QUALE E QUANTA DIFESA?

Quale e quanta difesa e Occidente divisi nel campo NATO attorno al Dnepr?

Serve unità per la gestione di un equilibrio multilaterale complesso e disordinato con più Europa e non meno.
I tanti motivi per votare in una tornata storica

Il tema di grande momento e divisivo del campo occidentale sulla faglia del Dnepr (come di Gaza e dei 2S2P- “2 Stati e 2 Popoli” anticipata ora con l’ultima proposta di Biden per un ceasefire di 6 mesi, rilascio degli ostaggi e avvio ricostruzione) è “quale difesa e quanta” che l’Occidente vuole assicurare a Kiev che non vede tregua nei bombardamenti indiscriminati russi su popolazioni civili e infrastrutture vitali (acqua, elettricità, ospedali, supermercati, scuole, teatri) per la popolazione ucraina.

Macron con forza (detenendo l’opzione nucleare) e Scholz più moderatamente (ma convergendo) sostengono con Stoltenberg (Segretario NATO) una difesa ucraina ormai necessitata a risposte che colpiscano siti russi oltre la frontiera da cui partono i missili che stanno radendo al suolo anche Kharkiv.

È chiaro che cambiando la strategia russa di attacco debba cambiare anche la linea di difesa: un pugile non può combattere (né negoziare) con una mano legata dietro la schiena. Se i russi si “nascondono” dietro le proprie frontiere con il lancio dei missili a lunga gittata, la risposta difensiva più ragionevole (e necessaria) è che quei siti possano (e debbano) essere difensivamente colpiti.

Tuttavia, solo siti militari e non altro, come dicono giustamente Macron e Scholz in scia a Stoltenberg, “coprendolo” politicamente come è giusto che sia dato che il Segretario NATO può solo proporre. Insomma, una strategia di “rafforzamento della sovranità europea” come dicono sul Financial Times i due Presidenti dell’asse franco-tedesco rinforzato distinguendosi per la prima volta dallo scetticismo USA su questo spostamento della “linea di difesa” ucraina.

Peraltro, una linea sostenuta da Blinken (ma non da Sullivan) con Biden che ha “scelto” di far pendere la bilancia supportando azioni mirate di difesa entro confini russi “a protezione esclusiva di Kiev” anche considerando gli impatti elettorali USA. Macron e Scholz da questo lato – e coraggiosamente – hanno scelto in attesa dell’esito elettorale in UE, anche rischiando di dividere il “campo largo” pro-Ucraina in Europa. Tra i paesi “scettici e contrari” abbiamo l’Italia che ha ribadito con il suo Ministro degli Esteri di essere contraria all’uso di armi “fuori” dai confini ucraini perché in contrasto con la nostra Costituzione, senza tuttavia spiegare i “limiti di difesa” del territorio ucraino che ciò implica.

Certo Putin ha già risposto – nel suo stile illiberale e totalitario di tipo robotico-carcerario – con “la demenza di Stoltenberg” e minacciando quei paesi piccoli e popolosi a nord-ovest (sostanzialmente tutti i paesi baltici) che stanno peraltro razionalmente preparandosi da tempo contro l’eventuale zampata dell’orso russo e i suoi “sogni (neo)imperial-zaristi” quale nuvola di copertura di una lobby politico-affaristica statolatrica che da tempo usa crisi energetica-alimentare contro l’Occidente e l’Europa volendone l’indebolimento e la caduta.

Qui il confine tra escalation verbale o dei fatti si fa labile e confusa, ma certo i paesi affacciati sul Baltico (e non solo) e “a contatto” con le frontiere russe fanno bene a prepararsi a tutti gli eventi avendo ben imparato la “lezione Ucraina” dopo quella “sovietica” e – come sembra – con sciami coordinati di droni in prima battuta e predisponendo “ostacoli terra-aria” ad eventuali carri armati e con difesa contraerea per attacchi dal cielo. Insomma, “piani di difesa” acconci ad un attacco all’Occidente-NATO di un Putin che sa bene che firmerebbe la propria fine ma ne fa anche la forza e nell’ attesa disperata che gli venga offerta “una via d’uscita”(?).

