L’ECONOMIA(SOCIALE) DEI VESCOVI  

L’economia è sineddoche dell’economia sociale: figura retorica che afferma che l’economia è parte dell’economia sociale. 

A questo proposito i Vescovi europei hanno risposto alla Commissione europea sul tema dell’Economia Sociale come driver dell’economia di valorI e  valorE.In termini di impatto sociale si direbbe a “doppia materialità”: economica e sociale. 

Il documento dei Vescovi sull’Economia Sociale si rivolge ai   447 milioni di cittadini europei di cui i cattolici  sono circa il 32%. 

In Europa siamo di fronte ad una situazione  a “macchia di leopardo”: l’Economia Sociale(articolata in “imprese sociali”)  rappresenta, in alcuni paesi, lo 0,6% dell’occupazione retribuita, in altri quasi il 10% e comunque la media è del 6,3% . Se contassimo anche il lavoro dei volontari le cifre sarebbero decisamente superiori. 

La CEE ha lanciato una consultazione per definire le condizioni quadro dell’Economia Sociale e la Commissione degli Episcopati dell’UE(COMECE -presidente è mons. Mariano Crociata -vescovo di Latina)  offre  una proposizione di economia di sistema . 

Da subito notiamo molti elementi che accomunano il Documento dei Vescovi e il Piano d’azione per l’Economia Sociale della Comunità Europea. 

Dal punto di vista economico aziendale l’Economia Sociale risponde istituzionalmente ,organizzativamente alla manifestazione dei diritti e dei doveri dei cittadini ed è necessario combinare le risorse economico finanziarie, sociali e strutturali per il tramite di “veicoli aziendali” che sono le imprese sociali pubbliche, private profit e private non profit.
Cioè “tutte le imprese devono essere sociali”.  

Realisticamente le risorse  pubbliche sono inadeguate all’espansione dei diritti sociali  e si allarga  lo iato fra risorse a disposizione da subito ( “ per cassa”) oppure per fruizione differita(per competenza) e i bisogni- domanda dei cittadini.  

Al di là di dichiarazioni per convenienza politica e nominalistica  dell’esistenza ancora dello spirito del welfare state puro con offerta di servizi come esclusiva dello Stato, ormai fruiamo di “ un welfare universale a protezione variabile” ove il prelievo fiscale non può essere  l’unica risorsa, ma sono necessarie delle integrazioni da parte dei cittadini partecipando anche al sostegno dei costi . 

In molti casi il cittadino acquista servizi di utilità pubblica (forniti dal pubblico o dal privato) pagandoli interamente. 

I comuni, per esempio, devono decidere quali servizi sono coperti in toto da risorse pubbliche e quali servizi devono essere integrati con coperture di costi da parte dei cittadini o da attori istituzionali privati. E’ un “problem solving” da economia sociale.  

In quest’ottica  il Documento dei Vescovi cioè l’Economia dei Vescovi si basa  su alcuni principi fondamentali che la Chiesa ha già sottolineato  nel tempo. 

Essi  si possono sintetizzare in:  

  • Bene comune come fine delle azioni economico finanziarie nonché come “purpose” macro economico di riferimento.  L’Economia Sociale deve adeguare le azioni delle imprese sociali al bene comune  che ingloba i beni privati e quindi la domanda dei cittadini.  Essa ha come condizione indispensabile la fruizione ed il godimento delle prestazioni, ma deve essere corredata anche da attività e da un contesto di condizioni per fruire delle prestazioni stesse. 
  • Destinazione universale dei beni in cui si fa premio all’uso di tutti gli esseri umani e di tutti i popoli del set di offerta di beni e servizi  
  • Dignità della persona e giustizia sociale intesa come capacità di “includere gli esseri umani e non umani “nella società in logica di rispetto delle loro diversità.  
  • Opzione preferenziale per i poveri che è nata nella tradizione della Chiesa in America Latina, per la quale ci si prende cura dei più poveri, ma si devono avere delle infrastrutture sociali che favoriscono l’inclusione e la partecipazione dei cittadini  
  • Sussidiarietà ove le decisioni devono essere prese al livello più vicino possibile alle parti interessate  

    Nel documento si fa riferimento ad alcune encicliche fra cui la Fratelli Tutti di Papa Francesco ( 2020 ) che pone l’amicizia sociale come principio organizzativo di ogni società.  

    Tutti questi riferimenti però sono finalizzati alla creazione di ricchezza relazionale non nella logica contrattuale, ma nella logica dell’alleanza.  

