IL CONTADINO SIGNORE

Da molti Amici sono stato sollecitato a scrivere qualcosa per ricordare una figura importante della mia famiglia, che per il suo impegno nel sociale ha lasciato di sé una traccia indimenticabile nella memoria di chi lo ha conosciuto Non l’ho mai fatto in passato, ora ringrazio per l’invito e sciolgo questo antico debito di affetto, convinto come sono che rammentare un po’ il passato è come salvare le proprie radici, senza le quali non vi è né presente né tantomeno un futuro.

Colui del quale parlo è il mio nonno materno Antonio Luigi La Piccirella, personalmente discendente da una famiglia di onesti operai. Egli è nato il 9 marzo 1883 ed è morto il 18 novembre 1938. Andando per curiosità un po’ a ritroso nel tempo, probabilmente, secondo alcune ricerche storiche, il Casato La Piccirella è da identificare con quello dei Piccirilli/Piccirillo, che figura nel Cedolario del Molise come Marchese del feudo di San Giovanni a Frosolone (ceppo sannitico) con Regio Privilegio del 24 aprile 1717.

Comunque, ritornando alla concretezza del nostro caso, il paesino che diede i natali al nonno è San Paolo di Civitate in provincia di Foggia (allora contava circa 4000 abitanti), erede della storica Città di Civitate (Tiati/Teate, Teanum Apulum e poi Civitas Traiana = dipendente direttamente dall’Imperatore Traiano), dalla quale con Decreto Regio del 26 ottobre 1862 San Paolo prese poi il nome. Civitate, a cui faceva capo la Via Traiana-Frentana, risale al I millennio a. C. e un tempo è stata crocevia di strategici snodi culturali e commerciali, di cospicui possedimenti terrieri da parte dei Templari e di Federico II, adorna di un ampio anfiteatro (I-II sec. d. C.) portato finalmente alla luce nel 2020, Capoluogo della Capitanata dal 1059 al 1189 e campo di scontro presso la località Tre Fontane nella famosa battaglia del 18 giugno 1053 fra l’Impero, il Papa Leone IX e i Normanni.

Questi ultimi alla fine ebbero la meglio e per qualche secolo dominarono sull’Italia Meridionale, avendo come Capitale prima Melfi, poi Palermo. Come al momento dell’esodo degli abitanti da Civitate per l’aria insalubre dovuta al fiume Fortore verso la vicina San Paolo (1560-1570) accolti dal barone Don Cesare Gonzaga, allora come oggi la cittadina aveva e conserva ancora in buono stato l’antico Castello, una volta proprietà appunto della celebre famiglia dei Gonzaga (in esso è nato chi scrive), e una Chiesa (San Paolo) con la vecchia cripta a loculi verticali nella quale le funzioni religiose vennero celebrate dal 17 gennaio 1573 con il rito greco-ortodosso.

Nella stessa cittadina aveva la sua dimora estiva il Vescovo di San Severo, nella cui omonima Città il 9 marzo 1580 con Bolla di Papa Gregorio XIII venne trasferita la Sede Episcopale da Civitate, onorata questa un tempo dalla presenza di ben 44 Vescovi succedutisi su quella autorevole Cattedra nel corso dei secoli. Del resto lo stesso Papa Bonifacio VIII nella Bolla “Superni roris” del 9 luglio 1295 ricordava chiaramente il prestigio della “Diocesi di Civitate”, dalla quale peraltro dipendevano, fra gli altri centri abitati, anche i “castra” (Castelli) di Sant’Andrea, Torremaggiore e della stessa San Severo.

