Perché Sraffa si rifiutò di consegnare la corrispondenza di Gramsci
Quattordici/C Clio Storia del presente

Salvatore Sechi
Docente universitario di storia contemporanea
Perché Sraffa si rifiutò di consegnare la corrispondenza di Gramsci al Centro estero del PCI, dove si era rifugiato il gruppo dirigente comunista. Qui avveniva la delazione alla polizia politica sovietica dei comunisti e degli antifascisti non in linea. Sraffa l’ha a lungo ignorato? Questo l’interrogativo che pone Salvatore Sechi nel ricostruire il complesso rapporto fra Sraffa, Gramsci e il gruppo dirigente del PCI negli anni Trenta e in particolare dopo la morte del pensatore sardo.
27 ottobre 2024
Si può parlare di un’ambiguità, se non di un’incertezza, nell’orientamento politico di Piero Sraffa. Infatti, mentre opta per la soluzione più realistica degli aventiniani e di Filippo Turati, assoggetta ad una critica devastante le posizioni di Antonio Gramsci e del suo partito. Pensa di limitare il dissenso a questo episodio del 1924 dichiarando di essere d’accordo sul programma generale dei comunisti.
Non mi pare irrilevante il fatto che, per fare un esempio, all’inizio degli anni Trenta Sraffa si sia rifiutato di consegnare al Centro estero di Parigi (dove si era rifugiato il gruppo dirigente comunista) la corrispondenza con Gramsci ricevuta dalla cognata di quest’ultimo, Tatiana Schucht.
Insieme al giovane “compagno di strada” di Torino e Cambridge, anche lei – è bene tenerlo presente – ricevette dal partito comunista appena nato a richiesta di occuparsi dell’assistenza del segretario detenuto.
Lo svolgimento del rapporto fino alla morte di Gramsci, nell’aprile del 1937, fu ispirato alla maggiore solidarietà e generosità possibili, ma fu dettato in primo luogo da una decisione politica. Il che spiega la natura stretta, non occasionale, dei legami tra Sraffa e Tatiana Schucht da una parte, e il Partito Comunista d’Italia (PCd’I), dall’altra.
Di qui l’instaurarsi di quella che chiamerei “doppia lealtà”, grazie alla quale, alla fine, ad avere la meglio sarebbe stato Palmiro Togliatti. Si trattava di un compagno dirigente dalla fine degli anni Venti poco e nulla amato, se non addirittura esecrato, da Gramsci.
Ma a lui anche Sraffa non avrebbe negato il riconoscimento di avere reso possibile la pubblicazione dei manoscritti del carcere. In Italia prima che in Unione sovietica.
Da parte di Sraffa e Tatiana Schucht dal 1926 in avanti, se non si può parlare di adesione, ma non si può neanche dire che siano venuti segnali di insoddisfazione o, ancor peggio, di critica per le scelte politiche interne e internazionali di Mosca come il social-fascismo alla fine degli anni Venti e l’intesa tra Hitler e Stalin nel 1939.
La “comprensione” di queste terribili opzioni da parte loro non sembra diversa da quella che fu in voga tra compagni, militanti della stessa organizzazione.
Essendo una collaboratrice, insieme alle sorelle Giulia Schucht (la moglie di Gramsci) e Genia Schucht, del servizio segreto sovietico (Kgb), l’assunzione di una responsabilità ravvicinata sulla vita di Gramsci costituiva una garanzia anche per il Comintern.
Come dire, il sospetto (e l’accusa) di eterodossia con cui Mosca dal 1926 aveva cominciato a declinare il rapporto con Gramsci e i comunisti italiani era stato assoggettato ad un minuto controllo del compagno segretario. Esploderà nel 1941 con lo scioglimento del Comitato centrale del PCd’I e la sostituzione del segretario generale Ruggero Grieco col missus dominicus del Comintern Giuseppe Berti.
Altre sezioni subirono persecuzioni e condanne severissime (fino alla morte) dei propri dirigenti. Quella italiana potè eccezionalmente evitarle per una ragione precisa e terribile.
Alla fine, infatti, Togliatti non si lasciò dissuadere dall’obbligo di fornire alla polizia sovietica le biografie dei propri compagni e degli antifascisti non comunisti emigrati in Urss.1
Questa rivolta a Togliatti è un’accusa pura e semplice di delazione. Ma essa non ha mai formato oggetto di una campagna di stampa né è valsa a un accreditamento negativo del segretario del Pci.
Intendo dire che è entrato a far parte della cosiddetta “diversità” (cioè di una storia diversa, e positiva) dei comunisti italiani l’aver segnalato ai servizi sovietici i nomi e i curricula sia dei comunisti sia degli stessi antifascisti. In base alle quali saranno arrestati, deportati, torturati o uccisi.
Nessuno ha ritenuto di dover chiederne conto nel dopoguerra a Togliatti e ai compagni che come lui erano vissuti in Unione sovietica, come se fosse scontato che il Kgb non possa aver utilizzato queste informazioni per decidere della vita e della morte di centinaia di persone.
