TRATTORI, PROTESTA E CONFUSIONE SOTTO IL CIELO EUROPEO

Tra attesa del voto e vincoli ambientali del Green Deal

Trattori e protesta invadono anche le strade italiane del nord e del sud, ma molta la “confusione sotto il cielo” seppure dentro una maggiore ” compostezza” delle forme di protesta scelte (per ora!). Gli agricoltori hanno ragione a sollevare la questione dei prezzi al ribasso (anche per veloce discesa della domanda e per salari falcidiati dall’inflazione) con costi che sono invece esplosi da ben prima della guerra in Ucraina per l’energia e per alcune derrate alimentari ” globali”(energia, antiparassitari, concimi).
La tensione in Europa sale e ll Governo fa marcia indietro sui tagli Irpef all’agricoltura.

Da anni una micidiale tenaglia prezzi-costi che ha esposto gli agricoltori alla concorrenza internazionale con politiche della GDO che certo non hanno aiutato (favorendo latte, farine, granaglie, frutta e verdura importati) dopo decenni di protezione fiscale in difesa dell’agricoltura europea. Scaricandosi anche contro le eccezioni ammesse dalla legge italiana rispetto alla direttiva contro le pratiche commerciali scorrette quali leve principali di un prezzo al produttore eccessivamente basso e ingiusto.

Dunque le politiche europee c’entrano poco con questa crisi degli agricoltori. Infatti, sono schiacciati in un modello di agricoltura che sta aumentando i costi dei fattori produttivi e diminuendo la quota destinata alle aziende agricole, che stentano nel fare sistema, nel costruire logiche di filiera, nelle azioni condivise di difesa e promozione del prodotto di qualità.

Dall’altra parte, i mercati internazionali non stanno a guardare ma agiscono occupando spazi di manovra facendo pagare il prezzo maggiore all’anello debole della catena: gli agricoltori francesi, belgi, tedeschi e italiani. Si riafferma la richiesta di un “giusto compenso” per i prodotti della terra e non caricarsi sulle spalle il peso del sottocosto dei prodotti venduti nei supermercati della GDO.
Pratica scorretta per la quale è stata approvata la direttiva UE 2019/633 contro queste pratiche commerciali insostenibili e che ne limita fortemente l’impiego. Del cambiamento climatico non sembra parlare più nessuno.

Siccità 2022, allagamenti e smottamenti 2023 con gli agricoltori che stanno pagando più degli altri e un Governo (quantomeno) lento. Senza una politica globale, come quella Europea, non se ne esce e i più deboli soccombono. Una storia antica ulteriormente peggiorata dagli effetti del climate change con impatti di razionamento significativo della superficie coltivata come per la doppia alluvione in Emilia Romagna e/o dei raccolti ( tra piogge torrenziali devastanti e siccità). Dunque è corretto sostenere – con alcuni analisti reputati – che prendersela con il Green Deal significa scambiare il rimedio con la causa del problema.

Per la semplice ragione che gli effetti del Green Deal li dobbiamo ancora vedere, mentre le cause di quanto vediamo per gli effetti sulle produzioni agricole sono incardinati in un passato di errori seriali. Certamente aziende agricole che sono cresciute dimensionalmente poco e con deboli logiche di servizi integrati sono state penalizzate dalla Pac (politica agricola comunitaria) e tuttavia con uno stanziamento di assoluto rilievo per 380 mil.di / euro per programma 2023-2027 seppure con alcuni “vincoli green”.

Peraltro nella precedente Pac erano previsti contributi aggiuntivi per chi dedicava il 5% del proprio terreno alla tutela della biodiversità e dunque senza coltivazione, oggi scesa al 4% ma che diviene vincolante per accesso ai contributi complessivi. Per i coltivatori quell’area non coltivata è perdita di reddito, ma non è così. Innanzi tutto perché, se si mettono piante nettarifere o per impollinatori, ottengono ulteriori fondi, e poi perché la scienza dimostra ampiamente che la presenza di queste aree nei terreni agricoli contribuisce a ridurre i pesticidi attraverso l’impiego di insetti antagonisti di molti patogeni.