È in un simile vivace contesto storico-geografico che si è sviluppata la vicenda umana di mio nonno, oltre che in quello di qualche decennio prima che registrò la nomina del Parroco di San Paolo Mons. Giuseppe Maria Mucedola (1807-1865) a Vescovo di Conversano-BA (1849-1860: dopo qualche secolo l’unico originario della Diocesi). Come Presule Egli fu contrario al dogma dell’Infallibilità Pontificia proposta (o imposta) dal Papa Pio IX e solennemente poi definita al Concilio Vaticano I (1869-1870): peraltro fu anche uno dei pochissimi Prelati del Sud a essere un convinto patriota e anche lui proveniente da una famiglia povera sampaolese (padre operaio e madre casalinga).

Tornando, dunque, al nonno devo dire che personalmente non l’ho mai conosciuto, essendo io nato qualche anno dopo la sua scomparsa. Il ricordo di quello che è stato e ha compiuto mi è stato trasmesso direttamente da mia madre Leontina La Piccirella e da alcuni altri parenti.

Il nonno era un uomo di bell’aspetto, dal carattere severo, ma schivo, mite, generoso, di fede schiettamente socialista, un contadino ben consapevole delle sofferenze di questa classe sociale, soprattutto di quella bracciantile, all’epoca dipendente e sfruttata dai ricchi latifondisti spesso ingordi e avari nell’ingaggio quotidiano (così allora si chiamava) con la relativa bassa paga che veniva data a fine settimana.

Ricordo ancora il loro sciamare al tramonto curvi con la zappa sulle spalle stanchi e affamati ritornare dalla campagna a casa, sulla cui tavola molto raramente si notava un po’ di carne ma più frequentemente solo un piatto di acquasale (pane bagnato condito con olio, origano, pomodoro e sale), mentre a sostenerli durante il giorno erano unicamente un tozzo di pane, un pezzo di formaggio e un po’ di vino avvolti in un fazzoletto nel tascapane.

Mio nonno possedeva e coltivava un piccolo appezzamento di terreno (pochi metri quadrati in verità) ricevuto in eredità dai genitori su Via San Severo nell’area denominata Trentino: qui seminava un po’ di grano i cui magri frutti che si raccoglievano a giugno servivano poi al sostentamento della sua numerosa famiglia allora saggiamente governata dalla paziente presenza della nonna Giovannina La Mola.

Per qualche tempo negli anni ’20, a causa delle tante ristrettezze economiche seguite alla Prima Guerra Mondiale, come per molti era consuetudine allora, anche il nonno emigrò in cerca di fortuna negli Stati Uniti, considerati all’epoca la Terra Promessa del Sogno e della Libertà, e per lavorare soggiornò a Baltimora (Stato del Maryland): fu qui che ebbe modo di conoscere la situazione di penosa emarginazione alla quale erano relegati gli stranieri. Ritornato in Italia, per la sua spiccata sensibilità e come scelta di vita decise di dedicarsi a difendere dai soprusi la condizione molto precaria dei contadini vista come una condanna alla subumanità, cercando in tutti i modi di aiutarli a risollevarsi nella propria dignità e adoperandosi con ogni mezzo a venire incontro alle loro necessità (disbrigo di pratiche pensionistiche…) tanto da essere voluto così bene e rispettato in paese per il suo carisma e l’enorme seguito di cui godeva da meritarsi l’appellativo proprio dei Signori, lui contadino, di “Don Antonio”. Aveva fondato l’allora Camera del Lavoro del luogo natale e contribuì a creare anche quella di Foggia.

Quando il Duce passava dalle nostre parti per motivi di sicurezza mio nonno veniva prelevato e tenuto in custodia nel carcere, egli Persona pacifica e incapace di fare del male neanche a una mosca. La sua casa a San Paolo (in Via Tellini), pur modesta (un solo vano), era il luogo nel quale venivano accolti e ospitati i socialisti delle vicine contrade, soprattutto il più famoso fra essi, il Deputato socialista del tempo l’On. Avv. Leone Mucci di San Severo (1874-1946), difensore dei poveri della Provincia con il patrocinio gratuito nonché nel Parlamento Italiano e negli Stati Uniti anche dei due notissimi anarchici Sacco e Vanzetti. Non si sa se tramite quest’ultimo il nonno ha avuto modo di conoscere il famoso sindacalista di Cerignola Giuseppe Di Vittorio, iscritto al PSI fino al 1924 (passato poi al PC d’I) e eletto al Parlamento nel 1921, mentre Leone Mucci lo era già dal 1919 e, come antifascista, nel 1926 venne poi confinato a Lampedusa prima e a Lipari dopo.

