IL SECONDO WELFARE

Il «secondo welfare» è un mix di protezioni e investimenti sociali e sanitari a finanziamento misto (pubblico e privato), rivolto in particolare a coprire i nuovi rischi ed a trovare nuovi equilibri di welfare coinvolgendo in termini di produzione una vasta gamma di attori che partecipano. 

Essi sono collegati in reti con una forte relazione operativa con il territorio e creano il “welfare community e territoriale”. Welfare civico? Puo’ essere.

La medicina del lavoro è una di queste protezioni civiche e comunque ha le sue radici nei vari modelli di welfare che si sono succeduti. Il concetto di medicina del lavoro è uno dei pochi baluardi “universali” (rispetto ai dipendenti delle imprese) tale per cui esiste questa obbligatorietà di certificazione per le imprese. 

Il concetto di medicina del lavoro si sviluppa in prevenzione, diagnosi e cura delle malattie(somatiche,psicologiche) causate o da prevenire nelle attività lavorative  . 

Nel 2022 si contano in Italia circa 25 milioni di occupati, circa 18,1 milioni (il 72%) erano dipendenti e la restante parte indipendenti di cui una parte deve avere una certificazione di “sana e robusta costituzione” o comunque deve avere un “placet sanitario” per esercitare per svolgere il proprio lavoro. 

Non sono così ingenuo da affermare che la medicina del lavoro è efficace al 100%, ma in percentuali diverse ed in vari settori è incidente sulla salute della popolazione.  

Comunque tutto questo avviene in un contesto ove gli strumenti assistenziali e sanitari di tipo “tradizionale” a favore dei dipendenti-lavoratori non sono più sufficienti a far fronte ad uno scenario che, se non fosse altro per proprie dimensioni numeriche, ha reso indispensabile l’individuazione di un approccio di tipo totalmente nuovo nei confronti delle condizioni di benessere e qualità della vita delle persone che lavorano.

 Si è sviluppata una medicina del lavoro che affronta gli aspetti sanitari, sociali ed istituzionalmente sviluppa molta prevenzione. Uno dei pochi esempi di prevenzione “messa a terra”. 

Il Welfare aziendale, di cui spesso la medicina del lavoro è uno strumento, ha connotato in parte la transizione dall’insostenibile (economicamente) “welfare state” al “welfare mix” ed al “welfare municipale”. 

Il termine “welfare state”, che venne introdotto dall’arcivescovo di Canterbury, William Temple, in un libro, Citizen and Churchman pubblicato nel 1941, descriveva un coinvolgimento diretto dello Stato nell’apporto di aiuto a tutti coloro che, per vari motivi, mancavano delle risorse necessarie per vivere – invalidi, anziani e così via.  

 L’assistenza ai poveri doveva risultare meno appetibile del lavoro retribuito offerto dal mercato. Lo scopo era di invogliare la ricerca del lavoro salariato e l’impiego nelle industrie nascenti. Venne scelta la strada dello sviluppo industriale per la crescita sociale. In questo periodo si struttura istituzionalmente la medicina del lavoro. 

Nel 1942 una commissione, presieduta da Sir William Beveridge, aveva concluso i lavori di disamina del sistema sociale inglese per provvedere alla sua riforma che trovava il suo principio ispiratore nella riduzione dell’emarginazione, mediante interventi di sostegno al reddito forniti unicamente agli individui che cadevano al di sotto di determinate soglie di povertà. 

 Se le risorse non fossero bastate si sarebbe dovuto ricalcolare il carico contributivo piuttosto che procedere ad appianare il deficit per via fiscale. Solo così la società avrebbe potuto garantire il benessere a lungo termine.

Lo Stato non poteva essere ancora pensato come un “vaso di Pandora” della previdenza e dell’assistenza, con risorse e mezzi finanziari illimitati. È l’inizio della trasformazione da welfare state a social service state.     

La medicina del lavoro è parte importante dell’asset di welfare e non nasce esclusivamente in azienda, ma nasce dalle esigenze del concetto di welfare distribuito e territoriale e verifica lo status sanitario e socio sanitario delle attività di lavoro che però nascono sempre dal basso.  

In Italia il capostipite della medicina del lavoro è stato Bernardino Ramazzini che nacque nel 1633 e morì nel 1714 a Padova e che elaborò la costituzione epidemica rurale (1690), la costituzione urbana (1691) che sono trattati di epidemiologia “ante litteram”. 

Le prime istanze di medicina del lavoro si riferivano ai contadini che avevano delle patologie collegate allo status alimentare, abitativo, lavorativo nella loro vita quotidiana e nel lavoro dei campi.  

La malaria era imperante e si riferiva alle tre componenti pratiche: l’aria, le acque, le terre che creavano il paludismo con l’insorgere di patologie conseguenti.

Sorgono anche le patologie legate all’attività manifatturiera degli artigiani (inizio 1700) ed alla attività dei primi operai che avevano una vita diversa rispetto a quella dei contadini. 

Il Ramazzini fece un’opera rivolta allamalattie degli estrattori delle miniere: il titolo era “De re metallica”. 

 A proposito dei minatori qualunque tipo di materiale minerario venga estratto, si procurano malattie che sfuggono molto spesso a tutte le cure (“….. poiché molto spesso dalle miniere di metalli derivano a principi, mercanti, notevoli guadagni bisogna esaminare le malattie di questi lavoratori e proporre precauzioni e rimedi per la tutela della salute”).

Ramazzini insomma era un antesignano rispetto allo sviluppo e mantenimento del capitale umano. 

