SULLA SOSTENIBILITÀ DEI SISTEMI AGROALIMENTARI

Il concetto di sostenibilità è diversamente interpretato a seconda del settore, dell’analisi e del contesto di cui ci si sta occupando.

Parlando di sistemi agroalimentari, iniziamo col distinguere tra sistemi industriali e locali che vanno analizzati sotto diverse prospettive.
I sistemi alimentari agroindustriali intensivi, oggi molto criticati, vengono messi in discussione e si preferisce l’alternativa rappresentata dai sistemi alimentari locali emersa negli ultimi decenni. Chiediamoci allora se i sistemi agroalimentari locali sono sostenibili, se possono essere un sostituto “socialmente equo” comparato ai sistemi industriali e cosa implica parlare di sostenibilità in un contesto agroalimentare futuro.

Ecco qualche spunto di riflessione. Nonostante la sostenibilità sia diventata un concetto di uso comune, non è definito rigorosamente: alcune definizioni privilegiano l’etica economica, altre la crescita economica, altre ancora mettono l’accento sul valore politico e su quello della giustizia sociale per le generazioni future e così via. In altri casi il concetto di sostenibilità si limita a considerare solo una componente, come la sostenibilità energetica, la sostenibilità ambientale o ancora la sostenibilità biologica intesa come biodiversità.

Questa complessità dimostra che la sostenibilità è un concetto aperto, dinamico e globale che interessa le relazioni tra tutti gli esseri viventi e non. Pertanto, non è facile parlare di sostenibilità alimentare, di quale sarà la sua futura evoluzione in risposta ai cambiamenti climatici e alle trasformazioni sociali. Un sistema alimentare sostenibile non è legato solo al reddito, ma anche alla sostenibilità delle produzioni, alla sicurezza alimentare, a pratiche di lavoro accettabili e all’accesso al cibo. E qui torniamo alla questione iniziale: cibo locale vs cibo industriale.

Il cibo locale ha molti pregi ecologici e sociali, crea interazioni tra la comunità, i produttori e i consumatori e un legame tra le comunità rurali e i quartieri delle grandi metropoli.
Nella pratica dei Paesi industrializzati, però, solo una limitata fascia di popolazione con un reddito medio-alto ne usufruisce.
È chiaro, quindi, che i sistemi agroalimentari locali non possono essere una soluzione per i milioni di abitanti delle grandi città industrializzate e tantomeno per la crisi alimentare globale legata ad una popolazione mondiale che, nel 2050, raggiungerà i dieci miliardi di individui. Un percorso verso un sistema agroalimentare sostenibile e “giusto” non si risolve in una semplice disputa tra sistema di produzione locale e sistema agroindustriale.

La riduzione delle emissioni di gas serra non può essere raggiunta senza importanti modifiche al sistema agricolo, alle catene di approvvigionamento e all’alimentazione. Il contributo dei sistemi agroalimentari deve necessariamente passare attraverso l’adattamento ai cambiamenti climatici modificando il modo di coltivare e allevare.
Non dimentichiamo che produzione di cibo e sistemi agroalimentari si intrecciano allo sviluppo sostenibile e il loro equilibrio può essere significativamente alterato anche da fattori indiretti, conseguenza di processi sociali, politici, economici ed ecologici complessi e trasversali.
Eventi inattesi, come lo scoppio della guerra in Ucraina e conseguente crisi del gas nei Paesi industrializzati, hanno portato ad un immediato rialzo dei prezzi di molti alimenti a cominciare dal grano. Eventi estremi si ripetono con frequenza sempre maggiore anche in Italia con esiti devastanti sull’agroindustria come nel caso dell’ultima alluvione in Emilia-Romagna.
Già solo questo basterebbe a metterci in guardia da interpretazioni semplicistiche di un fenomeno complesso e articolato come quello del sistema agroalimentare.

E, per finire, c’è il problema dei problemi: la carenza d’acqua dolce. Tutti sanno che l’acqua è vita per gli esseri viventi del pianeta terra. Una risorsa così preziosa e finora considerata illimitata, in un futuro molto prossimo, sarà la vera incognita per la nostra sopravvivenza.
Facciamo due conti: il 97% dell’acqua del pianeta è salata e solo il 3% è acqua dolce e, di questa, l’1% è intrappolata ai poli. Resta solo il 2% di acqua dolce disponibile per l’intera popolazione mondiale che cresce sia numericamente che nel tenore di vita come sta accadendo in Cina e in altri Stati.
Tutta questa popolazione dovrà essere nutrita, l’agricoltura dovrà aumentare sia nelle rese per ettaro che per suolo occupato. Purtroppo, però, nei Paesi industrializzati come l’Europa e il nord America le rese hanno raggiunto già il loro massimo e le aree coltivabili sono prossime allo zero. È escluso, ovviamente, deforestare ancora perché l’umanità pagherebbe un prezzo ancora più alto in termini di sostenibilità e ricadute.
Sui cambiamenti climatici in atto, infatti, uno studio canadese sui disastri provocati da eventi estremi accaduti nella seconda metà del XX secolo, ha fatto emergere con chiarezza il collegamento tra questi e la diminuzione della produzione di cereali, la fonte di cibo più diffusa al mondo*.

