Scrive Alessandro Piperno in Aria di famiglia: «Non concepisco la scrittura come una necessità, un privilegio, un destino, ma più modestamente come un ripiego». Per quanto mi riguarda vale anche per la lettura. E dunque… Aria di famiglia ero indeciso se portarlo al mare per completarne la lettura durante la settimana di vacanze con mia moglie e mio figlio. Mi mancavano poco più di cento pagine. Il romanzo mi stava piacendo ma, pensavo, il caldo stordisce, la spiaggia distrae. La lettura richiede attenzione, se ne vuoi goderne davvero. In spiaggia è uno spreco.
Al mare, anche se non fai nulla, con tutta quella bellezza intorno di ripieghi non c’è proprio bisogno. Il ripiego della lettura, modalità intensiva con penna a portata di mano per sottolineare, va bene per le tante serate domestiche oziose e solitarie… Però poi il libro l’ho portato, e bene ho fatto: non perché abbia finito di leggerlo al mare. Nient’affatto. Gliel’ho passato a mio figlio.
Aveva portato con sé un libro pure interessante, tipo storia di vita di un attore emergente frequentato tempo addietro. Il nemico della lettura è il tempo. Stretto dal lavoro, mio figlio di tempo ne ha poco. Quel libro mi è sembrato uno spreco. Gli ho proposto Aria di famiglia. Ho dovuto vincere perplessità varie, ma l’ho convinto. La parola chiave è stata Enea, che gli è piaciuto tanto e della cui attenta analisi gli sono debitore.
Poiché, copyright Piperno, «le poche cose davvero importanti possono essere dette solo in modo banale», l’ho messa così: Guarda che c’è Roma alla grande, non il lato oscuro («Quando vivi qui non ci fai caso, lo dai per scontato, ti sembra normale, ma la verità è che il cielo di Roma non ha rivali») ma la stessa alta società del film di Castellitto. Cinquantenni non trentenni, ma sempre spatriati (copyright Desiati). Anche qui una grande storia d’amore, ma più sorprendente… Innovativo come il film, vedrai. Tanta classe. Una spanna sopra gli altri.
L’ho convinto. Ha cominciato a leggere. Gli ho detto: Fai con comodo, non affrettarti, puoi portartelo se non lo finisci. E lui: Ma no, ce la faccio, poi ne parliamo. I figli hanno il vantaggio dell’età e della forza. Se non riesci a far valere con la parola la tua esperienza, a che ti serve essere più anziano? Che altro puoi dargli? E così, mentre lui leggeva, io elaboravo argomenti per il confronto.
Pensavo, terrò questa linea: Aria di famiglia racconta la nuova geografia sentimentale al tempo del cambiamento climatico planetario. L’uso massivo dei social ha prodotto un surriscaldamento globale dei rapporti fra le persone, con conseguente scioglimento delle modalità precauzionali di cautela, discrezione e razionalità. Niente più rispetto.
Ogni profilo un cecchino. O una vittima, come il professor Sacerdoti, cinquantenne romano protagonista e narratore del romanzo, ordinario di letteratura francese e romanziere di successo. Contro di lui una giovane collega, ambiziosa e rapace, scatena una bufera. Le basta decontestualizzare e distorcere alcune incaute citazioni del professore dalle lettere dell’amatissimo Flaubert e il gioco è fatto. Misoginia, sessismo… e via di seguito. Il poveretto è all’angolo. Anzi, è scaraventato proprio fuori dal ring dei social, dell’accademia e dell’editoria.
Il professore non è un gran combattente. Tutt’altro: «Rinunciare era la cosa che mi veniva meglio. Se avessi fatto il pugile, sarei stato un ottimo incassatore». Disdegna la volgarità di certi mezzi, i colpi bassi sotto la cintura del decoro lessicale, dell’intelligenza e della morale. Ha educazione, cultura e classe e non sa e non vuole rinunciarci. Neanche per autodifesa.
