Comincia con una data di nascita ballerina (primo aprile o venti marzo, a seconda se è calcolata sul vecchio calendario ortodosso russo oppure su quello europeo) la vita complicata di questo eccezionale virtuoso del pianoforte e ultimo grande compositore romantico russo: Sergej Vasilyevich Rachmaninoff.
Suo padre ha sposato una ricca ereditiera che gli ha portato in dote cinque grandi tenute agricole. Sergej nasce in quella di Semyonovo, ma quando ha quattro anni e sta cominciando le prime lezioni di musica, papà vende il terreno e la famiglia si sposta nei possedimenti di Oneg. Nel giro di poco tempo quest’uomo, totalmente incompetente e capace solo di far debiti perde tutte e cinque le proprietà e i Rachmaninoff finiscono in un appartamentino a San Pietroburgo.
Per Sergej è un vantaggio perché così può studiare al Conservatorio, ma arrivano subito altri guai: prima muore di difterite la sorellina e poi papà Rachmaninoff pianta la famiglia e se ne va a Mosca, lasciando il piccolo nelle mani della mamma e soprattutto della nonna, molto religiosa, che lo porta alle funzioni ortodosse, da dove torna a casa stregato dai canti e dalle campane (le sentiremo risuonare più e più volte nella sua musica).
Non è finita: nel 1885 muore anche l’altra sorella, pilastro della sua educazione musicale, che gli aveva fatto conoscere Ciaikowski. Sergej trascura lo studio, falsifica le pagelle e alla fine lo bocciano. Un cugino, ottimo pianista allievo di Liszt, suggerisce di mandarlo al Conservatorio di Mosca.
Così si fa e per quattro anni Rachmaninoff studia con profitto, tanto che a un certo punto vince una borsa di studio Rubinstein. Segue la Gran Medaglia D’Oro e un diploma che autorizza Sergej a firmarsi “Libero Artista”.
Arrivano anche i primi soldi. L’editore Gutheil gli offre 500 rubli per pubblicare alcune sue opere (per le lezioni di piano ne prende 15 al mese). Ma poco dopo ecco un altro colpo: il suo amico e protettore Ciaikowski muore di colera. Rachmaninoff è distrutto. Scrive il trio elegiaco N° 2 in memoria del defunto, poi sprofonda in una lunga depressione.
Si ripresenta lo spettro della povertà, e allora è costretto a ricominciare con le lezioni, che odia.
Si avventura in una tournee insieme alla violinista italiana Teresina Tua (sembra una dedica civettuola da mettere sotto una foto, invece è proprio il nome e il cognome di un’acclamatissima solista dell’epoca). Rachmaninoff non regge a una concorrente più famosa di lui, per di più donna, e molla tutto rimettendoci i soldi dell’ingaggio. La spiegazione è in queste righe che scrive all’amico Michail Slonov: “Al primo concerto a Lodz suonai abbastanza bene. Ottenni un buon successo, ma a lei, la contessa Teresina Tua Franchi Verney della Valletta, fu tributato un successo ancora più grande. Lei non suona particolarmente bene ma con i suoi occhi e i suoi sorrisi suona magnificamente, per il pubblico.”
Finalmente gli eseguono la prima sinfonia: un disastro perché il direttore d’orchestra Glazunov quella sera è ubriaco e fa un pasticcio. Segue altra depressione. Nel 1900, quando ormai neanche si siede più al piano, lo sottopongono a un trattamento di ipnoterapia, che gli ridà la carica.
Dal 1904 è direttore d’orchestra del Bolshoi per due stagioni. Dopo aver realizzato alcune notevoli innovazioni, fra cui la posizione in piedi del direttore e l’orchestra in buca, lascia il posto, comincia a viaggiare per l’Europa e finalmente vince il premio Glinka di mille rubli. Una boccata d’aria.
Si imbarca per un giro in USA. A New York suonano il suo Concerto N° 3 con Gustav Mahler sul podio e lui stesso al piano. Grandissimo successo, ma Rachmaninoff, come molti russi, ha questa maledetta nostalgia di casa, e non ce la fa a rimanere in terra straniera.
Torna a Mosca e lo nominano vicepresidente della Società Musicale Imperiale Russa, dalla quale si dimette quando viene a sapere che un collega ne è stato cacciato perché ebreo. Due costanti di quel periodo e da quelle parti: la nostalgia di casa e l’antisemitismo.
Se ne va in vacanza a Roma, dove a un certo punto lo incontriamo in un appartamentino a Piazza di Spagna, quando gli appartamentini a Piazza di Spagna ancora si trovavano. Però poi di nuovo torna a casa e finisce in mezzo a una gran confusione per via della prima guerra mondiale e della rivoluzione di ottobre.
A questo punto accetta al volo l’offerta di una serie di concerti in Scandinavia pur di avere il permesso di lasciare la Russia con la famiglia. Vanno in treno fino al confine con la Finlandia, poi in slitta fino a Stoccolma (è inverno!). Finalmente, in nave da Oslo, emigrano negli Stati Uniti.
A New York Rachmaninoff mantiene le abitudini russe, i gusti russi, la cucina russa. Si circonda di russi, fra i quali per sua fortuna ci sono impresari e organizzatori che in breve gli mettono in piedi una stagione coi fiocchi.
Nel 1920 firma un contratto con la RCA ed è uno dei primi virtuosi a registrare su disco. Ormai è il successo e il benessere. Si può permettere di viaggiare insieme al suo pianoforte su un vagone personale arredato con i suoi mobili e un guardaroba completo.
Ormai gli acciacchi sono così tanti da convincerlo che la stagione ’42-’43 sarà l’ultima, ma non ce la fa neanche a finirla. Il 26 marzo muore.
Si dice che, come Paganini, anche Rachmaninoff avesse la sindrome di Marfan, un disordine ereditario dei tessuti connettivi che permette un’estensione delle dita oltre il normale.
Che ce l’avesse o no, rimane il fatto che con quelle sue manone riusciva a suonare cose impossibili. Che scriveva lui stesso nei suoi concerti, mettendo nei guai i colleghi meno dotati.
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