DIVERSITY & INCLUSION MANAGEMENT: PER VIRTÙ O PER DANARO?

di Giorgio Fiorentini

Da un rapporto McKinsey (2023) dal titolo Diversity matters even more. The case of holistic impact (analisi di 1265 aziende profit in 23 Paesi) si evince che la gestione positiva della diversità è un vantaggio competitivo strategico.  Quindi, in ultima analisi, si realizza il “purpose” aziendale, ma anche il profitto.

Anche dal punto vista demografico esiste una relazione fra parità di genere ed inclusività, infatti, uno studio di Esping-Andersen e Billari e in aggiunta Manfredi del Cergas Bocconi hanno analizzato i diversi regimi di welfare e specificatamente per l’Italia ci sono ripercussioni “in termini di comunità”. Infatti, dove esistono “servizi adeguatamente sviluppati, è più facile supportare l’occupazione femminile” e quindi le politiche di parità di opportunità, genere ed inclusione sono incidenti positivamente.  

Si viene a creare una linea a forma di U che indica: ove esistono “norme culturali e regolamentario egualitarie di genere” il tasso di natalità è sopra la media nazionale.  In questo caso aumenta il “capitale sociale” del sistema socio economico, ma anche la competitività del sistema paese.

Dal concetto alla prassi: sono circa 7.000 le aziende italiane hanno ottenuto la Certificazione della parità di genere.

La chiave di volta è stato il PNRR con le sue risorse che prevedeva la certificazione di almeno 800 imprese entro il 2026.In sintesi il danaro del PNRR ha innescato processi di cambiamento nelle aziende con obiettivo-risultato: parità di genere.

La certificazione, regolata dalla UNI/PdR 125:2022, valuta diversi indicatori come: 

  • Equità retributiva 
  • Accesso equilibrato alle opportunità di carriera 
  • Conciliazione vita-lavoro 
  • Governance inclusiva 
  • Utilizzo dei congedi di paternità e maternità 

Le aziende certificate beneficiano di premialità quali: 

  • sgravi contributivi fino a 50.000 euro all’anno: esonero contributivo pari all’1% dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro. La domanda di esonero va presentata all’INPS tramite il modulo online “Sgravio par_gen” entro il 30 aprile dell’anno successivo al conseguimento della certificazione.
  • punteggi aggiuntivi nelle gare pubbliche: l’art. 108, comma 7 del Codice prevede che le stazioni appaltanti possano attribuire un punteggio aggiuntivo alle imprese che possiedono la certificazione di parità di genere (ai sensi dell’art. 46-bis del D. Lgs. 198/2006.  Questo punteggio non è obbligatorio, ma può essere previsto nei bandi di gara come criterio premiale nella valutazione dell’offerta tecnica. Riduzione del 30% della garanzia fideiussoria per la partecipazione a gare pubbliche. Inoltre ci sono contributi economici per ottenere la certificazione: fino a 12.500 € per gli Organismi di Certificazione, 2.500 € per le imprese, per coprire i costi di consulenza e accompagnamento.
  • accesso facilitato a finanziamenti europei.  

Con una frase un po’ popolare la sintesi è: dammi incentivi diretti ed indiretti in danaro e la mia impresa adotta il principio ideale delle pari opportunità. Questa la premessa hard.

Il “diversity and inclusion management” (D&Imanagement) spesso è un vezzo giornalistico o di narrativa estetica sull’impresa sociale, a volte anche un nominalismo riparativo rispetto alle disuguaglianze (specialmente quando attiene alla segregazione femminile in azienda, sia essa orizzontale o verticale – “soffitto di cristallo”). 

Ovviamente è l’insieme di elementi hard e soft in ottica di new economy ed è insieme di strumenti di management a valenza di responsabilità sociale e sostenibilità. Quindi il valore ed i valori che si integrano in logica aumentativa per evitare la diversità bloccante e statica e per promuovere l’inclusione. 

Questo strumento gestionale si colloca prevalentemente nell’impresa sociale non profit e profit indipendentemente dall’assetto giuridico e si assume il concetto di azienda in logica economico aziendale che è trasversale ed è sistema operativo di qualsiasi organizzazione. 

E la diversità? La disamina dei principi aziendali nella loro valenza sociale sono un tema ben sviluppato e concomitante con il concetto generale e soft di diversità che si affranca dall’essere un “minus” per diventare, se gestito e presidiato in logica di management, un vantaggio gestionale e di competitività. Anche se la premialità dell’azione è sempre al centro della scelta strategica ed operativa come abbiamo letto prima.

In azienda la presenza di diverse culture trova sintesi in un’unica cultura multidisciplinare che evita azioni centrifughe e disgreganti per sviluppare, invece, un assetto centripeto, di sintesi e socializzante che rende l’azienda di successo e dinamicamente in evoluzione  

La cultura aziendale o” corporate culture” è una variabile dipendente da varie culture e subculture che un management della diversity e dell’inclusione utilizza per il successo aziendale. 

La convivenza tra generi, età, culture, background e specilizzazioni diverse in azienda si pone in affiancamento alle dinamiche di mercato e si collega al valorE ed ai valorI dell’azienda stessa. La diversità e l’inclusione sono “capitale etico sociale “dell’azienda che esprime anche il suo ruolo civico nel sistema. Questo “capitale etico sociale “dell’azienda si esprime come momento politico, sociale ed economico che produce effetti sul “patrimonio, sul reddito e sul valore di funzionamento”.

La diversità può significare un insieme di professionalità, una cura dell’ambiente di lavoro declinato in funzione delle diversità in azienda e una gestione delle risorse umane “ad hoc” e variegata nel rapporto fra l’azienda e le risorse umane come forza lavoro. 

Il fulcro della diversità viene analiticamente esplorato per trovare una sua valorizzazione che si concentra, anche dal punto di vista giuridico formale nella “Certificazione della parità di genere” che è stato introdotto dalla Legge di Bilancio 2022 e dalla Legge n 162 del 5 Novembre 2021Per esempio l’art 5 della “certificazione della parità di genere” introduce una premialità per le imprese (per me sociali) che ottengono la certificazione. In sintesi ed in parte motivante è l’affermazione: se ci sono i danari di premio anche l’uguaglianza, l’inclusione ci interessano. 

Tutto questo ha offerto una sponda strutturale e giuridica agli elementi che abbiamo precedentemente sottolineato ed ha dato forza alla diversità ed alla inclusione come fattore critico di successo dell’impresa sociale. 

Le politiche di riscatto dalla disparità nella gestione del genere hanno sviluppato il concetto di empowerment come strumento multidimensionale che ha in sé una capacità (capacity building) che offre le condizioni strumentali perché si realizzino operativamente i principi di uguaglianza di genere come status e insieme di diritti seguendo ovviamente il dettato etico-economico dell’Agenda 2030.