Il suo mito è Flaubert, «quel sociopatico di un normanno» per il quale «le parole erano una questione di vita o di morte… Grammatica, sintassi e persino una cosa pedestre come la punteggiatura: era questo il campo da gioco del “nostro Gustave”, la roba che lo mandava in estasi, la sola che potesse dare un senso a una vita insensata come la sua. Con tutto il disincanto di maniera e il cinismo esibito, era il primo ad ammettere che le ore consacrate al lavoro sono le meglio spese». Come il suo maestro, anche il professor Sacerdoti coltiva la perfezione, benché conosca i propri limiti e sappia prendersi in giro.
L’arrendevolezza del professore è senza rimedio, è fatalismo e senso di colpa, è nel Dna della sua identità ebraica. «Hai un bel cercare di sottrarti al tuo destino. Hai un bel dirti che per liberarti dal tuo influsso basta comportarsi in modo equilibrato, con cautela e perseveranza. Provaci, se ci credi e ne sei capace, ma sappi che è una battaglia persa. Il destino è un tipo saggio, paziente e vendicativo. Se ne sta lì, in riva al fiume, a braccia conserte, sicuro del fatto suo, pronto a sferrare il colpo di grazia.»
Infine, mio figlio il romanzo l’ha letto d’un fiato e mi è stato grato, tanto quanto io per i suoi suggerimenti cinematografici. Insomma, è stata una bella vacanza. Sole, mare, cibo buono e letteratura di valore.
Comunque, a giudizio di mio figlio e mio, la qualità maggiore del romanzo è la posizione in campo (Ps. Di calcio nel romanzo ce n’è quanto basta, dalla Lazio al Tottenham alle trasmissioni sportive). Il professor Sacerdoti è trasversale, vive dentro, vive fuori, vive in mezzo a tanti cuori (copyright Anna Oxa). Per esempio: è ebreo, conosce tutti i precetti e rituali ma non è praticante. Aborre i fondamentalismi, come mio figlio e il sottoscritto: «I crimini arabi (ndr: del 7 ottobre 2023) avrebbero innescato i crimini ebraici, in una faida senza fine. Da un lato israeliani e palestinesi di buona volontà, dall’altro assassini assetati di sangue, fomentati da un fanatismo criminale solo in apparenza antitetico».
Passando dal sacro al profano, «Il nostro prof – dice nel romanzo un amico – si ripresenta vestito da gentiluomo ma è rimasto il solito figlio di puttana». Cioè: marca le distanze, sembra aver il mondo in gran dispitto, è saccente ma simpatico. Sa farsi voler bene, a dispetto dell’età di chi lo legge.
A mio figlio è piaciuta soprattutto la vitalità, il ritmo, i non pochi colpi di scena. Il romanzo, in effetti, è avvincente e avventuroso con sviluppi narrativi dickensiani. Il titolo, per esempio, sottintende coralità e trama di personalità comune di generazione in generazione ma c’è, infine, chi – colpo di scena – dice no alla supina acquiescenza agli iniqui colpi della cattiva sorte. Chi? Lo saprete solo leggendo.
Certo non il protagonista, annichilito dalla dolente consapevolezza di essere nel bel mezzo di un «passaggio di consegne tra una generazione incapace di mettere in dubbio la propria forza e un’altra che si era scoperta fragile, inerme, in balia di stravolgimenti tanto imprevisti quanto radicali… Stretti tra due fuochi, ai miei compagni (ndr: cinquantenni) non restava che rifugiarsi in questa esibizione di disincanto e sarcasmo. Un crocevia, un limbo, una terra di mezzo: forse questo era il meglio che si potesse dire di loro, di noi».
Il Noi di Aria di famiglia è pronome collettivo di più generazioni.
(Alessandro Piperno – Aria di famiglia – Mondadori, pagg. 405, € 21)
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