CHE CALDO CHE FA

Pascal insegna: se Dio esiste e io ci credo vado in paradiso, se non ci credo sono condannato all’inferno. Se però Dio non esiste e io ci ho creduto comunque non ci ho perso nulla. Quindi mi “conviene” credere”, che non si sa mai. Messa in questi termini una scommessa sulla necessità di salvarci la vita intervenendo sulle emissioni e sull’impatto ambientale sembra semplice. Il problema è che la transizione green ha costi economici e sociali importanti. Servono soldi, tanti soldi, serve tecnologia accessibile e serve capite cosa far fare alle persone impiegate in processi produttivi impattanti che non hanno più senso di essere.

L’estate scorsa è stata la più calda di sempre e la più mite di quelle che sarebbero venute dopo. Infatti l’estate del 2023 ha segnato temperature inedite non solo per l’Italia ed un nuovo record nel numero di eventi climatici estremi, di effetti collaterali e di danni.
Quella del prossimo anno segnerà secondo gli esperti l’ennesimo record.

E da Lisbona, di fronte a migliaia di ragazze e ragazzi durante la Giornata Mondiale della Gioventù Francesco ha alzato l’asticella: i giovani avranno a disposizione tecnologie e possibilità inedite per fermare il cambiamento climatico. Non ci sono scuse né attenuanti a questo punto.

Oggi abbiamo a disposizione Intelligenze artificiali potentissime, una massa incredibile di dati e supercomputer che riescono a fare previsioni meteo sulla scala di un chilometro quadrato. Abbiano strumenti incredibili con i quali cambiare il mondo e stare tutti un pò meglio, eppure il cambiamento che ci si aspetta non arriva.

L’innovazione del resto e per fortuna è un concetto “asemantico”, cioè neutro. Non ha un senso né una direzione se non quella che possiamo indicare noi. Ci lascia la libertà di decidere dove si va come e perché, con quali mezzi e a quali condizioni.

Onestamente progettare una transizione green non è proprio una passeggiata di salute.
E siccome ogni innovazione è una questione culturale prima che tecnologica bisogna prima di tutto crederci, nel senso letterale del termine, perché se pensiamo che sia “normale” avere chicchi di grandine come palloni da football allora è inutile spendere energie e risorse.

Il negazionismo climatico è odioso almeno quanto le reazioni di chi comanda contro quelli che vengono chiamati gli eco-attivisti, ai quali va tutta la mia ammirazione e il mio sostegno, per il coraggio, l’altruismo e la fantasia che ci mettono. Naturalmente dipende da cosa fanno, ma nell’inerzia della politica di fronte ad una crisi climatica epocale tenere vivo il dibattito anche quando smetterà di fare caldo o di piovere a dirotto è sicuramente un grande merito.

Viene in mente la storia del circo che va a fuoco e del clown che va a chiedere aiuto agli abitanti del villaggio vicino. Nessuno crede al clown, tutti pensano che sia una performance dell’artista per fare pubblicità al circo e più il clown si sforza di convincere le persone che il circo sta bruciando per davvero, più la gente ride pensando che stia recitando. Alla fine capita il disastro: il circo brucia e le fiamme si propagano al villaggio. Il racconto finisce qui. Non ci dicono come è andata a finire, conta il fatto che al clown nessuno ha creduto.

La storia è di Kierkegaard, un tipo non proprio ottimista, ma sforzandoci di essere ottimisti possiamo pensare che proprio il rischio che la specie umana possa estinguersi potrebbe salvare il mondo dalla catastrofe. Potrebbe appunto.

L’innovazione ed il progresso non sono la stessa cosa. L’unica cosa che non è neutra per niente è la tecnologia, che con il progresso e l’innovazione c’entra eccome. Questa però è una altra storia.

PS. Ricordate la frase di Groucho Marx: “perché mai dovrei fare qualcosa per le generazioni future? Loro non hanno fatto nulla per me.”. Beh, io se proprio devo scegliere preferisco il clima mite del Paradiso e nel dubbio seguo il consiglio di Pascal….


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