Pur di distoglierlo dalla sua radicale e sincera fede socialista il regime fascista dell’epoca nei suoi esponenti locali tentò con lusinghe tutti i mezzi per corromperlo e portarlo dalla sua parte: gli promise infatti in regalo una casa dignitosa, una mezza versura di terreno (=1/2 circa di ettaro), la garanzia di una buona dote per i figli e l’incarico pubblico di Comandante dei Vigili Urbani del paesino. Il nonno rifiutò l’offerta rispondendo testualmente: “Vi ringrazio, ma io sono nato povero e povero intendo morire”.

E così fu, pur avendo cinque figli da sfamare e sistemare: quatto femmine e un maschio. Infatti, in seguito al ricovero per una grave malattia, morì povero e solo il 18 novembre 1938 presso l’Ospedale di Foggia e nel cimitero di quella Città venne poi sepolto: all’indomani del famigerato e sciagurato Patto di Monaco (9 novembre) e del Decreto sulle Leggi Razziali in Italia (17 novembre). Anche il suo grande Amico e Maestro, l’On. Leone Mucci, pupillo di Filippo Turati, morì a Foggia il 18 dicembre 1946 povero e solo in una stanza misera e disadorna e venne tumulato a San Severo. Strano gioco delle coincidenze?

La vita del nonno fu esemplare, forse unica nel suo genere, fedele alla sua coscienza, di luminosa coerenza con le sue idee, di abnegazione verso se stesso, dedita completamente al servizio degli ultimi: sicuramente sprovvisto di risorse materiali fu ma assolutamente ricco di nobiltà d’animo e di onestà e soprattutto libero da paure e ricatti. Tutti, ancora oggi, lo ricordano così. Certamente è stato, come si dice, un Uomo di altri tempi, per sobrietà però minimamente aduso alla pratica diffusa delle tante vuote, stupide e talora sciatte sceneggiate di varia natura tipiche dei nostri giorni, una Persona che, pur nella frugale semplicità del suo vivere, ha lasciato di sé un esempio e una traccia indelebile di profonda stima per la sua integrità morale e di gratitudine da parte di tutti per la umana generosità nel procurare il bene ai più dimenticati,

Un tempo tra le famiglie povere si divideva il pane in segno di fraternità, come i discepoli di Emmaus “riconobbero Gesù allo spezzare il pane” (Vangelo di Luca, cap. 24, vss. 35). Oggi? Rara avis sub Iove! Con tutta poi l’incapacità e corruzione dilaganti e, purtroppo, dominanti!

Mi piace qui concludere questi brevi ma intensi ricordi familiari con alcuni pensieri tratti da tre noti illustri personaggi: M. Gandhi (1869-1948), Honoré de Balzac (1799-1850: scrittore francese) e Ch, Bukovski (1920-1994: poeta statunitense). Diceva Gandhi: “La povertà è la peggiore forma di violenza”. H. de Balzac: “Di generosi non ci sono che i poveri”. Bukovski: “Solo i poveri conoscono il significato della vita”.

Credo che a questo riguardo non ci sia più altro da aggiungere: prima di ogni riforma ci vorrebbe solo il recupero della dignità nelle coscienze e nulla più! Il resto verrebbe di conseguenza. Ci sarà? Chissà! Sta il fatto che i Veri Uomini sanno giocare e terminare la partita (o la fatica) del vivere nel Silenzio, lontani dai rumori: a raccontarli rimangono unicamente le loro Opere!


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