GIORGIO PRIMO

Antifascista, Comunista, Amendoliano, Migliorista, Riformista, Europeista (convinto molto più di altri), poi uomo chiave della svolta della Bolognina, Presidente della Camera, primo ex PCI a ricoprire la carica di Ministro degli interni, infine Presidente della Repubblica, il primo a farlo per due volte consecutive.

Rigoroso fino all’intransigenza sui principi, pragmatico nella amministrazione, Giorgio Napolitano ha speso la sua vita nella politica e per la politica fino a diventarne un protagonista assoluto, mantenendo il profilo ed la postura istituzionale dello statista del 900 anche nelle temperie del nuovo secolo.

Come tanti grandi statisti capaci di stare nelle cose del contemporaneo il personaggio è controverso. Giorgio Napolitano è uno dei protagonisti della lunga serie di passaggi politici che portano il primo partito della sinistra in Italia dal PCI al socialismo europeo, (cito qui tra l’altro il titolo di una sua biografia pubblicata da Laterza nell’anno della sua prima elezione a presidente). E delle contraddizioni di quella esperienza politica che ha visto la crescita tumultuosa del nostro paese dal dopoguerra fino agli anni 80 e poi il lento declino dal ’90 ad oggi.

Il Napolitano alto dirigente di Botteghe Oscure e ministro ombra degli esteri del PCI era il comunista preferito di Henry Kissinger. Il Napolitano Presidente della Repubblica diventa Re Giorgio, incoronato nel dicembre 2011 dal New York Times che gli dedica l’ambito profilo del sabato del quotidiano newyorkese, riconoscendogli il merito di aver “orchestrato uno dei più complessi trasferimenti politici dell’Italia del dopoguerra”.

Una performance “impressionante dato che la presidenza italiana è largamente simbolica, senza poteri esecutivi” scrivono oltreoceano, sinceramente ammirati dall’abilita dell’allora Presidente, o meglio di “Re Giorgio primo”.

Napolitano per l’Europa e l’occidente diventa in quegli anni un garante chiave della stabilità politica, in tempi che sono decisamente instabili. Il ruolo avuto da Napolitano nei giorni della crisi del governo Berlusconi e della successione affidata a Mario Monti lo posiziona al centro della scena pubblica mondiale. “Re Giorgio” chiosa il New York Times è capace di guidare “la nave dello Stato con la sua tranquilla abilità, mentre Monti e la sua squadra di tecnocrati si assumono la difficile sfida di modernizzare la scricchiolante economia italiana”.

Il Napolitano “interventista” convinto della necessità di garantire stabilità a tutti i costi è però anche quello dei governi tecnici appoggiati da partiti al minimo storico della loro credibilità in tempi di crisi e turbolenze economiche e sociali.
Con il senno di poi è fin troppo facile osservare come la stagione della tecnocrazia coincida fatalmente con quella della fase declinante del neoliberismo, e che proprio la stagione della tecnocrazia e dei premier non eletti dai cittadini sia una delle cause della reazione e della lunga stagione del populismo in Italia.

Comunque la si pensi, Napolitano resta un presidente forte, e fortemente popolare. E soprattutto uno straordinario interprete del suo tempo, magistrale nel cogliere la complessità del cambiamento e nel governarne i conflitti e le evoluzioni. Probabilmente piaceva molto di più ai suoi avversari che ai suoi alleati, del resto la politica è la grande “arte del possibile”.

PS

Di seguito l’estratto di un discorso di Giorgio Napolitano che sembra scritto oggi…..

“Dobbiamo considerare la crisi come grande prova e occasione per aprire al paese nuove prospettive di sviluppo. E’ una grande prova e occasione non solo per l’Italia. La portata della crisi è tale da richiedere imperiosamente il massimo sforzo di concertazione tra i protagonisti dell’economia mondiale, per definire nuove regole capaci di assicurare uno sviluppo sostenibile, ponendo fine alla frenesia finanziaria che ha provocato stravolgimenti e conseguenze così gravi. Il mondo in cui viviamo è uno, e come tale va governato.

Per l’Italia, la prova più alta – in cui si riassumono tutte le altre – è quella della nostra capacità di unire le forze, di ritrovare quel senso di un comune destino e quello slancio di coesione nazionale che in altri momenti cruciali della nostra storia abbiamo saputo esprimere. Ci riuscimmo quando dovemmo fare i conti con la terribile eredità della seconda guerra mondiale : potemmo così ricostruire il paese, far rinascere la democrazia, stipulare concordemente quel patto costituzionale che è ancora vivo e operante sessant’anni dopo, creare le condizioni di quella lunga stagione di sviluppo economico e civile che ha trasformato l’Italia. E ci riuscimmo ancora quando più tardi sconfiggemmo il terrorismo.

Dobbiamo riuscirci anche ora, a partire dall’anno carico di incognite che ci attende. Ed è una prova non solo per le forze politiche, anche se è essenziale che queste escano da una logica di scontro sempre più sterile. Esse possono guadagnare fiducia solo mostrandosi aperte all’esigenza di un impegno comune, ed esprimendo un nuovo costume, ispirato davvero e solo all’interesse pubblico. E’ una crisi senza precedenti come quella attuale che chiama ormai a un serio sforzo di corresponsabilità tra maggioranza e opposizione in Parlamento, per giungere alle riforme che già sono all’ordine del giorno e che vanno condivise.

Tutto ciò è importante e tuttavia non basta. Sono chiamate alla prova tutte le componenti della nostra società, l’insieme dei cittadini che ne animano il movimento, in una parola l’intera collettività nazionale. Questo è lecito attendersi dalle generazioni che oggi ne costituiscono la spina dorsale : un’autentica reazione vitale come negli anni più critici per il paese.

Lo spirito del mio messaggio – italiane e italiani – corrisponde alla missione che i padri della Costituzione vollero affidare al Presidente della Repubblica : unire gli italiani, rappresentando i valori in cui possono riconoscersi tutti i cittadini. I valori costituzionali, nella loro essenza ideale e morale. Il valore, sopra ogni altro, dell’unità nazionale. I valori della libertà, dell’uguaglianza di diritti, della solidarietà in tutte le necessarie forme ed espressioni.” Giorgio Napolitano. Discorso di fine anno del 31 Gennaio 2008.


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