SETTIMANA CORTA E PRODUTTIVITÀ COGNITIVA

tra creatività, benessere e nuovo welfare

Fino alla fine del ‘700 quasi tutti i lavori manuali erano degradanti e riducevano l’uomo (con donne e bambini) allo stato di schiavitù e tempi di lavoro coincidenti con i tempi di vita escludendo il tempo per dormire e mangiare. Ne scriveva Adam Smith nel 1776 nella “Ricchezza delle Nazioni” facendo nascere l’economia politica e il liberismo dalle ceneri del mercantilismo e che tuttavia definirà non separabile dalla “Teoria dei Sentimenti Morali” come espressione di coesione, simpatia e benevolenza sociale in senso antiegoistico quale breviario laico di un’etica della responsabilità.
Eravamo agli albori della 1a Rivoluzione industriale infiammata dall’Illuminismo con serie di macchine tessili nei filatoi meccanici alimentati da carbone e zolfo per le caldaie.

Certo le dinamiche dei prezzi di molti prodotti cominciavano a scendere ma le malattie respiratorie (e non solo) salivano per diffusione con una vita media inchiodata a 45 anni (nei 1000 anni precedenti era stata a 35). Gli orari di apertura delle fabbriche erano di 18 ore con prevalenza di bambini e donne (non scolarizzati), più esili e adattabili a fabbriche somiglianti a “gironi infernali” per 80 ore settimanali (fino a 13 ore giornaliere).

Lavoro dunque massacrante, espressione di degrado, depressione e sfruttamento quale “prezzo umano” dell’accumulazione originaria di un capitalismo sorgente e dominante che svilupperà città popolate da una “umanità perduta” tra alcolismo, postriboli e luoghi malfamati dove tutto si vendeva (e comprava) per un pezzo di pane con le grandi migrazioni dalle campagne alle città-fabbrica per salari più alti e condizioni di vita migliori per i figli. Descrizioni che ritroviamo splendidamente dipinte nella grande letteratura dell’800 francese da Germinal di Emile Zola a I Miserabili di Victor Hugo.

Sarà solo con il Factory Regulations Act del 1802 del Parlamento inglese che si stabilì che l’età minima di un bambino per lavorare era di 9 anni e per un arco di lavoro giornaliero che non superasse le 12 ore. Ma solo nel 1886 tra le prime lotte operaie a Chicago si imposero le 8 ore giornaliere per 6 giorni. Tuttavia ci vorranno altri 20 anni perché Henry Ford nel 1908 portasse la settimana di lavoro a 40 ore (8 ore per 5 giorni settimanali) visto un turnover spaventoso del 370% nella produzione del famoso Modello T nero.

Questa sarà la leva effettiva per la 2ª Rivoluzione industriale e l’espansione fordista della catena di montaggio e dell’OSL (organizzazione scientifica del lavoro) di Taylor che rese tuttavia l’uomo una appendice della macchina. Da allora “tutto sembrava fermarsi ma tutto cambiava” dirà Alfred Chandler 50 anni dopo (tra i massimi studiosi di industria) attraversata la crisi fordista e il salto sulla 3ª Rivoluzione Industriale dell’automazione elettro-meccanica nel 1960 (accoppiata al ’68 studentesco) che imponeva ancora una presenza fisica forte sui luoghi di lavoro (accrescendo la forza delle rappresentanze sindacali con l’operaio-massa e la standardizzazione) nonostante le prime timide iniezioni di informatica.

Dagli anni ’90 del secolo scorso e con Internet assisteremo all’ulteriore salto paradigmatico della 4ª Rivoluzione Industriale verso il digitale e sistemi intelligenti (IoT, Big Data) e nella necessità della sostenibilità oltre il fossile di una manifattura che si fa servizio e che impone nuovi orari e nuova organizzazione del lavoro, con miglioramenti dei rapporti tra tempi di fabbrica e tempi di vita anche per governare il disaccoppiamento tra reddito e felicità (Easterlin Paradox del 1974).

All’inizio del secolo in corso in alcuni paesi europei si sperimentano nuovi orari e nuove modalità di organizzazione del lavoro ben sotto le 40 ore settimanali, in Germania, Olanda, Danimarca (tra 32 e 35 ore settimanali) e con le prime lotte francesi per le 35 ore di lavoro “respinte al mittente” da industria e legislatore nonostante la forte penetrazione dei servizi nella manifattura.

