LA FRANCIA E LA “SCELTA DELLE DONNE” IN COSTITUZIONE

Uno snodo di civiltà e culturale (oltre che economico) per la promozione della condizione femminile

La Francia muove in avanti la civiltà della convivenza (economica, sociale e politica) inserendo in Costituzione – con l’Assemblée Nationale riunita solennemente come solo per le grandi occasioni storiche a Versailles – la norma a favore della “libertà di scelta delle donne sulla gravidanza” come faro dei diritti civili e sociali. Infatti “la legge determina le condizioni entro le quali si esercita la libertà garantita alla donna di far ricorso ad una interruzione volontaria della gravidanza”. Toccando un tema strategico delle società contemporanee in modo più ampio che è la condizione femminile. Dopo la Rivoluzione del 1789 (agli albori di quella scientifica e industriale) con la conquista della Bastiglia e del “diritto al pane” con la sanguinosa ghigliottina per Re incapaci e rivoluzionari inetti.

Dopo il 1968 nell’affermazione della “Grande Trasformazione Sociale e Culturale” della terza rivoluzione industriale dei mercati di massa in una modernità guidata dagli studenti, dalle donne che studiano e lavorano e dalla conoscenza, il marzo 2024 della quarta ( e forse quinta) rivoluzione industriale post globale e dell’AI è l’anno della “Riforma Costituzionalizzata” del diritto della libertà delle donne di abortire con una ampia maggioranza, con 852 votanti e solo 72 contrari dopo il divorzio e l’aborto di mezzo secolo fa.

Ma va detto in risposta alle obiezioni dei contrari che certo non vuole essere una legge “contro” ma “per” la vita confidando nella discesa degli aborti legali e del dolore tragico e iniquo di quelli illegali e soprattutto con un aumento delle risorse nell’accompagnamento della scelta di avere e allevare dei bambini nella società della denatalità. Risorse per facilitare condizioni sociali, civili ed economiche e capaci di promuovere il lavoro delle donne e il loro rispetto nella dignità e dunque la loro libertà di potere decidere consapevolmente e coscientemente se, quando e come diventare madri, anche a prescindere dai padri.

Ossia con incentivi alle giovani coppie per il primo e secondo figlio, abbassando i costi degli asili nido, riducendo i costi di affitti e mutui per la prima casa in presenza di figli, e con orari di lavoro consoni ad una vita familiare in equilibrio con le scelte professionali. Soprattutto visto che in Italia – per esempio – oltre il 57% delle donne occupate tra 18 e 49 anni interrompe il lavoro rispettivamente dopo il primo figlio (ISTAT, INAIL).

È infatti del tutto evidente che il contrasto alla denatalità lo si può esercitare solo mettendo in condizioni la donna di non dipendere economicamente da alcun altro familiare (dal marito o compagno in primo luogo) o ricattate dai capi-azienda sulle intenzioni di diventare madri per potere esercitare liberamente questa scelta senza dover interrompere la propria carriera professionale (o ridimensionandola) nella salvaguardia della propria indipendenza. Ma se in Italia solo il 25% (molto più bassa al sud) di bambini 1-3 anni trova posto negli asili nido (peraltro costosissimi) abbiamo un ostacolo insormontabile da abbattere rapidamente (per con le risorse del PNRR?).

Allora in Francia avanza una “architettura costituzionale” che cementa irreversibilmente la libertà delle donne come conquista di civiltà e che vincola dall’altra parte l’obiezione di coscienza di medici e infermieri rendendola “incostituzionale”, liberando la competitività cooperativa della società e dell’economia entro un principio superiore di coesione. La conquista della fraternità, della solidarietà in una società aperta e inclusiva, tecnologicamente avanzata non può rinunciare alla libertà delle donne in particolare nel momento topico fondamentale di decisione sulla “riproduzione della vita” e che proprio per questo non può essere delegata ad altri.

Si spezza in Francia un anello della catena essenziale della storia plurisecolare dei viventi che ha visto da sempre la condizione di inferiorità della donna perché – paradossalmente – portatrice della vita e dunque “debole” sciogliendo la più formidabile delle contraddizioni dello sviluppo umano e civile, certo culturale e biologico ma che potremmo dire anche antropologico.

Da qui ne dovranno discendere misure concrete per accelerare necessariamente gli avanzamenti “oltre” il gender gap che ancora mancano nei mercati del lavoro, nella remunerazione, nella formazione delle donne (e nella loro protezione dalle tante-troppe violenze familiari ed extra-familiari) e che non potranno (ne dovranno) porre in contrasto le loro scelte di vita e professionali. La black box dello sviluppo umano e civile che trovava nei “ritardati” step evolutivi, istituzionali e politico-sociali della condizione femminile il suo vulnus familiare, valoriale e culturale prima che economico e sociale viene aperta e portata alla luce.

