IL CIVISMO DEI RIFORMATORI

La sostituzione della politica come arte, scienza del governo e dell’amministrazione dello Stato è certificata dal successo di tre slogan che nell’impoverimento linguistico e culturale generale dei sistema dei media hanno avuto in questi anni : lo stentoreo “ O di qua o di là” del neopolitico Silvio Berlusconi che rinnega sé stesso imprenditore democristiano nato, cresciuto e vissuto nelle segreterie dei gruppi parlamentari, restaurando l’anticomunismo in disuso dagli anni Sessanta ; il “ Senza se e senza ma “ dell’allora segretario della Cgil, il già riformista Sergio Cofferati, che rinnega la sua stessa cultura sindacale delle lotte per ottenere accordi per i lavoratori in favore di una parodia di sindacalismo rivoluzionario da talk show; e infine l’inflazionato “Ci metto la faccia” prelevato dal linguaggio da bar dei venditori di auto usate da Presidenti del Consiglio circondati da servitori invece che da collaboratori per spacciare ai propri elettori come “riforma mai fatta prima” testi copiaeincolla presi da wikipedia sotto la voce Thatcher, Blair o ultimamente Bottai e Rossoni…

La fine dei partiti del Novecento, basati su una ideologia caratteristica che ne definiva con chiarezza il profilo e la proposta cultural-politica, ha privato il nostro sistema parlamentare democratico del suo elemento fondamentale di garanzia di partecipazione ed accesso dei cittadini alla vita democratica, segnando una cesura con la cultura politica della nostra Repubblica, perfino con la pomposa apposizione di una inesistente cronologia che ha aperto la strada a storpiature del dettato costituzionale un tempo nemmeno pensabili.

La risposta più veloce ed efficace alla crisi della democrazia italiana è stata quella della Destra, che ha riproposto il modello del leader che ha un rapporto diretto e monodirezionale con il “popolo” indistinto, sostituendo la comunicazione unilaterale attraverso i media ai noiosi barocchismi della politique-politicienne dei partiti giunti alla fine del loro ciclo.

Per quasi trenta anni la Sinistra ha combattuto la nuova Destra italiana sostituendo la tattica dell’isolamento politico- l’”arco costituzionale” che limitava il campo democratico – con quello dell’isolamento giudiziario, cercando di sostituire il concetto di legalità a quello di democrazia, alterando in maniera forse irreversibile l’equilibrio dei poteri : la Costituzione non è più vista come tutela dei principi di democrazia, ma di una non meglio definita legalità democratica, rendendo i Tribunali una sorta di organismo sovraordinato alle assemblee elettive.
La Sinistra della cosiddetta Seconda Repubblica ha operato una svolta conservatrice, rinnegando così la propria stessa natura.

Ma, come dovrebbe insegnare la Storia, se si rendono le aule parlamentari “sorde e grigie” trasferendo altrove il luogo della politica, chi ne trae vantaggio alla lunga non può che essere la Conservazione che si richiama a un passato e a dei valori selezionati e idealizzati piuttosto che non il Progresso, cioè chi si avventura, o meglio dovrebbe farlo, ad affrontare il cambiamento che comunque arriva, con idee nuove : la nostalgia del passato vince sempre sulla paura del presente e contende con successo la speranza in un futuro migliore con la concretezza delle cose passate ma conosciute e idealizzate .

La sinistra di governo ha sprecato la sua occasione di presentarsi come l’interprete delle speranze di riforma e delle possibilità di sviluppo della democrazia italiana perché non aveva né progetto, né cultura dell’alternativa, ed era quindi impreparata, inconsapevole e poco convinta delle cose da fare e delle scelte da compiere. In sostanza la sinistra al governo ha operato sulla difensiva, correggendo, non riformando, rifugiandosi in contenitori forti (la moneta unica, l’Europa, l’affidabilità nelle alleanze internazionali), senza una sua chiara identità e obiettivi visibili di cambiamento.

A fronte della Destra Conservatrice strutturata e consolidata nel campo occidentale, il campo della Sinistra italiana è diventato così un campo di Agramante nel quale non si intravvede un filo comune di riorganizzazione politica efficace, trovandosi per di più a dover affrontare la riorganizzazione geopolitica imposta dalla guerra in Ucraina senza una direzione di marcia comune.

Gli altri protagonisti o presunti tali, a partire dai recenti naufraghi del Terzo Polo, vagano senza bussola nello stesso campo : la chimera di un centro “moderato” in grado di sottrarre consensi a destra e sinistra muovendosi in una immaginaria “prateria” che periodicamente appare come un miraggio invitante si infrange regolarmente nelle urne, qualsiasi sia il sistema elettorale utilizzato.

Franco Barbabella ha descritto molto bene in queste stesse pagine nei giorni scorsi la genesi e le ragioni e della nascita della Federazione dei civici europei per dare un riferimento ai civici riformatori , il cui ruolo è quello di federatori di realtà diverse attraverso la rivendicazione chiara ed esplicita dei valori comuni, dell’idea di progresso e futuro comune europeo e federale, del metodo di partecipazione democratica e della costruzione di politiche e organizzazioni dal basso, dalle città e dai territori.

Per dare corpo a questo disegno occorre che il civismo acquisisca consapevolezza del fatto che se sono archiviate le ideologie, non sono certo venute meno le necessità di disporre di teorie per compiere scelte sociali, economiche, istituzionali. Teorie che costituiscono filiere di pensiero con radici lontane, anche molto lontane, che appartengono ad un patrimonio generale delle scienze politiche.

L’alternativa dei Riformatori alla Destra conservatrice e reazionaria parte anche da qui.


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Commenti

Una risposta a “IL CIVISMO DEI RIFORMATORI”

  1. Avatar Marco Andreini
    Marco Andreini

    Il raggiungimento dell’obiettivo della città di 15 minuti, è sicuramente un progetto molto ambizioso ,ma a mio parere presenta due problematiche che devono essere superate,e che vanno spiegate.
    Anche Gianluigi Casareggio poneva questo obiettivo nella sua visione utopica di Gaia,ma lui considerava centrale nella vita il tempo libero e non il lavoro,per cui lo Smart working era visto ,non come la risposta al COVID,ma come svuotamento delle città ,Questa filosofia che a mio parere ha creato danni che dureranno nel tempo ha portato la gente a credere che tutto è dovuto ,a una cultura arcaica comunista pastorale,dove lo stato deve provvedere a tutto
    Ecco io credo che il compito del civismo è quello anche di riportare al centro la cultura del lavoro,che deve recuperare soprattutto fra i giovani,il suo valore sociale e quella solidarietà fra le persone che ha portato il movimento dei lavoratori a creare prima le società di mutuo soccorso,poi i Sindacati,successivamente i partiti storici della sinistra.
    La seconda problematica che vedo nel progetto della città dei 15 minuti è il rischio che va nettamente scongiurato di limitare l’azione politica del movimento solo alle grandi città .
    Perché chiaramente nei paesi e nelle piccole città,come la mia Spezia,tutto è già raggiungibile nei fatidico 15 minuti ,e penso che il civismo , cioè la spinta dal basso dei cittadini per cambiare le cose possa realizzarsi in modo compiuto.