Dopo 30 anni di calo della produttività media (dal 2% allo 0,4% per anno in Occidente) oggi i tempi sono ormai maturi e pronti per l’immersione nella 5° Rivoluzione Industriale (dell’AI, cloud computing e deep learning) per la “settimana corta”, cioè su 4 giorni lavorativi e/o con un “venerdi breve” compensati da permessi retribuiti e da ampi contributi aziendali. Tutto per rispondere a nuove esigenze vitali che hanno spinto fortemente (anche con il post-covid19) resigning e quite quitting e che pone seri problemi alle aziende di reperibilità e retention del personale dato che oltre il 75% delle persone sono insoddisfatte del loro posto di lavoro (Gallup, 2023). Dunque progresso tecnico per accrescere produttività ma anche benessere delle persone distribuendone i benefici.

Gli esperimenti di settimana corta si consolidano timidamente anche in Italia e vengono “incorporati” in alcuni Contratti Nazionali sia nelle grandi fabbriche come Essilux, Lamborghini e Rigoni del nord industriale che nelle grandi aziende di servizio come le banche (Banca Intesa S.Paolo). La semplice ragione registrata da questi esperimenti è rappresentata da guadagni di produttività e di benessere dei lavoratori con riduzioni di condizioni di burnout anche del 60% e di problemi di sonno del 40%, con miglioramenti della salute mentale, cognitiva e fisica tra 30 e 40%. Miglioramenti che si scaricano su aumenti dei ricavi aziendali anche del 20-30% per anno, riducendo il turnover fino al 60% e cosi le assenze per malattia, con accrescimento robusto della fiducia, reputazione e creatività aziendali.

Le stesse motivazioni che avevano portato Ford alla settimana delle 40 ore un secolo prima ma ora con fiumi di bit passati sotto i ponti della modernità digitale. Gli impatti peraltro sull’ ambiente sono del tutto chiari con minori emissioni di Co2 e riduzione delle discriminazioni nelle organizzazioni (gender gap) come nella distribuzione del lavoro domestico tra uomini e donne. Ecco l’urgenza di cambiamenti radicali negli orari di lavoro da accompagnare con quelli nell’OdL verso maggiore inclusione e partecipazione con Piani Welfare mirati con logiche di filiera ed effetti di comunità (trasporti, salute, spese scolastiche, sport). Perché il salario non basta più per trattenere le persone in azienda o per attrarle, ma serve un clima organizzativo più sostenibile e una superiore conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita (migliore work life balance) che la tecnologia peraltro rende accessibili come con lo smart working, seppur da usare con intelligenza emotiva, relazionale e gestionale.

Leve di sostituzione di life career a task career sostenute dai risultati di molteplici indagini delle neuroscienze sui rapporti uomo-macchina (Harvard Business Review, 1998). Accenture (2023) segnala che i manager hanno utilizzato poco – negli ultimi 30 anni – il lobo destro del nostro cervello (sede di emozioni e creatività) quale motore della responsabilità, privilegiando il lobo sinistro della razionalità (e del linguaggio) a favore di logiche di comando/controllo che però non bastano più ad aumentare le vendite e/o i profitti per una crescita sostenibile di lungo periodo dove è strategico il lavoro di squadra e la qualità dell’eco-sistema per produrre qualità produttiva, reputazione e fidelizzazione con organizzazioni agili e adattative (non guidate da una efficienza statica) anche per attrare talenti e (soprattutto) trattenerli (e così anche per gli investimenti incrociando ESG e CSR anche con B-Corp).

Questa è una delle leve fondamentali per ri-affermare un modello sociale europeo per contrastare la competitività asiatica (di prezzo) e (anche) americana (technology push) a fronte dei cambiamenti tecnologici, demografici e sociali emergenti con avanzati programmi di welfare aziendale appropriati alle qualità superiori dei nostri ecosistemi antropocentrici per varietà, creatività e produttività cognitiva rilanciando imprenditorialità diffusa con popolazioni di start-up innovative in joint con reti universitarie e centri di ricerca perché gli Unicorni e i capitalismi di piattaforma non bastano e non basteranno. Mentre servirà irrobustire popolazioni di PMI intelligenti e integrate con reti territoriali radicate tra località e globalità.

Questo il quadro entro il quale leggere i vantaggi della settimana corta per una vita lunga delle persone come delle organizzazioni in contesti di sostenibilità ambientale e sociale distribuendo i frutti condivisi degli incrementi di produttività fisica e cognitiva entro modelli produttivi più partecipativi e inclusivi da accompagnare con robuste politiche industriali di medio-lungo termine e su un piano continentale europeo saldando produttività, creatività , benessere e welfare aziendale-territoriale.