 Però questa impostazione scientifica umanitaria non è ancora orientata al fine della tutela protettiva e promozionale della gente che lavora, ma permane ancora l’idea che tali protezioni erano mezzi finalizzati alla preservazione della forza lavoro e all’aumento della produzione, non alla tutela della persona in quanto tale. 

Altra patologia erano i danni provocati dal lavoro dei latrinari. 

Ramazzini scrive:”…. mentre dunque veniva fatto questo lavoro in casa mia osservai uno di questi operai che in quell’antro di Caronte ultimava il suo lavoro con grande affanno e agitazione. 

Perché tanta fretta gli domandai e questi rispose che nessuno, se non l’ha provato, può immaginare quanto costa trattenersi più di quattro ore in questo posto. E’ proprio lo stesso che divenire cieco .Infatti quando lo vidi uscire dalla fogna mi informai di nuovo e vidi che i suoi occhi erano arrossati offuscati e i latrinai ,per questa indisposizione, non facevano nient’altro che ritornare a casa  e ritirarsi in una stanza buia; rimanere lì fino al giorno seguente con acqua tiepida e si risciacquavano gli occhi e c’era un certo conforto al dolore “.  

La continua esposizione a questi miasmi nonché a quel tipo di gas o quant’altro che si sprigionava, portava alla cecità Le esalazioni danneggiavano la conformità degli occhi . 

Poi ci sono le malattie dei doratori dediti a dorare manufatti in argento e in rame ;essi  sono soggetti a vertigini e assumono un’apparenza cadaverica  . 

Ci sono dei danni per coloro che abbiano fatto frizioni con unguenti a base di mercurio per quelli che avevano la lue venerea e come tale la terapia era con il mercurio. 

Anche i vasai erano danneggiati dal piombo e  gli stagnari dal piombo bianco; i vetrai dal borace e dell’antimonio.   

I lavoratori hanno delle patologie che derivano dalla postura ;cioè i lavoratori che tutto il giorno stanno in piedi o sono seduti chini in avanti piegati come i  calzolai ,i sarti,i facchini.   

Anche coloro che hanno sforzi intensi sulle corde vocali e i polmoni come maestri di dizione, cantori e suonatori di strumenti musicali a fiato.   

Altri lavoratori sono i becchini, le levatrici e nutrici che ,operando gli uni a contatto dei cadaveri e altri a contatto di neonati e poppanti, sono  vettori di malattie trasmissibili .  

In quel tempo gli ebrei gestivano molto il mestiere di calzolaio o quelli che facevano i sarti oppure le donne che filavano e queste avevano poi delle difficoltà di tipo oculistico. 

Oggi queste malattie esistono ancora,ma la medicina del lavoro le previene tramite strumenti e tecnologia nonché tramite comportamenti lavorativi che evitano il loro insorgere. 

 In Italia altre figure importanti  furono Luigi Devoto(1864-1963) che fondò la moderna medicina del lavoro(a lui è dedicata la Clinica del Lavoro di Milano,che è considerata la struttura sanitaria più antica dedicata a questo comparto della medicina); poi Luigi Preti (1936-1941)che ebbe come epigono Salvatore Maugeri(1905-1985) che inaugurò  il proprio insegnamento a Padova citando la voce di Ippocrate che fu la prima a dire che il lavoro dei fornai e dei minatori è una sorgente di malattia e la sua prolusione aveva come titolo “Attualità della medicina del lavoro” . 

Nella sua prolusione cita il passaggio da Ippocrate(460 a.C-375 a.C) a Platone in cui diceva che “…..il lavoro manuale è indegno dell’uomo perchè  il lavoratore come ha il corpo deformato dalle arti e dei mestieri così ha l’anima corrotta a causa della volgarità”.   

Lo scrittore Luciano di Samosatra(120 d.C.-180 d.C) affermava che “…..il lavoro dunque dovesse essere riservato gli schiavi i quali sono esseri inferiori ;l’uomo non deve avvicinarsi a loro e la medicina non si occuperà del loro lavoro”.   

Maugeri cita Johann Peter Frank (fautore della “polizia medica”a favore delle classi più povere e vulnerabili)che a fine 1700 dice che “….. all’interno della Francia napoleonica i garzoni del fornaio a  cinquant’anni sono decrepiti; gli stradini vanno soggetti a deformazioni vertebrali; muratori e stuccatori  a patologie polmonari causate dall’aspirazione del gesso” . 

A Milano c’era un ambulatorio gratuito settimanale per operai dell’industria e corsi di igiene del lavoro per gli stessi operai e di questo Maugeri fu un artefice.  

Le ricerche di Maugeri furono indirizzate in gran parte sui temi dell’intossicazione da piombo e da solfuro di carbonio dell’azione del liquido sull’assetto muscolare . 

La medicina del lavoro ha un  compito didattico e quindi un incremento del suo know how di tipo scientifico che rimarca l’esigenza di una diagnosi tempestiva delle malattie professionali  e  gli  studi  e ricerche devono indirizzarsi all’obiettivo di conoscenza della natura dell’industria nociva,dell’ambiente in cui si svolge l’attività industriale,le condizioni individuali dell’operaio. 

“Ogni medico deve conoscere la vita dei suoi ammalati.L’officina,la bottega dell’operaio è,per un medico,università,clinica,laboratorio.Prevenire è più importante che curare.L’operaio deve essere protetto,sostenuto e riparato,anche perchè senza di lui non vi è società” così scriveva Salvatore Maugeri.


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