Un quadro geo-strategico di difesa europea che spostando il confine divide i campi nazionali e le opinioni pubbliche, soprattutto in paesi come l’Italia che sono “più distanti dal fronte caldo” e che rischiano di ricadere nella “trappola hitleriana dei Sudeti”. Divide la sinistra tra pacifisti “a oltranza” (5* e Verdi-Sinistra) e “difensivisti”(non “a oltranza”), ma pure la destra tra filo-russi come la Lega e Occidentali transatlantici come Forza Italia e i “possibilisti” (tra “Guerra e Pace” inseguendo Tolstoj che si rivolta nella tomba, ma non “guerra o pace“ urlata da Orban per dire qualcosa) come Fratelli d’Italia che si mantengono in scia a Biden.

Ma con Trump nell’Oval Office come sarà avendo dato via libera in anticipo a Putin per “picchiare” i paesi che “ritardano” sul ticket Nato al 2%? E che ci pone la domanda biblica e tragica su Donald e da che parte starebbe delle acque prima e dopo una deflagrazione, magari spingendo tutti gli americani nell’Iowa? I “Venti di Guerra” invece che unire dividono anche in relazione alla distanza geografica dal “fronte caldo” e in attesa degli esiti elettorali sui due lati dell’Atlantico.

La “Lealtà Atlantica” del Governo Meloni rischia di divenire più liquida e friabile di fronte al rischio di “boots on the ground “ (scarponi sul terreno) e con attacchi transfrontalieri ucraini per quanto delimitati entro obiettivi militari russi. Sembra chiaro che ci sia bisogno di “più NATO” e “più Europa” mentre alcuni messaggi trasversali di candidati di entrambi gli schieramenti sembrano andare in direzione contraria pur non indicando le alternative negoziali (con chi, per dove e per “quanta parte” dell’Ucraina oltre il 15% già controllato dai russi). Sapendo comunque che qualunque soluzione possibile non potrà escludere il popolo ucraino anche in caso di caduta improbabile (fortuita o provocata) di Zelensky e considerando una uscita di Putin per “mano interna” quasi impossibile (per ora) visto il “taglio sistematico di ogni mano” de facto.

Cosi come una vittoria di Trump (soprattutto dopo la sua condanna per tutti i 34 capi d’accusa del “sex-gate” inerente la elezione del 2016) pur accrescendo l’entropia globale e il disordine non aggiungerebbe molto alle soluzioni possibili, realistiche e sostenibili vista imbragatura dei servizi e disposizione dei mezzi per terra e mare se non con rinforzo di un “isolazionismo asimmetrico e incoerente”. Dunque per ora la linea Macron-Scholz sembra la più credibile e sostenibile anche verso negoziati possibili perché capace di guardare alla unità europea e alla sua difesa integrata in un quadro di stabilità transatlantica e di nascente forza di difesa europea (e relativo “ombrello nucleare”) quale rinforzo di autonomia e indipendenza strategiche dell’UE e discriminante chiaro tra europeisti e antieuropeisti ossia tra gruppi liberali / social-democratici rispetto ai gruppi populisti e sovranisti conservatori.

Unici perimetri fondamentali per governare l’emergente multipolarismo anche per uno sguardo equilibrato agli esiti mediorientali incombenti. Molti motivi per andare a votare per i 370 milioni di cittadini europei e indicare la via e termometro di un futuro ancora possibile di pace e prosperità con al centro una Europa unita e forte, in quanto autonoma e indipendente a difesa dello Stato di Diritto e di un aperto multiculturalismo e cosmopolitismo per includere e condividere le soluzioni alle grandi sfide globali che ci attendono (economiche, migratorie, sociali, tecnologiche, sanitarie, educative).


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