“Fascismo” e “Comunismo”, sono messi qui tra virgolette e con la maiuscola a segnalare che per ora li useremo soltanto in riferimento alle aree di pensiero che rappresentano e non, come faremo successivamente, come realtà storicamente esistite e, forse, ancora esistenti.
Si tratta di due universi teorici che hanno alle spalle e portano con sè riflessioni e culture spesso di alto e significativo livello.
Ogni campo presenta e schiera filosofi e artisti, storici ed economisti, scrittori e letterati di livello. Entrambi sono stati capaci di esistere e resistere nel corso del tempo, affrontando gli avversari e non rischiando mai di estinguersi davvero.
Soprattutto, però, entrambi questi sistemi di dottrine e valori sono stati caratterizzati da una valenza non legata a una specifica Nazione.
Al contrario, sono stati percepibili e percepiti (e ovviamente anche contrastati) in tutto il mondo, generando discendenti molto più identificati in un contesto territoriale.
In questo senso è corretto sostenere che la dottrina fascista, con tutto il corredo teorico che porta con sé è ancora viva.
Allo stesso modo, e forse anche con una strumentazione teorica di base maggiore, è viva ed ancora capace di attirare l’attenzione quella comunista.
Insomma, quando si sente qualche sincero democratico esclamare con preoccupazione “Il fascismo è ancora vivo!” occorrerebbe rispondergli “Sì, ma anche il comunismo!” e poi iniziare a ragionare su quale delle due dottrine abbia fatto, sia pure non direttamente. più danni all’umanità.
Già, perché le due dottrine sembrerebbero contrapposte e nemiche in maniera assoluta e nessuno sembra ricordarsi che da esse nacquero, per percorsi differenti, quei regimi che Gustaw Herling definì “i gemelli totalitari”.
Il passaggio dalla bellezza della dottrina alle contraddizioni della Storia non è mai né gradevole né facile.
Ciononostante, in questo caso esso appare necessario e, ritengo, dirompente.
Fortunatamente non sempre è così. Nel caso del percorso della Chiesa di Roma, per esempio, vi sono molti passaggi storici che appaiono in contraddizione con la dottrina e l’insegnamento della stessa Chiesa.
Ma né le Crociate, né l’uccisione della povera Ipazia di Alessandria, né la Santa Inquisizione (pur massimamente riprovevoli) appaiono in grado di indebolire e colpire al cuore la Dottrina Cristiana.
Esse sembrano piuttosto deviazioni da condannare, superare e di cui chiedere semmai perdono.
Si collocano, insomma, in quel punto drammatico in cui i pur validi principi incontrano le strettoie della Storia insieme alle debolezze e limiti dell’animo umano.
Ma se torniamo alle due dottrine che hanno dominato il “secolo breve” e i cui effetti continuano a manifestarsi attualmente il discorso si fa differente.
Occorre spostarsi dal terreno dei sacri principi e scendere su quello dei regimi che ad essi si sono ispirati e, ahimè, continuano a farlo.
Di fronte alle bandiere rosse che sfilano per le vie di Pechino e alla sanguinaria dittatura del Partito Comunista Cinese la reazione degli ancora credenti è di sostenere che essi non sarebbero in realtà comunisti.
È un passaggio teorico affascinante e molto diffuso.
Ma se uno si definisce “comunista”, usa tutta la simbologia e il linguaggio di quella dottrina, governa in maniera ferrea in nome di quei principi, chi sono io per dirgli che non è un comunista, un “vero comunista”?
Ancora, se la auto – definizione non fa certezza perché dovrei invece riconoscere che quattro esagitati giovanotti che si autodefiniscono fascisti sono pericolosi e vanno bloccati immediatamente?
Dovremmo cercare di metterci d’accordo.
Parliamo di dottrine o di realtà effettiva?
Nella realtà dei processi storici la differenziazione fra regimi fascisti e comunisti risulta, guardandola senza prevenzioni ideologiche, assai minore di quanto la retorica politica abbia fatto per molti anni.
Sono cose note, ma che raramente vengono però abbinate in una riflessione unitaria.
Il 7 febbraio del 1924 il regime fascista riconosceva (Italia prima Nazione in Europa) l’Unione Sovietica e Mussolini rivendicava di avere sostenuto questa opzione prima ancora della conquista del potere.