Abbiamo (in Europa e molto di più in Italia) una enorme necessità di crescere con una produttività di tipo cognitivo-relazionale sfruttando meglio i potenziali ecosistemici dei nostri TERRITORI per CREATIVITA’ E RESILIENZA PLURALI.

Si tratta di capire come?

Allora, un miglioramento robusto della nostra capacità competitiva deriva da un miglioramento robusto della qualità dei nostri ECOSISTEMI. Che possiamo derivare dalla loro maggiore integrazione, DENSIFICANDO i tessuti relazionali territoriali (attraverso Federalismo comunale visto il fallimento del nostro regionalismo) e incrociando comunità- istituzioni- economia- società e centri educativi (scuole, università). Da questa densificazione relazionale può nascere una nuova divisione tecnica e cognitiva del lavoro tra imprese-reti-comunità per riaccendere il fuoco di una innovazione e creatività sociale (condivise). Rialimentando la crescita di ECOSISTEMI di PMI innescata da popolazioni di start up per fare ripartire l’imprenditorialità diffusa che si è spenta con la staticità dei nostri DISTRETTI INDUSTRIALI SPECIALIZZATI DEGLI ANNI 60-90 del secolo scorso.

Crescita di eco-sistemi per densificazione capaci di far nascere NUOVI INFANT SECTOR da ibridazione e contaminazione di quelli tradizionali e alimentati da conoscenze TRANDISCIPLINARI derivanti all’accoppiamento della doppia transizione ecologica e digitale. Che può rispondere alla nostra necessità vitale di spostare in avanti la frontiera tecnologica di settori a bassa intensità energetica, trasformando quella di settori ad alta intensità energetica (siderurgia) e ad alte emissioni di Co2 (food, allevamenti) spingendoli verso nuovi processi e nuovi materiali/processi transdisciplinari e inoltre energy saving e digital enforcing: robotica- meccatronica digitale, food salutare-salutista, farmaceutica- nutraceutica, life science.

Necessitiamo con forza allora di ECOSISTEMI sempre più integrati ed evoluti in TERRITORI DINAMICI sostenuti da infrastrutture alimentati da energie rinnovabili su basi territoriali nuove (comunità energetiche e digitali) intercomunali e inter-regionali sfruttandone qualità flessibili e modulari di reti corte e lunghe per Inter-specializzazione transdisciplinari.

A questo scopo necessitiamo di far evolvere le nostre forme organizzative piegandole alla forza dei POTENZIALI di creatività con maggiore partecipazione, inclusione e contaminazione.

Una delle chiavi di valorizzazione del SISTEMA SOCIALE EUROPEO che fondi nuovi potenziali industriali di creatività sociale condivisa.

Nella ristrutturazione dei processi di globalizzazione intervenuti dopo caduta del Muro di Berlino e varo dell’Euro l’Europa si è trovata stretta tra “i grandi player globali” (USA, Cina e India) da una parte e le tensioni interne all’allargamento dall’altra. Ma dal 2008 sferzata dalle permacrisi finanziarie, sanitarie e geopolitiche innescate dal crack-contagio Lehman Brothers e dalla crisi Covid-19 del 2020 da un lato e dalle guerre scatenate in Ucraina e In Medio Oriente tra 2022 e 2023. Queste ultime apparentemente ” regionalizzate” ma di fatto capaci di generare allargamenti con esiti di altissima pericolosità.

Crisi che ” a catena” si sono scaricate su volatilità dei prezzi energetici e delle materie prime facendo schizzare in alto tassi di inflazione e – di riflesso – i tassi di interesse manovrati dalle banche centrali che hanno fatto lievitare i costi di accesso al credito e il costo del capitale con effetti depressivi sulla dinamica degli investimenti con il rischio di accompagnare l’economia mondiale verso una depressione.

In questo quadro il caso italiano diviene un osservato speciale dei partner europei e non solo, sia per il forte debito storico e sia per le difficoltà (trentennali) di crescita della produttività che ne frenano la competitività. Varie indagini segnalano le debolezze del sistema industriale nazionale rispetto alla media di quello europeo. Una focalizzazione sulle medie imprese come spina dorsale del nostro sistema industriale può aiutare a capire meglio la situazione italiana e le possibili soluzioni. In una indagine di Kearney Research (2022) su 9mila imprese con più di 30 mil.ni di fatturato nei settori di servizi all’industria (logistica, ICT, costruzioni, servizi professionali, altro) (mediamente 8-9%) e manifatturiero (17%) ci segnala che solo il 30% di queste è in una solida posizione guardando all’Ebitda avendo innovato ed essendosi internazionalizzate. Mentre il 20% mostra grandi fragilità e il residuo 50% è “nel guado” alla ricerca di un migliore adattamento.