Mi pare anche doveroso domandarsi se sia pensabile che Sraffa, recandosi al Centro estero di Parigi ogni volta che tornava in Italia, non si sia ad un certo punto reso conto che era un sodalizio e un centro di spie, cioè faceva opera corrente, regolare, di delazione a favore della polizia politica sovietica.
Non è pensabile che Sraffa ignorasse che il materiale delle biografie personali e politiche fatto pervenire alle autorità moscovite sarebbe stato usato per punire “come si deve” l’eventuale scarso lealismo nei confronti di Stalin e del regime di ferro e di fuoco instaurato contro nemici, dissidenti o soltanto critici dell’oppressiva forma di socialismo realizzata.
Non si può negare che l’attività svolta a favore e per conto del servizio segreto sovietico dai famigliari russi di Gramsci e dello stesso Sraffa (finora – a carico di quest’ultimo – il sospetto è privo di prove), sia un particolare citato sempre con molta (e non sempre opportuna) cautela.
Non ci sarà, pertanto, da trarre scandalo e neanche e meravigliarsi se prima o poi venissero fuori dagli archivi sovietici eventuali relazioni di membri della famiglia Schucht (la moglie Giulia e le sorelle Tatiana e Genia) o di compagni di Gramsci, aventi per destinatari gli organi preposti alla sicurezza dell’Urss sulle posizioni politiche, notoriamente non molto ortodosse, del leader sardo.
La mancata consegna di una parte delle lettere ricevute da Gramsci fu di qualche consistenza.
In sintesi, alla fine del 1932 Sraffa aveva trasmesso al Centro estero sia le copie delle lettere di Gramsci che riceveva da Tatiana, sia le lettere che Tatiana scriveva a lui direttamente. Dopo quella data avrebbe trattenuto presso di sé anche un numero significativo di questo secondo stock.
Nei primi mesi del 1933 Sraffa non aveva inoltrato al Centro estero di Parigi le copie delle lettere di Gramsci del 5 dicembre 1932 e del 27 febbraio 1933. Per le stesse ragioni non consegnò neppure le lettere di Tatiana che riprendevano le accuse di Gramsci verso membri del PCd’I.
Consegnò invece altre lettere di Tatiana che con tenevano i riferimenti alla richiesta di Gramsci di sollecitare il governo sovietico perché promuovesse una trattativa con quello italiano. Non lasciò trapelare nulla sul fatto che Gramsci aveva chiesto di tenere all’oscuro di tale trattativa i dirigenti del partito.2
Il resto delle lettere trattenute corrisponderebbe a
“più di tre quarti delle 29 missive di Gramsci a Tatiana Schucht che si può ritenere avesse ricevuto fra la metà di aprile e l’inizio di dicembre del 1933”.
Questo comportamento omissivo di Sraffa fu dettato da due ragioni:
- rispettare le richieste formulate da Gramsci, accolte da Sraffa e Tatiana,
- per il timore che il Centro estero non fosse in grado di trattare con la necessaria cautela le notizie ricevute.
In altre parole, l’intenzione fu di evitare nuovi “disastri” come quelli avvenuti nei tentativi esperiti per la liberazione dal carcere di Gramsci.
Non si può negare, né prescindere da esso, il giudizio severo che si dilatava in un sentimento vivace di inaffidabilità maturato in Sraffa sui comportamenti dei suoi interlocutori presso il Centro estero.
La corrispondenza tra lo studioso (ormai stabilitosi a Cambridge) e Tatiana Schucht confermerebbe come per tutti gli anni Trenta il tenersi a distanza, fino a limitare le comunicazioni, con i compagni del gruppo dirigente comunista italiano a Parigi, non sia stata un evento occasionale né contingente.
Fu, invece, un comportamento frutto di una grave decisione, cioè la rottura politica intervenuta tra Gramsci, la leadership italiana e il Comintern.
Sraffa e Tatiana la percepirono e ne furono messi al corrente da subito. Ma non pare, almeno finora, che entrambi abbiano provveduto, violando un rapporto fiduciario di amicizia, a informarne i rispettivi punti di riferimento, cioè i vertici del PCd’I e il Comintern.
In questo modo nella storiografia ha potuto prevalere l’idea che ci sia stato uno “spirito di scissione” (cioè la fine della militanza) per responsabilità esclusi.
- Si veda la relazione di Elena Dundovich “Nel Grande Terrore. Togliatti dirigente dell’Internazionale comunista tra le due guerre”, in Togliatti nel suo tempo, a cura di Roberto Gualtieri, Carlo Spagnolo, Ermanno Taviani, Roma, Carocci – Annale XV della Fondazione Istituto Gramsci, 2007, 454 p. [pp. 124-157]. Si vedano anche i due volumi: Elena Dundovich, Tra esilio e castigo. Il Komintern, il PCI e la repressione degli antifascisti italiani in Urss, 1936-1938, Roma, Carocci, 1998, 240 p. e Elena Dundovich, Francesca Gori, Italiani nei lager di Stalin, Roma-Bari, Laterza, 2006, 230 p. ↩︎
- Nerio Naldi, “Le lettere di Gramsci che Sraffa non consegnò al Centro estero del Partito comunista”, Critica marxista, XXIX (1) gennaio-febbraio 2019, pp. 45-50. ↩︎
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