Nonostante ciò molti dirigenti e militanti comunisti italiani scelsero ,insieme a socialisti, liberali e cattolici, di opporsi al regime fascista e pagarono le conseguenze della loro scelta.
Gramsci, Terracini e Paietta sono solo i primi nomi che vengono alla mente.
Non così, però, si valutava a Mosca.
Mentre gli italiani (un popolo di reclusi, condannati all’entusiasmo) festeggiavano la conquista dell’Abissinia dall’Hotel Lux di Mosca Palmiro Togliatti scriveva una lettera ai fratelli italiani in camicia nera.
“Noi comunisti facciamo nostro il programma fascista del 1919 che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori; camicie nere ed ex combattenti e volontari d’Africa Vi chiediamo di lottare uniti per la realizzazione di questo programma.
Noi proclamiamo che siamo disposti a combattere assieme a voi fascisti della vecchia guardia e giovani fascisti per la realizzazione del programma fascista del 1919 e per ogni rivendicazione che esprima un interesse immediato particolare o generale dei lavoratori e del popolo italiano.”
E del resto, dovevano passare tre anni e il regime comunista avrebbe firmato il famigerato patto Molotov – Ribbentrop.
In virtù di esso l’inizio della II Guerra Mondiale vedeva Nazismo e Comunismo uniti nella invasione della Polonia, la sua spartizione e la successiva avanzata sovietica verso il nord Europa.
In virtù del Patto i russi avrebbero boicottato apertamente la Resistenza Polacca e ributtato nelle mani delle SS ebrei e non ebrei che cercavano disperate vie di fuga.
In virtù del Patto i comunisti inglesi e francesi furono solidali con la Germania nazista e si schierarono contro di essa solo quando Hitler (tuttora incomprensibilmente) aggredì anche il suo fedele alleato Iosif Stalin.
Il quale, giusto per non mancare al suo personaggio, fece fucilare alcuni eroici comunisti tedeschi che lo avevano raggiunto per avvertirlo delle vere intenzioni dell’alleato Adolf.
Insomma, la distanza fra i principi (o le dottrine) e la Storia talvolta è veramente immensa!
Quindi, cosa possiamo dire oggi?
Che le dottrine vivano, come materia di studio, di fascino ed anche di adesione ideale è normale e, a mio parere, anche profondamente giusto.
Se però cambiamo il livello, dobbiamo essere corretti con noi stessi prima di tutto.
Il fascismo, grazie a Dio, è morto e per ora non ha alcuna possibilità di risorgere.
Il comunismo opprime e sfrutta una gran parte dell’umanità, svelando tragicamente i suoi empirici fini e cercando forme, anche aggressive, per estendersi ulteriormente.
È difficile pensare che chi guarda alla realtà e non alle filosofie non se ne renda conto, ma sembra purtroppo che la nostra cosiddetta classe politica non riesca ad accettarlo.
Il rifugio negli slogan è, di tutta evidenza, troppo comodo e attraente.
Per finire, per gli appassionati di filastrocche, a seguire il ritornello del titolo nella sua completezza:
Fascisti e comunisti giocavano a scopone
Hanno vinto i fascisti con l’asso di bastone
SEGNALIAMO
Commenti
2 risposte a “FASCISTI E COMUNISTI GIOCAVANO A SCOPONE”
È un classico esempio di superficialità. Non si indicano i fondamenti dei due movimenti per fermarsi solo su alcune realtà locali.
Ringrazio il lettore Leo per l’osservazione che in parte condivido.
Ho voluto tenere il discorso su due livelli (quello “ideologico” e quello “storico” perché non mi andava che sembrasse un attacco anticomunista punto e basta.
Ho cercato di mettere in rilievo come si tratti di dottrine con una peculiare forza iniziale che è assai maggiore in quella comunista.
Mi spiace aver dato un classico esempio di superficialità e sono pronto a riparare.
Voglio tuttavia osservare che gli episodi storici (alcuni fra i tanti) non sono affatto locali.
La collaborazione fra i due regimi è stata costante e va considerata strutturale. In essa si inserisce la mancata liberazione di Gramsci, la repressione degli antifranchisti in Spagna e tante altre aberrazioni che hanno visto i “gemelli totalitari” all’opera assieme.
Togliatti si scontrò duramente con Paietta e Amendola a questo proposito, riproponendo quei passaggi come fatti locali e tattici.
Comunque, quando il lettore voglia, sono a disposizione x approfondimenti