Guardando alle grandi criticità del triennio trascorso si rileva che le aziende più fragili e vulnerabili sono cresciute del 140%, ma con un più forte accrescimento per quelle manifatturiere (+164% e costruzioni con un +134%) e molto minore per i “servizi professionali” +38% e ICT con + 56% o per la logistica con + 76%). Quindi le aziende manifatturiere ( con le costruzioni nonostante gli incentivi da ” bonus”) – più degli altri settori – hanno subito il deterioramento della marginalità dovuto ai costi energetici e di filiera globali. In generale sono emerse le forti criticità di queste aziende dal lato dei ritardi nella transizione digitale e ambientale o della sostenibilità.

Quindi è evidente che si tratterà di lavorare su quelle imprese intermedie per aiutarle ad uscire “dal guado” e sospingerle lungo la via della competitività di lungo termine e di agire con approcci eco-sistemici con una politica industriale capace di impattare sulle qualità virtuose dei nostri eco-sistemi industriali migliorandone le capacità di adattamento tecno-digitale e ambientale (ed energetico) oltre l’EFFICIENZA STATICA STANDARD di tipo allocativo. Partendo in primo luogo da un sistema bancario in grado di discriminare per merito qualitativo e rischio di credito tra le capacità virtuose e viziose delle nostre imprese per una corretta allocazione del capitale sia in relazione alle quotate che del credito devoluto alle non-quotate.

Ma è del tutto evidente che il recupero di competitività dovrà passare attraverso un irrobustimento della CRESCITA DIMENSIONALE RELAZIONALE E CONNETTIVA dei nostri sistemi di PMI:

A – sviluppando adeguate aggregazioni (contrattuali e/o di rete e/o per acquisizioni/fusioni focalizzate) di razionalizzazione delle filiere di riferimento sia dal lato dell’economia di scala e/ o di scopo da una parte per liberare risorse da dedicare all’innovazione diffusa, aperta e di tipo “sociale”.

B – Dall’altro lato stimolando il cambiamento dei modelli organizzativi in particolare per fare evolvere la governance anche con una accelerazione del ringiovanimento manageriale- gestionale anticipando i passaggi generazionali e promuovendo le donne verso un rinnovamento di competenze, abilità e intelligenze. Queste ultime in chiave di sviluppo di DYNAMIC CAPABILITIES e COMPETENZE TRASVERSALI soprattutto di tipo transdisciplinare e guardando a “RUOLI APERTI” andando oltre i “profili prestazionali” standard per valorizzazione dei team-work e la “gestione per obiettivi o per progetto”. Promuovendo in questo modo modelli organizzativi più orizzontali e partecipativi capaci di ” apprendere ad apprendere” dai processi di cambiamento guardando a prospettive di stakeholdership per la sostenibilità e la resilienza.

C – infine, con una Politica industriale per la riconversione energetica – digitale (dai pannelli sui tetti alla elettrificazione delle imprese)… dato che rimarremo manifatturieri seppure sostenibili e digitali attraverso CSR e investimenti ESG.

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Politiche europee orientate a promuovere eco-sistemi e socio-sistemi ANTROPOCENTRICI per le loro qualità industriali (di design, di processo) e densità territoriali (governance territoriale e di filiera) orientate al benessere delle persone, delle organizzazioni e dell’ambiente. Triangolando sostenibilità responsabile, biodiversità e bio-capacità verso crescenti stati di resilienza per i nostri sistemi di PMI tra comunità coese e territori interconnessi (inter-comunali, inter-provinciali e inter-regionali e/ o internazionali come nel caso di Alpe-Adria, della Val D’Aosta e dell’Alto Adige, della dorsale adriatica e tirrena). Eco-sistemi e socio-sistemi antropocentrici integrati con manifatture della conoscenza a comunità e territori in quanto capaci di SUPER-ADDITIVITÀ lungo sentieri di performance competitive non-price di medio-lungo termine (NON EFFICIENTISTICHE MA ADATTATIVE).

