazione della fruizione sempre più accentuata, con una prossima pretesa di re impaginare direttamente il proprio palinsesto individuale, con modalità di editing che si avvarrà di magazzini di generi e formati a cui attingere.

In questo contesto il tema che diverrà essenziale riguarderà proprio la persistenza di una robusta e differenziata realtà imprenditoriale nazionale che possa trovare ruolo e missione nella scomposizione pulviscolare del pubblico.

Non solo dovremo passare da una situazione caratterizzata da poche tv di massa ad una massa di produttori di audiovisivi, ma dovremo re interpretare proprio la relazione fra utente e distributore, con al centro una figura sempre più complessa di produttore che verrà, alternativamente, integrato dai primi o dai secondi.

E’ un passaggio letterario, potremmo definirlo.

Infatti una fase simile, cosi drastica nel sovvertimenti di ruoli e funzioni nella comunicazione, la possiamo rintracciare proprio alle origini della letteratura italiana, nel cuore dell’umanesimo cinquecentesco, come ci spiega nel suo tomo Galassia Ariosto (Donzelli Editore) Lina Bolzoni, una straordinaria figura di etnologa culturale, docente alla Normale di Pisa, capace, per l’assoluta padronanza della materia, di mappare le radici dei linguaggi digitali, risalendo proprio ai grandi autori del XVI° secolo. In quel tempo l’avvento di figure come Ludovico Ariosto e Torquato Tasso, ci spiega la Bolzoni, riconoscono la domanda di coinvolgimento che sale dai lettori delle prime opere stampate, e cominciano a sollecitarne l’attenzione e la curiosità, arricchendo le pagine dei libri da immagini che diventano un completamento del testo, “ Ariosto- scrive l’autrice- è modernamente consapevole di far parte di una nuova era, di quella Galassia Gutemberg dove le opere si stampano e si vendono, e si rivolgono dunque ad un pubblico ben più largo e indifferenziato di quello della corte “.

Stiamo dunque giocando in casa, e non dovremmo proprio noi stuipirci di un cambio di scena dobe la narrazione non sia più un flusso unidirezionale, top down, ma faccia i conti con le trasformazioni della domanda sociale e di un ambiente in cui le abilità tecniche e l’accessibilità alle procedure produttive si sono enormemente estese.

In questa nuova Galassia Video, non sono solo in gioco i destini di questa o quell’azienda, per quanto parliamo di imprese, come il servizio pubblico Rai ma anche il suo competitore privato Mediaset, che rappresentano tanta parte del vissuto nazionale, ma quanto proprio un’autonomia culturale , neurale dovremmo oggi dire, che attiene alla stessa sicurezza nazionale.

La capacità di produrre autonomamente linguaggi oggi è infatti premessa e completamento di una potenza di tutela del proprio senso comune che le nuove modalità di quella che ormai chiamiamo “guerra ibrida” minaccia direttamente (vedi NetWar: in Ucraina il giornalismo cambia la guerra mas la guerra ha gia cambiato i giornalisti, M.Mezza, Donzelli editore).

Non dobbiamo infatti dimenticare come oggi l’apparato di intrattenimento televisivo , soprattutto nelle nuove modalità digitali, riveste due funzioni del tutto inedite : una induzione al deposito di dati personali da parte degli utenti, che consente al distributore di essere titolare di una materia pregiatissima; la produzione di contenuti sempre più preziosi per addestrare i sistemi di intelligenza artificiale.

In questa ottica, l’esplosione dell’offerta da parte di operatori esteri, come appunto il gruppo Discovery con il suo bouquet di 13 canali, che presidiano target specifici di pubblico (dall’attualità eccentrica, ai rotocalchi di informazione, alle news , ai motori e a settori di pubblico infantile) ci mostra come proprio queste due funzioni siano nel mirino dei gruppi multinazionali.

Così come le ancora navi corsare di Netflix e Amazon , insieme alla corona di altri marchi , quali ad esempio Disney o Paramount, che stanno rastrellando utenti, profilandoli secondo proprie categorie commerciali.

In questa scia la stella cometa rimane ancora Sky che tendiamo, per anzianità a considerare nazionalizzata, ma che invece rimane saldamente una proprietà del gruppo americano Comcast . Una vera portaerei che attraverso lo sport e il suo canale all news sta tappando i molti buchi che la programmazione delle generaliste tendono ormai a lasciare aperti.

Come reagirà questo mosaico, dove i punti forti sono tutti caratterizzati da ancora limitate dimensioni e forti capacità di lavorare sui big data, caratteristiche esclusive al momento proprio delle realtà estere, rispetto alle grandi corazzate nazionali che con appesantimenti diversi, si trovano inchiodate a lavorare sulla vecchia relazione fra quantità di pubblico e fatturato pubblicitario, alle prossime scosse tecnologiche?

L’intelligenza artificiale sembra ormai muoversi decisamente verso la fabbrica televisiva, puntando a diventarne strumento e linguaggio. Dall’altro lato i grandi produttori di contenuti, cinema e ciclo tv- sembrano cercare una formula che li renda partner e non solo fornitori delle grandi piattaforme digitali.

Tutto questo ci porta ad un quesito a cui è legata soprattutto la prospettiva di sopravvivenza, con un’economia di scala adeguata, del servizio pubblco: quale mission?

In sostanza dovendo ripensare radicalmente il sistema utente, la relazione con i produttori, e il rapporto con l’automatizzazione dei grandi apparati nazionali, dalla pubblica amministrazione alla scuola e la sanità, che si baseranno su forme di addomesticamento di intelligenze generative ottenute proprio con addestramento audiovisivo, in base a quale obbiettivo riformulare fra poco più di tre anni il la convenzione fra rai e stato Italiano?

Una domanda che inevitabilmente dovremo porre prima al concedente e poi al richiedente la convenzione.


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