LA BOTTIGLIA DI VINO È “SOSTENIBILE”?

L’Accademia delle 5T, con il sostegno di Guala Closures e del Gruppo degli Svitati, ha proposto al Forum internazionale di Vinitaly international Wine2Wine di Verona un confronto sulla sostenibilità del “packaging”, ovvero in pratica della bottiglia, del vino: autorevoli relatori il talentuoso vignaiolo Walter Massa, il direttore di Guala Closures Emanuele Sansone e il ristoratore-sommelier Luca Dal Lago del ristorante Casin del Gambia di Altissimo (VC).

La vigna, soprattutto se il viticoltore punta a un vino di buon livello, è una coltura assai poco impattante per un uso assai scarso, rispetto ad altre colture agricole, di chimica inquinante con, oltretutto, una ricca copertura fogliare che aumenta la fotosintesi e quindi l’assorbimento di CO2. Nel forte impatto dell’agroalimentare e dell’enogastronomia sulla sostenibilità ambientale, soprattutto a causa del packaging, neppure il prodotto trasformato, ovvero il vino, rappresenta certo uno dei problemi maggiori: cambiamento del clima a parte, su cui le opinioni a proposito dell’influenza delle attività umane sono discordi e comunque su cui la vigna ha un’influenza sicuramente positiva, sul problema dei rifiuti e in particolare della plastica il mondo del vino si dimostra virtuoso.

Ma sicuramente nulla è completamente neutro nell’impatto con l’ambiente e anche i vignaioli e i produttori di vino in genere possono contribuire, per quel poco che li riguarda, a migliorare la situazione. Un poco, ovviamente, in confronto con altri prodotti dell’agroalimentare, che diventa tanto per l’importanza quantitativa del vino sul Pianeta, ma ancora di più per quanto il vino nella storia è stato un fattore culturalmente significativo e addirittura trainante nell’economia, nel progresso, nella civiltà e addirittura nel pensiero agroalimentari.

“Il vino è una cosa seria – così ha esordito Walter Massa – e per questo motivo per andare avanti bisogna guardare e vedere indietro”. Poi è entrato nel merito con un tema, quello del tappo a vite, che oggi gli sta particolarmente a cuore e per il quale è diventato una sorta di apostolo in Italia e nel mondo insieme agli amici e colleghi altrettanto prestigiosi con cui ha costituito il gruppo “Gli Svitati”: Franz Haas, Silvio Jermann, Mario Pojer e Graziano Prà.

“Il vino da millenni – ha spiegato quindi Walter – accompagna l’uomo nel piacere e nella sua crescita. Nessuno sostiene che il vino si deve discostare dall’uva e da tutte le più naturali, direi ovvie, pratiche di coltivazione, vigna, fermentazione, affinamento, stabilizzazione e imbottigliamento, ma per gestire questi processi in questi millenni il mondo è cambiato. Oggi la chiusura fisicamente perfetta ma biologicamente e chimicamente incerta del tappo di sughero si può decisamente riporla nella stanza dei ricordi, meglio nelle cabine telefoniche, con macchina da scrivere o fax, in quanto il tappo a vite dà le medesime prerogative qualitative, ottimizzando le fasi di apertura e richiusura della bottiglia”.

Ma ancora più significativa, dal punto di vista dei consumi di CO2, è un’altra battaglia che Walter sta conducendo fino al punto di proporre che la UE vieti l’utilizzo per i vini fermi di bottiglie di peso superiore ai 600 g.

“Il passo in avanti della lavorazione di quello che è comunque il più sostenibile e riciclabile dei materiali, ossia il vetro – ha proseguito Walter – ha permesso di produrre bottiglie di vetro più leggere e con la stessa resistenza delle bottiglie in vetro pesante con vantaggi innumerevoli. Sarebbe sufficiente che il consumatore fosse portato a conoscenza che producendo un kg di vetro si immette nell’atmosfera 2 kg di CO2 per far sì che acquisiti vino in bottiglie leggere da 500 grammi invece che in pacchiane bottiglie da 1200 grammi; questa scelta ridurrebbe anche il consumo di energia per i trasporti, che per lo più sono intercontinentali”.

“Del resto – ha aggiunto Walter – io, se proprio devo copiare, lo faccio dai migliori e Chateau Petrus e Romanée-Conti propongono i loro vini in bottiglie da 500 g”.

Un container che spesso attraversa gli Oceani contiene 18 baccali da 840 bottiglie, ovvero 15120 bottiglie: con quelle da 1200 g che troppi vignaioli utilizzano (e tra l’altro pretendono i Cinesi) abbiamo un peso totale solo di bottiglie di 18144 kg, con quelle da 500 g di Walter Massa il peso scende a 7560 kg con la differenza di 10584 kg quindi con un risparmio di 21168 kg (più di 21 tonnellate) di CO2. Senza contare che il peso incide in modo altrettanto importante sui consumi di camion o navi che trasportano i container.

