FELIX MENDELSSOHN BARTHOLDY, 1809 – 1847

Nipote del filosofo Moses Mendelssohn (prima generazione), di poverissima famiglia ebrea, Felix (terza generazione) nasce e cresce ad Amburgo in una situazione familiare di alto livello, perché il padre Abraham (seconda generazione, quella meglio riuscita), banchiere, figlio del poverissimo filosofo, in pochi anni era arrivato a mettere insieme un bel patrimonio e un’ottima posizione sociale.

Quando Felix ha sette anni, tutta la famiglia si converte e si fa protestante. Il ragazzo naturalmente non può scegliere ma non rinnegherà mai le proprie origini.

Per tamponare l’antisemitismo che spunta da tutte le fogne, i genitori aggiungono il secondo cognome. In seguito il suo spirito matura e si arricchisce nell’ambiente intellettuale di Berlino, dove la famiglia si è trasferita.

Ogni tanto a pranzo a casa loro c’è (giusto per fare un nome qualsiasi) Wolfgang Goethe. Il poeta ha grande ammirazione e simpatia per il giovane, tanto è vero che spesso lo invita a suonare per lui da solo.

Nell’insieme la sua vita fila in modo piuttosto convenzionale e tranquillo, in confronto a quella di altri compositori dell’Ottocento. Il suo matrimonio è molto felice, rallegrato dalla nascita di ben cinque figli. Gli piace mangiare bene e bere meglio e nell’archivio di casa sono conservate massicce ordinazioni di vini e champagne pregiati da tutta Europa. Però, troppo presto, anche per lui arriva il sipario.

Muore a trentotto anni, a casa sua, dopo una serie di infarti che culminano in un terribile ictus il 4 novembre 1847.
Anche sua sorella, sua madre, suo padre e il nonno erano morti di ictus.

Una implacabile maledizione di famiglia attribuibile a un’arteriopatia cerebrale ereditaria.

Fin da piccolo se ne parla come di un prodigio musicale. Debutta all’età di nove anni, suonando in modo impeccabile il difficile Concerto Militare di Dussek.

A dodici anni comincia a comporre le sue sinfonie per archi e le fa eseguire in casa da un’orchestra che ha a disposizione (certo, avere una famiglia ricca aiuta).

Con intelligenza, affetto e buon senso i suoi genitori non lo assillano per sfruttarne il talento precocissimo e gli lasciano i suoi tempi (anche questo non avere la tribù che ti sta con il fiato sul collo è una bella fortuna).

A quindici anni scrive il celebre Ottetto per archi; a diciassette l’Ouverture per il Sogno di una Notte di Mezza Estate: il suo primo grande successo. Da quest’ultima composizione è sbocciata e rimarrà per l’eternità a emozionarci e ad accompagnarci all’altare la famosa Marcia Nuziale.

Come direttore d’orchestra e studioso Mendelssohn merita tutta la nostra riconoscenza per aver riportato in vita la musica di Johann Sebastian Bach, morta e sepolta da anni, e rianimato Mozart, anche lui in coma profondo da un bel po’ di tempo.

Nel 1830, ancora giovanissimo, compone la sua Quinta Sinfonia con cui celebra il trecentesimo anniversario della Riforma Protestante. Eterno scontento, non gli piace quello che ha scritto e non permette all’editore di stamparla. Per nostra fortuna, la pubblicazione poi c’è stata.

I suoi viaggi in Italia gli ispirano la Sinfonia Italiana. Dopo averla fatta eseguire per la prima volta nel 1833, Felix ricade nel suo vizio e non ne autorizza la pubblicazione perché non è contento neanche questa volta e si è messo in testa di rifarla, impresa che lo terrà impegnato per tempi biblici, senza naturalmente arrivare mai a un risultato soddisfacente (per lui). Invece per nostra grande fortuna, anche questa composizione ci è rimasta.

L’antisemitismo lo perseguita per tutta la sua breve vita e anche dopo, fino al periodo nazista, durante il quale il regime commissiona a Carl Orff nuove musiche di commento al “Sogno” per sostituirle alle sue.

Con tutto il rispetto per Orff, ottimo compositore, e per nostra GRANDISSIMA fortuna, non ci sono riusciti.

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