Perché nel mondo – secondo il d– abbiamo chiuso ad oggi nella diseguaglianza tra uomini e donne il 96% del divario di salute, il 95,2% del divario in istruzione, il 60,1% del divario in partecipazione economica ma con il troppo contenuto 22% del divario nel cosiddetto empowerment politico. Con l’Italia 79° posto su 146 paesi e al 104° per dimensione economica dove troviamo tra i primi come sempre i paesi e monarchie del nord-Europa.

Traiettorie di miglioramento ma che al tasso attuale richiederebbero 169 anni in campo economico e 162 in campo politico che non possiamo permetterci perché chiave di avanzamento dei diritti civili e di una spinta sostanziale allo sviluppo civile ed economico oltre che del benessere interconnessi in una spirale virtuosa.

Perché è ormai del tutto evidente e dimostrato dai dati che sviluppo e crescita sono indissolubilmente legati virtuosamente al superamento del gender gap che da solo al 2050 potrebbe alzare i tassi di crescita dell’Europa dal 6 al 10%, secondo l’Istituto Europeo della parità di genere. Semplicemente perché le donne sono ormai le più istruite (per diplomi e lauree) e lo saranno di più nei prossimi anni accrescendone le performance anche nelle discipline STEM e che dovrebbe favorire lo spostamento in avanti di quel troppo basso 22% di donne Ceo in Europa verso una leadership bilanciata, più democratica e inclusiva, motivante e dialogante.

Così come del tutto evidente che child penalty e gender gap sono indissolubilmente interconnessi visto che nel mondo il 95% degli uomini tra 25 e 54 anni lavora mentre le donne si fermano al solo 52%, con il 24% delle donne che lasciano l’impiego dopo il primo anno di vita del bambino con il 17% che cinque anni dopo è ancora assente e dopo 10 anni scendiamo al 15%. Nei paesi più avanzati uomini e donne partono alla pari ma poi il divario scoppia alla nascita del primo figlio con impatto zero per gli uomini mentre fa implodere la carriera delle donne visto che dovranno “girare” interi stipendi a baby sitter e asili nido, compreso accudimento di maschi e familiari.

Passando dalle fasi primarie di sviluppo economico (dove pesa soprattutto il matrimonio) a quelle successive negli ultimi 10 anni (dall’agricoltura all’industria ai servizi ) con redditi e istruzione in aumento (in particolare) per le donne la child penalty diventa la principale leva di diseguaglianza di genere nei mercati del lavoro.

Dunque verso una “Fine della Storia”, ma solo perché ne possa cominciare un’altra. La conferma la abbiamo già con quelle società nord-europee dove la maternità e natalità crescono proprio in presenza di una indipendenza sostantiva, economica e culturale oltre che di potere delle donne nella società e nella politica anche con famiglie allargate, aperte e/o arcobaleno.

Una società dinamica dove la chiave degli avanzamenti civili, economici, così come culturali, istituzionali e delle imprese è costituita dalla libertà e indipendenza delle donne per una società contemporanea che si vuole aperta, inclusiva e resiliente oltre che adattativa e performante e non solo efficiente per fondarne un benessere equo, solidale e forte. Ripartendo da una maggiore equità ed equilibrio nella divisione del lavoro domestico e con orari lavorativi con questo compatibili.

Servono allora sforzi per migliorare i servizi di cura dell’infanzia, promuovendo la conciliazione tra vita familiare e professionale, contrastando la discriminazione di genere in ogni ambito lavorativo per garantire alle donne di crescere nella vita, nella società e nel lavoro e che il merito impone, come condizione preliminare per fare crescere l’umanità intera, i diritti e la sua civilizzazione oltre il PIL e con il BES-benessere, equo e sostenibile.

Per una donna al centro di una società resiliente e adattativa capace di fronteggiare condizioni di perma-crisi come co-attore mobilitante emozioni positive e sentimenti morali di un costruttivismo empatico nell’etica della responsabilità per una Governance post-razionale di sistemi complessi non-lineari. La Francia ha scelto e ciò avrà impatti anche sul voto di giugno e sulle società occidentali (e anche nelle emergenti) in Europa e nel mondo.

Perché la Storia può cambiare nella consapevolezza e nell’inclusione con l’ottimismo della volontà e con motivazioni ispirate da un forte spirito di condivisione e dato che non possiamo aspettare il 2090 per raggiungere la parità di genere (World Economic Forum), essenziale a migliorare il mondo, a renderlo più stabile e pacifico, più accogliente.


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Commenti

Una risposta a “LA FRANCIA E LA “SCELTA DELLE DONNE” IN COSTITUZIONE”

  1. Avatar Stagnaro luigi
    Stagnaro luigi

    Ottimo