YOLO È UNO SFOGATOIO

IL RINOCERONTE

Avendoci letto, studiato e scritto in tempi non sospetti, temo che ormai YOLO, grandi dimissioni, quiet quitting e sdraiati siano diventati Hype un pò (molto) mainstream e velocemente destinati a perdere di fascino, proprio perché in questi anni e mesi non hanno generato niente di più che la rappresentazione di un disagio: serve una rappresentanza, e possibilmente serve una sostanza. E servono ormai modi nuovi di organizzare il conflitto, che c’è oggi più che mai, non solo nel mondo del lavoro.

Gironzolando in quel fantastico e dorato mondo delle rappresentazioni che è Instagram ho trovato “generazione Yolo”, un account che parla di lavoro e di frustrazioni variamente connesse alle occupazioni quotidiane che le persone normali intrattengono per campare.

Generazione Yolo è uno sfogatoio di persone che si lamentano della propria condizione lavorativa, di cui vale la pena parlare perché il tema è serio. Il lavoro che perde di senso e di valore è una questione con cui anche i non addetti ai lavori come me hanno dovuto familiarizzare. È discutibile invece il modo con cui si parla del problema che “anestetizza” nell’individualismo rivendicazioni che secondo me sono giuste e legittime.

È chiaro che non si può lavorare solo per pagare un affitto: un monolocale alla Barona costa 1000 euro al mese spese escluse, tre mesi di caparra e tre di anticipo quando si entra! Ed è ovvio che se negli ultimi 30 anni lo stipendio non cresce c’è un problema che riguarda tutti, per primi gli imprenditori che non riescono a trattenere le persone in azienda o non hanno a disposizione un mercato interno che ne sostenga le produzioni. Ma è altrettanto ovvio che se il lavoro è povero la soluzione oggi non è non lavorare. In mancanza di altri sistemi di redistribuzione della ricchezza ci teniamo per ora quelli che abbiamo che sono le tasse e il lavoro, cercando di capire come ridurre le disuguaglianze e come contrastare le povertà.

Sul tema del lavoro si sono consumate le battaglie politiche e sociali più dure degli ultimi secoli. Se oggi esiste un welfare è perché a qualcuno è venuto in mente di organizzare un conflitto che c’era, socializzando le storie individuali, aggregando idee su proposte su cui si è misurato un consenso e mobilitando persone, in carne ed ossa, reali.
Sarebbe giusto oggi aspettarsi che chi rivendica diritti e condizioni migliori facesse qualcosa di simile.

Sempre a propositi di generazione YOLO fossi io giovane sarei decisamente più attratto da messaggi più radicali e magari più affascinanti, parlerei di mondo pulito, di pace, di scuola, di un mondo più giusto, e vorrei opportunità più che lavorare il meno possibile, o il giusto, secondo i punti di vista. Mi si obietterà che vengo da una cultura del lavoro che ormai è passata, ma continuo a pensare che i conflitti fondamentali sono quelli generati quando le persone non sono d’accordo su come sono distribuiti i diritti civili e politici in termini sociali ed economici.

E penso anche che il vero ruolo della politica e dei partiti nella storia è spesso quello di socializzare il conflitto. Se oggi si tende a rappresentare i conflitti come una rappresentazione rissosa e teatrale dove tutto diventa individuale e sempre più personalistico, si fa un gioco delle parti che non sfida per davvero la realtà e le relazioni del potere costituito, perché per sfidare il potere occorre socializzare il conflitto. Fare politica appunto.


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