Ma chi produce il vino può essere virtuoso dal punto di vista ambientale e avere tutte le belle idee che vuole, ma nulla potrebbe fare se non trova chi è altrettanto attento e virtuoso nel fornirgli gli strumenti necessari per il suo lavoro. Ecco che in questo caso Walter e gli Svitati hanno trovato un interlocutore tecnologicamente e culturalmente all’altezza, Guala Closures, azienda leader e sempre all’avanguardia sui tappi, basti pensare ai tappi inviolabili per l’olio extravergine d’oliva. Emanuele Sansone, direttore generale di Guala Closures, ha accompagnato il suo intervento con interessanti slides per dimostrare come il tappo a vite è in siintonia con le attuali irrinunciabili richieste di sostenibilità: “Guala Closures, da sempre non solo da oggi che è di moda, ha come priorità assoluta il concetto di Sostenibilità per costruire un Gruppo più inclusivo, solidale ed a minor impatto ambientale.”

“L’alluminio – precisa Emanuele – con cui vengono prodotti i tappi a vite può essere riciclato all’infinito senza ripercussioni sulla sua qualità. Il vantaggio delle chiusure in alluminio è rappresentato dal fatto che possono essere raccolte insieme a frazioni di imballaggi oppure congiuntamente alla raccolta del vetro. Da entrambi i materiali è possibile estrapolare l’alluminio per poi recuperarlo interamente. L’alluminio non ha soltanto un’elevata funzionalità nella conservazione del prodotto: possiede anche caratteristiche impressionanti in termini di riciclabilità e sostenibilità. Il riciclo dell’alluminio consente di risparmiare fino al 95% di energia rispetto a quella utilizzata per la sua produzione primaria, con il rispettivo abbassamento di emissioni di gas a effetto serra. Le percentuali di riciclaggio dei tappi a vite in alluminio differiscono in base all’infrastruttura disponibile per la raccolta e lo smistamento dei rifiuti nei diversi paesi”.

Ma la scelta dei tappi a vite non sarebbe certo un problema per chi produce vino, ben contento di evitare le grane dovute all’insufficienza sul mercato di tappi di sughero di alta qualità e soprattutto sicuri, purtroppo però trovano resistenza nel consumatore convinto che il tappo in sughero sia indice di un vino di pregio.

Luca Dal Lago nel suo ristorante Casin del Gamba in Lessinia (VI), uno scrigno di accoglienza ed eleganza fra prati e boschi, ha quotidianamente il polso della clientela più esigente e si mostra ottimista sull’accoglienza del tappo a vite: “una clientela di alto livello percepisce già che una grande bottiglia può avere il tappo a vite, la percezione cambia con una clientela meno acculturata per la quale il tappo in sughero è ancora l’unica certezza di maggior qualità, anche se fosse di agglomerato o sintetico quindi non di vero sughero”.

“Una clientela più attenta invece – prosegue – è più abituata al fatto che un grande vino può avere tappo a vite e sta ai grandi blasoni e alle cantine di alta qualità dare l’esempio per guidare tutti i consumatori, compresi i più semplici, in questa nuova via che ritengo molto valida.”. In effetti chi ne capisce e soprattutto chi apprezza il vino per le sensazioni che sa offrire dà più importanza a ciò che avvicina al naso e gusta al palato che al contenitore, il problema è se gli viene data la possibilità di assaggiare e confrontare, ovvero se chi gli propone il vino ha la voglia e la capacità di proporre e spiegare. Ed è proprio qui il problema più importante: il rapporto umano, il racconto, che non può prescindere dalla conoscenza, in definitiva la capacità di accogliere con il piacere di accogliere. Solo parlando si può convincere e far capire. E il rischio del vino che sa di tappo non colpisce solo chi lo dovrebbe bere, ma ancora di più chi lo vende e chi lo serve, quindi il tappo a vite è un interesse comune.

Ma il fascino e la tradizione? Possiamo rinunciare alla ritualità dello stappo, del sommelier che annusa il tappo e magari pure al lento versare nel decanter? Il fascino rimane nella diversità dei grandi vini, nella loro personalità che nasce dal vignaiolo e artigiano che ha saputo interpretare la natura di casa sua, la tradizione pure e senza neanche rinunciare alla ritualità ma riservandola a quella piccola parte di vini compatibili con quella piccola parte di tappi quasi sicuri, perché la natura ce ne concede una piccola parte. Ma solo per la ritualità perché il vino nel tappo a vite non perde nulla del suo pregio organolettico, neppure e tantomeno nel tempo, anzi.


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