CARMINE FOTIA
L’Assemblea costituente del “nuovo” movimento 5 stelle era stata preparata con cura per consacrare Giuseppe Conte come nuovo Capo di un partito che supera l’adolescenza per diventare “adulto”, come ha titolato il giornale-faro del Movimento,ll Fatto Quotidiano. Tutto quadrava, dalla scenografia di un blu rassicurante fino all’annuncio dato personalmente dallo stesso Conte del raggiungimento del quorum senza il quale la modifica più importante approvata dalla maggioranza, l’abolizione della figura del garante, ovvero l’eliminazione del fondatore Beppe Grillo, non sarebbe stata valida.
Invece, non è andata esattamente come i corifei contiani pensavano.
Il Grillo Parlante ha schivato il colpo di Giuseppi Pinocchio e ha ribaltato il tavolo chiedendo, come è nelle sue prerogative, che si ripeta il voto, e la nuova votazione è stata fissata per l’otto dicembre. La speranza di Grillo è che coloro che hanno votato contro le modifiche scelgano questa volta di non partecipare al voto inficiandone cosà la validità, Conte spera ovviamente che avvenga il contrario.
Comunque vada non sarà un esito indolore: se vincerà Grillo, Conte lascerà il Movimento per fondare un suo partito. Se, come è probabile, vincerà Conte, Grillo disseminerà il suo cammino di mine, e gli scontenti cercheranno alloggio altrove se ci sarà una lista grillina, o nell’astensione. La storia del Movimento in grado interpetrare la rabbia e il disagio fino a raggiungere il 30% è comunque finita.
Quell’esperimento pensato da Grillo e Gianroberto Casaleggio come uno Tsunami che avrebbe dovuto travolgere la democrazia parlamentare in nome della democrazia diretta (“l’uno vale uno”) è diventato un venticello e nel frattempo la maggioranza di chi li votava e che rifiutava destra e sinistra, è rifluita prevalentemente nell’astensione. È interessante notare come la parallela crisi della Lega riveli come la somma dei due populismi che hanno rappresentato quasi metà dell’elettorato e che si sono alleati nel governo giallo verde guidato da Conte. oggi non rappresenti neppure il 20%.
La crisi parallela dei due populismi è indubbiamente un fatto positivo, anche se la fuga dal voto restringe la rappresentanza, come è positivo che si vada verso un bipolarismo fondato su due perni, il Pd e FdI. Si tratta tuttavia di un bipolarismo asimmetrico, poiché mentre a destra la coalizione è abituata a convivere tra alti e bassi da decenni e accetta la leadership di un capo, Silvio Berlusconi prima Giorgia Meloni oggi, a sinistra lo scenario è molto caotico.
I numeri dicono che Elly Schlein ha conquistato in modo inequivocabile la leadership, ma esercitarla su alleati riottosi è tutt’altro discorso. I fatti e la logica dovrebbero spingere all’unità ma il nuovo partito di Conte è il principale ostacolo su questa strada.
Intanto perché pensa di essere stato uno dei più grandi statisti del secolo, disarcionato da un “gombloddo” dei poteri forti di tutto il mondo, per cui l’idea di appoggiare un governo che non sia guidato la lui gli fa venire l’orticaria. Per questo, dopo aver governato con tutti (tranne FdI), ha coniato una definizione “progressisti indipendenti” che è una supercazzola di terzo livello in quanto non significa assolutamente nulla, ma che indica la volontà di scardinare il campo progressista scavalcando il Pd ora a destra, ora a sinistra. Pronto a cavalcare la linea dura sui migranti e l’ultrapacifismo sull’Ucraina, l’antieuropeismo e l’anti-politica. Separandosi da Grlllo, Conte non può presentarsi come il restauratore della vecchia politica, un “gesuita” come lo ha definito il Fondatore e quindi sfuggirà ad ogni alleanza strutturale preferendo la logica del Contratto di governo da cui nacque lo scellerato governo gialloverde.
Dal punto di vista elettorale secondo me è un calcolo sbagliato per due ragioni. La prima è che dopo la rottura con Grillo l’appeal sull’elettorato astensionista del nuovo Movimento è secondo me assai scarsa: se hanno abbandonato il movimento perché aveva perso sua carica “rivoluzionaria” perché dovrebbero tornare a votare per chi ha guidato la restaurazione? La seconda è che a destra lo spazio antipolitico è presidiato da Vannacci mentre a sinistra Avs sembra in buona salute. In Italia lo spazio per una forza “rossobruna” come il Bsw di Sahra Wagenknecht, non a caso unica politica invitata alla kermesse contiana, è residuale.
Se il Pd inseguisse la crisi del M5S e le giravolte di Conte, sarebbe un bel guaio. Il Pd e suoi alleati vincono solo se sanno trasmettere l’idea di una forza di governo che propugna riforme per la crescita, misure a protezione dei più deboli, con una classe dirigente competente e popolare.
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