LA COSTITUZIONE E LA RESISTENZA

Sono trascorsi quasi 80 anni da quel lontano 1944, quando nei territori che le formazioni partigiane strappavano al controllo delle milizie fasciste e dei nazisti occupanti venivano proclamate repubbliche che duravano poco, talvolta solo alcuni giorni, prima che i nazifascisti riassumessero il controllo della zona. Furono le prime esperienze politiche di un Paese che anelava alla libertà dopo il ventennio fascista e per il quale la democrazia era solo un lontano ricordo.

È proprio per questo che quei tentativi di costituire un nuovo ordine politico e sociale sono così importanti: nella carta dei principi, nei documenti programmatici di quelle micro-repubbliche (la più grande, quella dell’Ossola, non arrivava ad 80.000 abitanti) si trovano le radici della carta costituzionale che nel 1946 l’Assemblea costituente della neonata Repubblica Italiana sarà chiamata a redigere.

Ciò deriva non solo dalla presenza nell’Assemblea di parecchi di coloro che avevano partecipato a quella esperienza (basterà ricordare Umberto Terracini, che ne fu il primo presidente) ma anche dai principi proclamati e messi in atto in quelle esperienze di governo, primo fra tutti quello della libertà di parola e di pensiero: oggi può sembrare la cosa più normale del mondo manifestare in qualsiasi modo (la parola, la stampa, la comunicazione digitale) il proprio (eventuale) dissenso dalle decisioni delle pubbliche autorità, ma nei ventidue anni precedenti quel lontano 1944 ciò era stato formalmente vietato o represso con gravi sanzioni, quando non con la morte, come nel caso di Giacomo Matteotti, di cui ricorre quest’anno il centenario della uccisione.

Analogamente accadde per i diritti politici: le decisioni di carattere locale vennero demandate, dove furono ricostituite le amministrazioni locali come nella Repubblica dell’Ossola ed in quella di Montefiorino, alle assemblee dei capi famiglia. Fino alle ultime elezioni politiche svoltesi nel 1924, prima della legge elettorale fascista del 1929, le donne non avevano diritto al voto così come non lo ebbero durante il regime fascista: solo con la Repubblica dell’Ossola, della cui Giunta provvisoria di governo fece parte una donna (Gisella Floreanini) o con quella di Montefiorino, dove le donne potevano partecipare all’assemblea quando i capofamiglia erano assenti: si iniziò ad affermare quella parità dei diritti politici tra uomini e donne che fece il suo ingresso nell’ordinamento già nel 1946 quando si trattò di eleggere l’Assemblea costituente.

Altro punto qualificante delle repubbliche partigiane fu l’importanza attribuita alla cultura, con la proposizione ad essa di un membro della giunta di governo: in quella dell’Ossola fu il parroco don Luigi Zampetti. In quella di Montefiorino l’allora giovanissimo partigiano socialista Franco Boiardi, studente, fu nominato bibliotecario della Repubblica con l’incarico di custodire e salvaguardare la biblioteca comunale. In modo analogo si procedette nelle altre repubbliche partigiane che ebbero più lunga esistenza.

In quelle esperienze di governo va ricercata anche la matrice fortemente autonomista che caratterizzò poi la Costituzione della Repubblica: fu il momento della repulsione verso lo Stato accentratore, caratteristica peraltro comune allo Stato prefascista e a quello fascista, in nome dell’autonomia locale e dell’autogoverno delle comunità locali, COME sarà poi sancito in Costituzione (art. 117, 118 e 128).

Altro punto di riflessione è il dibattito, talora vivace, all’interno delle formazioni partigiane e talora delle giunte di governo, specie quando esse, come nel caso della Repubblica dell’Ossola non erano espressione del C.L.N. ma dell’autonomia delle brigate partigiane che avevano occupato la zona. Il confronto, spesso aspro, come a Montefiorino, dove la presenza di un commissario politico accanto al comandante militare (Mario Ricci, nome di battaglia Armando, comunista) non fu pacificamente accettata dai capi delle formazioni non comuniste e la elezione degli amministratori comunali fu occasione di vivaci dibattiti tra i capi famiglia chiamati ad eleggerli ed aventi riferimenti politici diversi.

Tuttavia a Montefiorino, come nella Repubblica dell’Ossola ed in altre repubbliche partigiane l’avvio del confronto, e talvolta dello scontro, politico ebbe non solo l’effetto negativo di determinare una scarsa omogeneità di governo ma anche, e forse soprattutto, quello positivo di avviare quel dialogo politico tra forze politiche che fu poi la premessa per la formazione dei governi del dopoguerra, da quello di Ferruccio Parri (1945) al quarto governo De Gasperi (1947), quando le forze politiche di sinistra (comunisti e socialisti) cessarono di far parte della maggioranza parlamentare in conseguenza del mutato scenario politico internazionale.

Anche sotto profilo l’esperienza delle repubbliche partigiane, oggi quasi totalmente dimenticate, ha avuto la sua rilevanza storico-politica: come scrisse nel 1959 Aldo Moro in una lettera per il quindicesimo anniversario della Repubblica dell’Ossola (ma la validità delle sue affermazioni può essere estesa ad altre esperienze analoghe) essa “ebbe un indiscutibile valore politico in quanto rivelò la carica spontanea dei valori civili del movimento resistenziale che non esauriva il suo impegno nella lotta per la liberazione della Patria dallo straniero, ma esprimeva l’aspirazione ad un ordine nuovo nella società, secondo le naturali vocazioni popolari alla democrazia che la dittatura fascista non era riuscita a distruggere”.

Moro coglieva nel segno: l’Italia repubblicana nacque dalle ceneri della lotta di liberazione di cui le repubbliche partigiane furono un punto qualificante. Gli uomini che ne furono gli artefici, da Aldo Aniasi, comandante la Brigata Redi, futuro sindaco di Milano, deputato e ministro, a Piero Malvestiti, anche lui futuro deputato e vice presidente della Comunità Europea, anche loro operanti nella stessa zona, da Ermanno Gorrieri futuro ministro, comandante di una brigata a Montefiorino, a Mario Lizzero, futuro deputato, comandante della brigata Garibaldi protagonista della repubblica partigiana della Carnia. “Ne valeva la pena”, come scrisse Aldo Aniasi nel 1997 nella introduzione al volume che evocava l’esperienza della Repubblica dell’Ossola (“Ne valeva la pena” è anche il titolo del volume riferendosi a tutta la guerra di liberazione). Aveva ragione: tornare indietro nel tempo, se qualcuno tenterà di farlo, sarà molto difficile. Gli italiani il prezzo della libertà lo hanno già pagato.


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