Una promozione che sull’identità eco-sociale di questi territori costruisce le qualità collaborative dei propri prodotti e servizi, delle proprie filiere e reti connettive. Realizzando tessuti densi e reticolari di imprese guidate da CSR e investimenti ESG (di rete, di comunità, e di filiera) tra riconoscibilità e visibilità per un confronto competitivo glocale nella creatività intelligente condivisa che merita di essere rinforzata e valorizzata su un piano continentale per dare visione e direzione coordinata alle ricche PLURALITA’ INDUSTRIALI E DI SERVIZIO EUROPEE. Riducendo frizioni competitive intra-europee – sia fiscalmente che industrialmente – con politiche industriali e commerciali coerenti, allineate e integrate per fronteggiare la concorrenza globale sia nord-americana che asiatica (indiana, cinese e del sud est asiatico).

La prima sul piano di appropriate politiche energetiche e ambientali (cfr. Risorse dedicate alle comunità energetiche appena varate), mentre le seconde sul piano della qualità tecnica ed estetica, dell’efficienza tecnologica, della affidabilità funzionale e degli impatti ecologici. Legando e intrecciando una nuova ed emergente DIVISIONE TECNICA- COGNITIVA-SOCIALE (dunque non smithiana) del lavoro tra aree urbane, aree distrettuali/inter-distrettuali e infrastrutturali in molteplici nicchie/super nicchie Inter-settoriali, dall’ agri-food al packaging, dalla meccatronica al biomedicale, dall’arredo alla domotica alla nautica del lusso. Sfruttando in particolare le crescenti POROSITÀ intersettoriali favorite anche dalla digitalizzazione di industry 4.0 e 5.0, dal manufacturing-3D/ di piattaforme integrate e design-simulato o dai Big Data.

POROSITA’ INTERSETTORIALI che hanno aperto allo sviluppo “oltre” le specializzazioni funzionali standard verso multispecializzazione e TRANSDISCIPLINARIETÀ. Traiettorie che stanno cambiando gli stessi basket di competenze tradizionali che richiederanno nuovi investimenti in figure lavorative, ruoli e saperi sempre più aperti, orizzontali e trasversali verso un HUMANISTIC MANAGEMENT per organizzazioni dinamiche e inclusive e partecipative capaci di mobilitare l’intelligenza collaborativa di squadra e di reparto per IMPACT ENTERPRISE-COMMUNITY per filiere integrate….sviluppando DYNAMIC CAPABILITIES e diffondendo RUOLI APERTI…. promuovendo SATAKEHOLDERSHIP.

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…………..allora ….. in conclusione

La BIO-SOCIO DIVERSITA’ PLURALE dei sistemi imprenditoriali locali è il GENIUS LOCI DEI TERRITORI, che se integrata opportunamente con le BLOCKCHAIN potrebbe garantire/ristabilire le proprietà originarie della creatività degli ecosistemi europei….per opporsi alla standardizzazione-omologante dei campioni/UNICORNI nazionali di USA e di Cina e India. Dobbiamo fare emergere i nostri potenziali connessi alle varietà culturali produttive europee incrociando manifattura, conoscenza e blockchain….per recuperare efficienza-efficacia per alimentare una produttività cognitiva degli ecosistemi antropocentrici europei.

Capaci di una EFFICIENZA NON MERAMENTE ALLOCATIVA, ma ADATTATIVA E RITMO-MORFICA e cioè di resilienza e cambiamento intrecciando la rivoluzione convergente della doppia transizione ecologica e digitale. Per questo le policy europee dovrebbero incentivare fiscalmente la formazione di questi eco-socio-sistemi antropocentrici mobilitando reti di start-up innovative (14mila solo in Italia e 26% in Lombardia, ma oltre 5 mil.ni in UE…troppo poche) integrando soggetti e agenti territoriali come nuovo METABOLISMO ECOSISTEMICO ANTROPOCENTRICO con al centro la mobilitazione imprenditoriale e di network delle università europee ( la più alta densità di ricerca mondiale se rapportata alla popolazione, ma ancora debole dal lato della IMPRENDITORIALIZZAZIONE e commercializzazione dei suoi output come brevetti, copyright, infrastrutture commerciali).

Certo serve giustizia fiscale e salariale a livello europeo tra tutti i 27 evitando concorrenza (distruttiva) intra-europea con POLITICHE DEL LAVORO (orari 35 ore/settimana corta e salario minimo, welfare aziendale) ENERGETICHE oltre che di DIFESA e COMMERCIALE C O M U N I.