Ma il punto nodale contro il quale giustamente si scagliano gli agricoltori è che l’80% dei fondi Pac finisce al 20% delle aziende, cioè a quelle grandi, rappresentate anche dalla Coldiretti, dentro la grande “banalizzazione” del cibo come merce di scambio dove solo il prezzo comanda rispondendo a sole logiche finanziarie premianti in larga parte le produzioni intensive Eppure il bilancio dell’Europa verde di 220 mil.di ne vede circa ¼ incardinati nei fondi comunitari e nonostante la quota “agraria” del PIL europeo sia scesa al 25% dal 50% di 30 anni fa il settore incassa ancora oggi 55 mil.di €/anno a difesa dell’agricoltura che non potrà che scendere nel medio termine anche perché il reddito pro-capite per addetto nel 2022 è cresciuto dell’11% e dal 2015 crescendo del 44%, quintuplicato rispetto al reddito medio pro-capite intersettoriale.

Con un settore agricolo che rappresenta solo l’1’4% del PIL Ue ma con emissioni di Co2 pari al 10% (con l’Italia al 9% per l’anno 2020 e in calo sugli anni precedenti) e tuttavia in grado di esprimere forti “pulsioni antisistema” come le proteste di inizio febbraio in tutta Europa.

Certo va detto che il Green Deal vuole ridurre i sussidi al gasolio agricolo ma per la semplice ragione che oggi l’agricoltura ad alto impatto ambientale non galleggia perché più conveniente e competitiva, ma perché più assistita e che la Commissione stà cercando di mitigare temporalmente. Il Green Deal è necessario ma non possiamo far pagare nella complessa filiera agro-alimentare solo agli agricoltori (e ai piccoli soprattutto) i costi della necessaria transizione ecologica se vogliamo che sia anche giusta e se vogliamo aumentare ( o non diminuire) la quota di PIL (italiano) del 2,2% attuale. Tuttavia deve essere chiaro che lo status quo ante o l’immobilismo porterebbe verso un’agricoltura poco competitiva e molto inquinante, mentre necessitiamo di superiore competitività in un ambiente più salubre governando il cambiamento. Lo si può fare, lo si deve fare supportando gli agricoltori (soprattutto piccoli per una resilienza eco-sistemica di rete-filiera) nella transizione green-digitale salvaguardando le sue basi portanti con equità e gradualità: fertilità dei suoli, diversità genetica, accesso all’acqua (e suo risparmio), infrastrutture di mitigazione (contro eventi estremi) e formazione. Leve per assicurare un “giusto reddito” e rafforzare la continuità aziendale inter-generazionale.

Perché il nodo rimane il costo del cibo, cioè quanto dovrebbe essere pagato l’agricoltore per il proprio lavoro da una parte, quanto i componenti (fitofarmaci, semine e concimi) e la distribuzione organizzata (GDO) dall’altra nel comprimere i ricavi della parte agricola e produttiva. Cioè quanto dovrebbe costare il cibo sullo scaffale di un supermercato riequilibrando gli “oneri” che si scaricano solo sulle scelte produttive dell’ultimo anello della catena.

Offrendo insomma agli agricoltori in collaborazione con la GDO e l’industria, con un associazionismo plurale opzioni di scelta più adatte tra protezione della bio-capacità e riduzione dell’impronta ecologica tenendo conto che nella “protezione” europea dell’agricoltura aveva come obiettivo di fronteggiare anche lo spopolamento delle terre e il loro equilibrio naturale. Che potrà continuare accrescendone l’efficienza e riducendo i sussidi, con investimenti in servizi, tecnologia e formazione per continuare ad accedere a quei prodotti di qualità (fisica, umana e ambientale) che gli europei si sono dati nella libertà delle proprie scelte politico-comunitarie e che solo insieme potranno continuare a soddisfare con un quantum superiore di federalismo.

E’ ormai tempo di cambiare per progettare e diffondere un nuovo modello di agricoltura produttiva e capace, nel contempo, di difendere, la biodiversità, le risorse naturali e il paesaggio e in grado in modo autonomo, con strategie di mitigazione e adattamento, di affrontare l’emergenza climatica. Non esistono alternative. Perché se è chiaro che solo la Natura ci potrà salvare, questo non potrà avvenire a discapito dell’agricoltura e l’agro-ecologia potrebbe essere la chiave di un salto necessario di paradigma in grado di accoppiare competitività e qualità, benessere e responsabilità, trasparenza e credibilità per “proteggere” quella quota di ricchezza agricola del 14% italiano su quella europea ma con la UE e con l’ambiente e non “contro”.

Avendo ben chiara la “Grande Contraddizione” di un sistema globale del cibo dove 1 mil.do di persone non ha cibo mentre 1/3 di ciò che è prodotto è sprecato soprattutto nel cuore delle “società dell’opulenza” e del consumismo sfrenato, con un consumo di suolo di ettari al secondo.


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