Se è vero che gli eventi estremi si moltiplicheranno in futuro, allora dobbiamo essere pronti a sopperire ad ulteriori abbassamenti delle rese dei prodotti agricoli. La “sicurezza alimentare”, nel senso di accesso al cibo, sarà il grande problema del nostro secolo.
I suoli coltivabili rimasti non sono poi tanti e per questo, già da molti anni, assistiamo all’accaparramento, attraverso la firma di contratti di sfruttamento, di vaste aree coltivabili soprattutto in Africa e, alla fine, dovremo comunque affrontare la crisi agroalimentare anche cambiando le nostre abitudini alimentari.
Già da tempo si parla di agricoltura intelligente, di distribuzione efficiente e riduzione degli sprechi, per fornire diete sane ad una popolazione in crescita, per evitare cambiamenti insostenibili nell’uso del suolo e contribuire a mitigare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici.
Si è intervenuti anche nelle modalità di produzione, distribuzione e consumo di derrate alimentari ma, per nutrire in modo sostenibile dieci miliardi di persone, si capisce che le risposte fin qui messe in atto non sono sufficienti e altri tipi di cambiamenti non sono affatto facili da accettare. Parlo dell’introduzione di alimenti diversi come fonti proteiche alternative che hanno una minore impronta ambientale rispetto alla carne e ai prodotti caseari. In questo caso i modelli alimentari potrebbero essere modificati radicalmente.
Per spiegare la difficoltà ad accettare un cambiamento così radicale, dovete considerare il modello alimentare ancestrale cui l’uomo è ancora intimamente legato basato su raccolta,
caccia e migrazioni come, ad esempio, la transumanza, ancora oggi praticata. Superato per necessità dall’agricoltura e dall’allevamento, ha portato allo sviluppo del modello stanziale con relativa nascita di villaggi e città.
Questo è il momento in cui compaiono modelli agroalimentari basati su nuovi alimenti, sulla loro conservazione e trasformazione sviluppando nei millenni tradizioni culinarie molto diverse tra loro nelle diverse aree del pianeta.

Per questo è difficile sradicare queste nostre abitudini e convinzioni per passare a nuovi modelli, ma la crescita della popolazione mondiale è giunta a livelli tali da turbare equilibri essenziali e, visto che non è possibile tornare al modello pre-agroalimentare, possiamo soltanto andare avanti. La scienza e la tecnologia, per fortuna, ci vengono in aiuto nella costruzione di un nuovo modello agroalimentare da alcuni già definito “tecno-alimentare”.

Certo è che non possiamo pensare di crescere indefinitamente senza conseguenze, pensate che, rispetto agli anni ’60, il numero di individui sulla terra è raddoppiato e siamo già molto vicini al punto di massima capienza. Ci vorrebbe un altro pianeta terra, ma anche quello prima o poi sarebbe pieno. Che fare allora?
Una nuova frontiera ancora poco esplorata è sperimentare la desalinizzazione dell’acqua di mare e coltivare il cibo su zattere autosufficienti che, sfruttando l’energia solare per funzionare, succhiano acqua salata dall’oceano e la desalinizzano. Prototipi sono già stati realizzati e sono sotto osservazione**.
Questa è una possibilità, ma possiamo spingerci ancora un po’più in là e provare a nutrirci con alimenti a base di alghe e di tutti gli altri esseri commestibili per la specie umana (per es. gli insetti). Naturalmente, affinché questo avvenga senza traumi, c’è bisogno della collaborazione tra Stati, è importante e urgente un coordinamento delle politiche agroalimentari tra governi. Purtroppo, le numerose guerre per accaparrarsi le risorse naturali, in primis l’acqua, in molte aree del pianeta lo impediscono.
Possiamo riporre la nostra fiducia nella ricerca scientifica e tecnologica che va sempre avanti, nel settore agroalimentare come in tutti gli altri, e sperare in una buona soluzione a questo serio problema che la popolazione umana si trova ad affrontare.

*C. Lesk, N. Ramankutty, P. Rowani, Influence of extreme weather disaster on global crop production, Nature, 529 (7584), 2016, pp. 84-87.

**S. Mancuso, Plant Revolution, Le piante hanno già inventato il nostro futuro, Giunti Editore, 2023, pp.240-260


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