IL RINOCERONTE
“Lavoro 8 ore al giorno in ufficio, è troppo. Non vivo più”
Brielle Asero ha 21 anni, vive in New Jersey e lavora a New York. Fa la TikToker mentre studia marketing, si laurea all’Università della Carolina del Sud e trova un lavoroin un ufficio che si occupa di marketing, a Manhattan.
L’orario di lavoro è il classico 9-17, più un ora di treno da casa all’ufficio per andare e altrettanto per tornare. Insomma il solito, (normale?) sbattimento che mette alla prova migliaia e migliaia di persone in tutto il mondo, ma che però alla ragazza non piace per nulla, tanto che una sera, in lacrime, la Tik-Toker si sfoga sul social e racconta la sua esperienza nel mondo del lavoro. “8 ore in ufficio sono troppe” per poter gestire anche una vita privata.
“Così non vivo più” dice ai suoi follower Brielle, piangendo angosciata, sia dalla vita da ufficio sia dai viaggi per andare da casa al lavoro.
“Mi ci vuole un’eternità per arrivare sul luogo di lavoro. Questo vuol dire che quando non sono in viaggio, mi sto preparando per uscire di casa e andare al lavoro e quando ho finito di lavorare mi tocca trascorrere la serata in viaggio per tornare a casa. Non ho tempo per fare nulla. Lavoro e torno a casa, non ho l’energia per fare sport e sono stressata” Eppure dice Brielle (Povera stellina!) “non c’è niente che non va nel mio lavoro. Lo so che potrebbe essere peggio, potrei lavorare più ore, ma come faccio ad avere tempo per uscire con un ragazzo o per fare sport?” In effetti potremmo fare un lungo elenco di lavori davvero pesanti e che se arrivasse un robot domani a farli nessuno si lamenterebbe.
Ma torniamo alla domanda. Come si fa a lavorare e ad avere un vista privata? Già. Bella domanda: come si fa? Una volta si diceva che chi fa il lavoro che ama non lavora mai. Ne scriveva molto bene Primo Levi ne “La Chiave a stella”. Brielle fa il lavoro per cui ha studiato, dice che le piace, il problema forse non è nemmeno più quello.
Il video (ovviamente) è diventato virale e dagli USA ha fatto il giro del mondo, intercettando e rilanciando una delle questioni che più ha tenuto banco nel dopo COVID, il lavoro, o meglio il livello altissimo di insoddisfazione tra i lavoratori mai visto fino ad ora. Più che lo sfogo della giovane Brielle, eccessivo e sopra le righe, colpisce la reazione che ne è seguita, non solo sui social ma anche sui media più tradizionali, con le solite fazioni giudicanti contrapposte tra chi pensa che i 20enni siano dei divanisti “fancazzisti” e chi pensa che invece siano dei poveri sfruttati da padroni sempre più cattivi ed antiquati.
È noto che ai giovani della GenZ piaccia lo smart working e la possibilità di conciliare il lavoro con i tempi della vita privata, ritenuta prioritaria. Prende forma anche l’idea che con il digitale e la tecnologia si potrà lavorare diversamente o di meno in assoluto e avere più tempo da dedicare a se stessi, e che il lavoro non avrà più la stessa funzione sociale che aveva nel 900. Il lavoro inoltre non sembra essere più un sistema di redistribuzione efficace come in passato, almeno per i più giovani, ai quali sembra piacere il mercato per le tante opportunità a disposizione, ma non questo mercato del lavoro.
Insomma, il tema c’è ed esiste in tutto il mondo occidentale industriale: il video della tik-toker piuttosto conferma quanto il tema sia sentito, quindi urgente. Del resto se si proclama a gran voce che tutto è cambiato, non si vede perché non possa cambiare anche il modo di lavorare. Sul resto invece la Asero è una social media manager bravissima molto abile a maneggiare i trend e le hype del momento. Il suo discorso è irritante per uno della mia età e con la mia storia, perché esprime un conflitto che resta tutto nella dimensione dell’io, senza produrre nessuna socializzazione.
Se a 21 anni serve piagnucolare e dire che lavorare fa schifo per diventare famosi come una pop star tascabile allora davvero il mondo del lavoro è cambiato. Ed il valore non è piu nel lavoro.
PS
Quelli della mia generazione nati sotto il segno dello yuppismo rampante e subito declinante, sono cresciuti a pane, nutella e senso del dovere. Si doveva studiare, si doveva lavorare, si doveva comperare una casa con il mutuo, etc etc. E se si studiava e si lavorava con impegno si migliorava, si realizzava qualcosa e ci realizzava. La scuola e il lavoro era l’ascensore sociale in un mondo di opportunità, cominciata a funzionare male ma funzionava ancora. Insomma c’era un minimo di prospettiva e di ottimismo nel futuro, ci si lamentava ma con sobrietà.
Le cose sono andate in maniera diversa, il merito oggi è un lusso per pochi e i figli fanno per lo più i mestieri dei padri. Brielle è figlia del suo tempo. Di questo bisogna farsene una ragione.
NDT.: l’Editor di questo giornale non mette il video di proposito e neanche il link, conoscendo molto bene il valore dei dati e dei flussi di essi.
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