ISAAC ALBENIZ 1860 – 1909

MICROBIOGRAFIE IRRISPETTOSE

Sì, sono tutti bambini prodigio, lo sappiamo, ma Isaac esagera: debutta in concerto a quattro anni al teatro Romea di Barcellona. Neanche Mozart! A sette anni fa l’esame di ammissione al Conservatorio di Parigi, lo passa brillantemente, ma non lo vogliono: “Questo non è un asilo d’infanzia”.

Allora si sposta a quello di Madrid, e qui entra, ma trova il modo di litigare subito con i suoi professori. Alla fine manda tutti al diavolo e se ne va giurando di non mettere più piede in una scuola di musica.

Tanto per rimanere nell’esagerazione, a nove anni scappa di casa e se ne va in giro per la Spagna suonando e guadagnandosi da vivere come un adulto affermato.

La leggenda (ma pare che sia un po’ gonfiata) racconta anche che a un certo punto Albeniz, che ormai ha ben 13 (tredici) anni si imbarca per Porto Rico pagandosi il viaggio con la musica. Lo riacchiappa il padre, ispettore di dogana, che però poi, fiutato l’affare, se lo porta per un giro di concerti insieme alla sorellina nei paesi del Sud America.

Anche qui il paragone con Mozart e famiglia ci sta.

Nel 1877 raggiunge a Weimar Liszt, di cui è da sempre artisticamente innamorato, e lo segue per due anni in tutte le sue peregrinazioni mentali, musicali e geografiche (anche Liszt non è certo un tipo sedentario) facendo una grande esperienza con il maestro. Poi riprende a girare per conto suo di trionfo in trionfo, finché, stanco di tutto questo, secondo lui vano e faticoso arrabattarsi al pianoforte, dopo un ultimo concerto a Berlino nel 1893 appende la tastiera al chiodo.

E si piazza a Parigi, dove si trova benissimo (doveva essere un periodo di grande fervore e vitalità intellettuale), si mette a scrivere commedie musicali e opere, tutte scivolate discretamente nel dimenticatoio, ma poi, in un momento tragico della sua vita, con la moglie e una figlia malatissime, quasi in punto di morte, gli esce dalla penna una delle composizioni più brillanti, colorate, gioiose del repertorio mondiale: la suite “Iberia”.

La completa nel 1908 e poi, come una farfalla che ha fatto il suo ultimo volo, muore, giovane, nel 1909 (poche settimane prima, la Francia gli ha concesso la Legion d’Onore).

Di molte delle sue circa cinquecento composizioni le partiture sono scomparse nel nulla, perse nel vortice dei suoi viaggi, prestate e mai restituite, non edite, oppure cedute a editori inaffidabili e forse anche truffaldini. Di alcune che ci sono arrivate, c’è chi critica la approssimazione della stesura dovuta alla fretta, la eccessiva facilità con cui gli escono i temi e l’esagerato colore di cui li veste.

Ecco come lui stesso si commenta: “Alcune di queste cosette non sono da buttare. La musica è un po’ infantile, ingenua, vivace, ma in fondo gli spagnoli, noi spagnoli siamo un po’ così. In tutti i miei pezzi noto che c’è poca sapienza musicale, ma molto colore, sole, sapore di olive. E’ musica giovane con i suoi peccatucci e le sue piccole assurdità che però fanno uscire il sentimento. Ricorda gli intarsi dell’Alhambra, quegli arabeschi che in sé non dicono niente ma sono come l’aria, il sole, gli usignoli dei suoi giardini: sono la vera Spagna.”

Insomma di colui che è considerato il fondatore della nuova musica spagnola non esiste neanche un elenco completo delle opere. Questo succede quando si ha un carattere picaresco e avventuroso e non abbastanza metodico. A Bach non sarebbe mai capitato.

Perché, come abbiamo detto, Albeniz è un indisciplinato di costituzione, un confusionario, un disordinato.

Fra l’una e l’altra delle sue fughe da casa, nelle pause dei suoi giri concertistici senza contratti e senza progetti, lui ci riprova, ma inutilmente, a studiare ai conservatori, prima a Lipsia, in cui non resiste più di due mesi, e poi a Bruxelles dove conferma la fama del suo pessimo carattere e se ne va presto anche da lì.

Alla fine l’unica terapia che riesce a calmarlo è il matrimonio con una sua allieva con la quale ha due figli e finalmente si mette tranquillo.

Tutta la sua musica è scritta per il pianoforte, ma è assolutamente certo che dentro c’è anche un’altra anima ed è un’anima squisitamente spagnola.

E’ la chitarra. E infatti per primo Segovia, poi Tarrega e poi tanti altri solisti, attratti da questo richiamo nazionale, hanno trascritto (e continueranno a farlo) i suoi temi per le sei corde, fra le quali si sente subito che le melodie di Albeniz hanno trovato la loro seconda casa.

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