TERZO SETTORE: ”CHIUDO TUTTO E MI RITIRO”?

E se una mattina le imprese sociali (in senso aziendale cioè associazioni di volontariato-ODV, cooperative sociali, fondazioni e così via)mettessero sulla porta d’ingresso un cartello con la scritta: ”CHIUDO TUTTO E MI RITIRO”.

Cosa succederebbe? E’ il marginale che si ritira o l’essenziale di servizi del sistema che chiude le porte?

Ricordo alcune parole descrittive del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Trento (3.02.2024): “…Volontari che portano sollievo negli ospedali. Volontari che danno forza alla protezione civile; che si occupano di sicurezza ambientale; che custodiscono e valorizzano il patrimonio culturale.     

Volontari che portano soccorso. Volontari che distribuiscono cibo e medicinali a chi non ne ha. Volontari che vanno nelle case e assistono le famiglie più povere. Volontari che sostengono le persone vulnerabili, che si dedicano ai bambini, e ai più fragili tra di loro.

Volontari che si impegnano nel recupero scolastico; che contrastano la marginalità, l’abbandono, che provano a costruire ponti dove altrimenti vi sarebbero quasi soltanto macerie esistenziali. Volontari che si dedicano ai profughi dalle guerre e dalle catastrofi climatiche…”

Tutto vero e operativo, ma confinato prevalentemente nel “riparativo”.

Sono tutti gesti? No, sono azioni organizzative e di servizio.

Il volontariato ha un suo ruolo negli snodi di tipo organizzativo e quindi diventa anche un atto politico per le politiche delle organizzazioni-aziende di servizi di interesse pubblico. E’ necessario un loro ruolo nella governance del sistema socio economico.

Forse vale la pena dare maggiore ruolo decisionale e di sistema alle imprese sociali al di là delle dichiarazioni di apprezzamento che se reiterate formalmente, ma poco tradotte in ruoli decisionali ed istituzionalmente riconosciuti, rischiano di essere esornazione.

Alcuni dati sono significativi.

L’ISTAT ha pubblicato i dati del censimento sul Terzo Settore (anno 2021) il cui valore potrebbe essere definito anche come”woke” (termine elaborato dalla controcultura afroamericana USA che si concretizza nel fatto di essere vigili e attivi)cioè “essere avanti” e svolgere una funzione di scouting su nuovi servizi e nuovi coinvolgimenti non necessariamente ,sempre e comunque, per le fasce deboli e fragili, ma offrendo valore istituzionale e strutturale. I dati sono parlanti:

  • 360.625 sono le non profit in Italia (molti ormai le chiamano imprese sociali in senso aziendale);
  • 893.741 sono i dipendenti cioè persone che prendono uno stipendio (spesso medio-basso, ma strutturale)
  • 4milioni617.000 sono i volontari con una diminuzione del 15% rispetto all’ultimo dato del censimento precedente, ma sicuramente sempre più professionalizzati.

Le 14.969 cooperative sociali (la Cooperativa Sociale è una particolare forma di Cooperativa-impresa sociale finalizzata alla realizzazione di servizi alla persona (di tipo A) o all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati (di tipo B).) “danno un lavoro” (sempre più professionalizzato) a 477.792 persone.

In logica di sollievo socio sanitario, assistenziale, sanitario di “care” (farsi carico”) e non solo di “cure” (curare”), sono 534.337, cioè più di mezzo milione di operatori.

E i Volontari?:

  • 257.282 sono le istituzioni non profit che hanno volontari che in totale sono 4milioni 617.000(di cui circa 2milioni700.000 sono maschi e 1 milone926.000 sono femmine).

Quindi cosa succederebbe se alcuni settori di questa offerta di servizi sistema si fermassero. Molte persone cadrebbero nel dramma.

Fare il volontario è un modo di lavorare; è un lavoro. Finalmente l’ILO-( l’Organizzazione Internazionale del Lavoro) ha sdoganato il concetto che fare un lavoro volontario non è in contraddizione con il senso concettuale del volontariato stesso. Il volontariato è un lavoro funzionale non retribuito, ma sempre di più è indispensabile per i servizi di welfare allargato del sistema.
Chi ancora pensa che il volontariato debba solo essere l’apoteosi della valorialità senza un collegamento con l’operatività incidente sulla realtà e quindi senza l’operatività dei servizi, crea un falso mito del volontariato che purtroppo è in declino e non avrà un futuro particolarmente roseo.
Dire che il volontario fa un lavoro sociale e di merito non è una “deminutio” della valorialità del volontario, ma piuttosto è un modo per sviluppare il valore aggiunto che esso offre al sistema.
Il tema del calo della intermediazione delle organizzazioni del non profit e di volontariato- imprese sociali non può essere soltanto affrontato come un fatto sociologico e di conciliazione fra fare il volontario e stare all’interno di un’organizzazione, ma deve essere visto nella sua dimensione di imprenditorialità sociale.
Il valore di produzione del Terzo Settore è di 84miliardi di euro(2022)e l’impatto sul sistema è di ca.100 miliardi considerando anche il ruolo dei volontari come dipendenti funzionali seppur “non retribuiti” che svolgono un lavoro.

La valutazione economica del volontariato è ancora un tema tabù per alcuni “grand vizier” del sistema e inoltre si pensa che questo ridimensionerebbe la valorialità solidale e altruistica. Valore vs.valorialità? Certamente no. Forse artatamente e funzionalmente all’uso opportunistico del volontariato il suo il valore economico suscita varie reazioni:   

-l ‘interlocutore pensa che il volontariato, se calcola il suo valore economico, avanzi la richiesta di un corrispettivo. Certamente no perché sappiamo benissimo che il volontariato tradizionale e prevalente è gratuito.  

– si pensa che in termini di principio una valorizzazione economica sia un “atto impuro” che toglie il valore primigenio e sociale del volontariato.   

La valorizzazione economica del volontariato è invece un proxi di orientamento utile per una gestione integrata. Infatti offre alle strutture una informazione importante: il tempo di servizio del volontariato, se qualificato ed utile per il valore sostituivo o valore aggiunto generato, è parte integrante per il servizio erogato a favore degli utenti clienti dei servizi offerti. Concretamente si pensi, per esempio, al volontariato in strutture sanitarie e socio assistenziali cioè quel volontariato che si aggiunge a circa mezzo milione di dipendenti retribuiti che, curano, assistono e offrono porzioni di vita ad altre persone.

E se effettivamente quel cartello: ”CHIUDO TUTTO E MI RITIRO” si concretizzasse?

Perderemmo il valore aggiunto di servizio, coerente con le aspettative dei pazienti e degenti, dei bambini assistiti, degli atleti in erba.

Speriamo di no! perché altrimenti sarebbe un Armageddon dei sistemi familiari, dell’assistenza, della sanità di qualità, del welfare di base.


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