    Queste affermazione potrebbe sembrare solo di principio ed un po’ irrealizzabile, ma analizzando, anche dal punto di vista organizzativo ,il concetto di ricchezza relazionale e calato nello specifico delle imprese( sociali)si nota come questa favorisce i rapporti creando delle alleanze e delle appartenenze e delle “cure reciproche” sia a livello macroeconomico sia a livello micro. 

    Essee aumentano il mantra delle imprese di successo: economicità, efficienza, efficacia, continuità e perdurabilità. 

    Una verifica puntuale di questa affermazione sta anche nei risultati della catena del valore di imprese di servizi  la cui ricchezza relazionale interna ( informazione, comunicazione, spiegazione, formazione, clima organizzativo)sviluppano  risultati di business e di mercato decisamente superiori a quelli che non hanno questa ricchezza relazionale interna. 

    E tutto questo si traduce in una ricchezza relazionale esterna che soddisfa la domanda dei cittadini -consumatori-consumeristi perché aumenta la simmetria fra l’offerta di servizi e la domanda razionale dei cittadini  

    Anche in imprese di produzione di beni la ricchezza relazionale permette di sviluppare i cicli produttivi con competenze, conoscenze ed abilità( ricchezza relazionale ) più efficienti ed efficaci rispetto a quelli che non hanno questa ricchezza. 

     Il Documento dei Vescovi prosegue con una tassonomia della ricchezza relazionale per il tramite di relazioni di alleanza che sviluppano la cooperazione attorno a dei progetti comuni. 

    Per esempio la transizione ecologica non appare più come un elemento dettato da un assetto normativo, ma da una dimensione di attività di impatto positivo sull’eco-sistema (economico – finanziario e sociale) che gli stessi operatori- dipendenti  apprezzano sulla propria persona  e sulla salute. 

    Nel Documento è interessante l’affermazione che il modello di governance, scelto dalla  impresa sociale, consente alla comunità ed ai soggetti interessati, di partecipare al processo gestionale dei progetti anche di business. 

    La partecipazione deve anche coinvolgere coloro che sono beneficiari del progetto ed  in termini operativi si può pensare che la declinazione della governance (ricordo ESG -Enviromental, Social, Governance) non si limita  al fatto di avere nel cda consiglieri indipendenti, nell’ adottare il principio del rispetto della diversity e delle quote rosa, ma anche nel ruolo dei consumatori nonché delle fasce deboli del sistema rappresentate esse stesse in questi snodi di governance  

    Quindi l’impresa sociale come  veicolo base dell’economia mira a colmare il differenziali economico sociali e finanziari dei cittadini, con una distribuzione del reddito. 

    La trasformazione riparativa ed estrattiva della povertà e fragilità coinvolge più ampi segmenti di stakeholders .  

    Nel documento si fa un preciso riferimento agli approcci di valutazione dell’impatto sociale delle strutture dell’Economia Sociale che deve integrare i risultati in termini quantitativi con quelli qualitativi . 

    Inoltre diritto all’accesso ed alla gestione dell’accesso ai servizi pubblici con risultati sociali e di riscatto della povertà. 

    Infine   promuovere un quadro fiscale per l’Economia Sociale per creare posti di lavoro e un crescita sostenibile. 

    Questa progressione concettuale  deriva anche dal fatto che la sola economia di mercato non è in grado di equilibrare un corretto rapporto domanda e offerta di servizi in logica di indispensabile equità sociale. 

    Al lettore che  si domanda se c’è una distinzione fra Economia ed Economia Sociale rispondo: secondo me no! 

     l’Economia Sociale deve fare da copula all’economia “sic et simpliciter” e di questo ne parleremo in altro articolo. Comunque oggi non c’è dichiarazione economica, finanziaria, claim pubblicitario ove non si cita la sostenibilità sociale dell’economia, della finanza e dei prodotti-servizi. Tutto “greenwashing”e “socialwashing”?

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Commenti

Una risposta a “L’ECONOMIA(SOCIALE) DEI VESCOVI  ”

  1. Avatar Francesco Zappia

    Ho letto con interesse l’articolo e colgo l’occasione di fare un balzo tematico per rivolgermi, però, ad alcune determinazioni dello stesso articolo. Premettendo una personale, forse troppo spinta, sempificazione (a me utile per la comparazione teorica) che accosta l’economia a quella capitalistica e l’economia sociale a quella civile, così da giungere alla comparazione tra il liberismo economico (Smith) e l’economia della “pubblica felicità” (Genovesi). Premessa questa forse abnorme semplificazione, a proposito di veicolo sociale (imprese), mi chiedo se a società Benefit non sia anche adeguato soggetto giuridico ed economico preposto alla realizzazione di una sorta di accordo, anche teorico, tra profitto e scopo sociale dell’impresa (tra Smith e Genovesi, a livello dottrinale). Grazie