CARA AMICA TI SCRIVO… COS’È L’ARTE

Ti scrivo solo per confermati la mia devozione, per la capacità che hai di saper scatenare la mia fantasia intorno a temi di incommensurabile complessità.

Cosa sia arte e cosa non lo sia, prima che diventasse il nostro argomento di conversazione dell’altra sera, me lo aveva chiesto una bambina un paio di anni fa. Nella sua ingenuità non si rendeva conto di entrare all’interno di temi dagli esisti controversi e maggiormente discussi nella storia della filosofia.

Era una giovanissima flautista e definiva il suo flauto “il mio strumento”. Mi face pensare a quando gli utensili divennero strumenti e le inventai una storia tipo questa…..

tutto avvenne in una grotta, ma non sappiamo dove, un uomo stava usando le lame di selce per conciare una pelle per l’inverno liberandola da tutto ciò che poteva essere commestibile. Ebbe una visione interiore, non era mai successo prima. Forse immaginava la caccia che avrebbe fatto il giorno successivo, forse il ricordo di un luogo da fissare in mente, o forse solo il bisogno di un essere invisibile a cui affidare sua la gioia, a cui chiedere protezione.Fatto sta che si alzo, lasciò cadere in terra quello che aveva davanti, fece un passo e si fermò. Lentamente, un altro passo fino alla parete di roccia.
L’aria assorta, aveva gli occhi piccoli come quelli della pantera prima dell’attacco, nessuno aveva mai uno sguardo come quello nel genere homo sapiens, diverso da quello vigile e meticoloso con il quale studiava la preda. Anche questo apparve strano, i suoi occhi erano sempre intorno a lui per difendersi dagli attacchi, questa volta era come stesse nascendo un uomo diverso.
Il fatto è che non stava cacciando, non stava facendo nulla di utile anche se la concentrazione era quella dei momenti che cambiano la storia.

Alzò il braccio, stringeva nella sua mano l’utensile con il quale stava conciando la pelle, la lama che aveva estratto lui stesso dalla scheggia di selce, si avvicino alla parete, arricciò la fronte per concentrare lo sguardo in uno spazio ridotto.
Trattenne il respiro e con un gesto continuo che sembrava venire da un mondo diverso da quello che abitava tracciò la sagoma di una gazzella incidendo la dura pietra.
Cara amica, non sapremo mai se davvero andò così, non sapremo mai se quella gazzella immaginata e rappresentata sulla parete della grotta fosse considerata arte, sappiamo di sicuro che quella selce da utensile di casa divenne strumento della mente umana.
Certo che dalla selce al pianoforte ce ne passa, ma per andare al fondo della cose occorre cercare di trovare un bandolo comune: quell’uomo come Arturo Benedetti Michelangeli aveva di fronte quanto bastasse a rappresentare l’immaginario oltre la realtà. Era la prima volta.

Che bello cercare soluzioni quando, per fortuna, non ci sono, fanno vivere il pensiero come in un campo appena seminato. Uscito da casa tua mi sentivo come una lumaca che lascia la sua bava per rendere soffice il terreno ove cammina salvo poi regalare agli umani un medicamento portentoso. La bava in questo caso è il nostro pensare ed il medicamento solo mio perché mi sono costruito dentro strade nuove da esplorare nelle mie elucubrazioni notturne.

In questa lettera non ho nulla da rimproverarti e questo basta a mettermi un poco a disagio come vedi.

Il tema è complesso per una serie concatenata di ragioni, il significato che si da alla parola “arte” dipende dalla propria sensibilità dai propri interessi dalle proprie convinzioni e si rischia di generare confusione riferendosi a cose diverse che crediamo avere un tetto comune mentre sono a volte incompatibili tra loro per essendo assolutamente legittime.
Sul Dizionario della Treccani esiste un intero capitolo di definizioni che mutano al mutare del pensiero, del contesto storico politico e al mutare di ciò che veniva definito “bello”. Al mutare, anche, della funzione d’uso di un artefatto stesso: utile alla società o semplicemente fine a se stesso?

Proviamo ad immaginarne una definizione compatibile con il significato che comunemente oggi si dà alla parola arte e non troppo lontana dai tuoi studi Kantiani per evitare che i consueti attacchi al mio pensare siano più forti del solito.

Arte come Espressione estetica della interiorità dell’animo

Originariamente la parola ars in latino era la traduzione del termine greco technè che quando si traduce come capacità, perizia, conoscenza delle regole atte a raggiungere uno scopo, non va confusa con la semplice abilità manuale che in greco era empirìa, l’esperienza pratica.
Questa differenza lessicale fotografa due realtà diverse già nel mondo greco l’artista non è un praticone, conosce le regole e le applica per raggiungere il suo scopo. Esisteva in greco una terza espressione: epistème che era la conoscenza teorica, la scienza, la consapevolezza delle cause in grado di giustificare le regole affidate alla technè, quindi all’arte.
Queste tre espressioniste rappresentano tre gradi di coscienza e sono più che mai attuali nella rappresentazione contemporanea.

Immagina una scena come quella che hai visto sul tuo computer ieri, una ricostruzione totalmente immaginaria ispirata dallo sguardo di tua figlia e poi posta in essere sotto forma di canzone, danza, recitazione. Stavo contando il numero di artisti, tecnici e maestranze ( immagina queste parole in greco per favore) messe in campo per realizzarla.
Almeno 40 persone diverse sono state coinvolte oltre ai musicisti, attori, cantanti che hai visto nelle immagini.
In una struttura narrativa come questa, l’autore (anche questa è una parola che andrebbe spiegata) inteso come chi ha proposto l’idea, ha effettivamente nella testa l’immagine finale, l’atmosfera che vorrebbe creare nella scena, quello che vorrebbe trasmettere allo spettatore, il linguaggio da usare: l’epistème, ma non necessariamente è in grado di farlo o di saperlo fare, io, in quel caso, ho avuto bisogni di almeno quattro cinque artisti da far entrare in sintonia e guidare i reparti per costruire “l’espressione dell’interiorità dell’animo” di cui alla definizione che ci siamo dati.

Ma siamo ancora all’inizio, abbiamo definito i ruoli, come possiamo dire che un oggetti sia bello. Diciamo un film essere bello quando ci piace e questo è già una definizione, ma limiterebbe il giudizio a ogni singolo individuo.

Questo non fu un problema per Kant, il gigante.

Il giudizio su ciò che sia da considerare bello è indipendente da qualsiasi pensiero, razionale o intuitivo che sia, e non produce e non deriva da alcuna attività conoscitiva. Puramente soggettivo, rischia di essere considerato legittimamente universale da chiunque lo formuli, ma essendo indipendente dalla conoscenza non creerebbe problemi etici di alcun tipo. Quello che è l’aspetto assolutamente geniale del pensiero di Kant è l’idea che l’intelletto e la ragione, che pure hanno la loro supremazia legittima nel mondo della conoscenza, cessano di averla in quello estetico. Una posizione controcorrente, sai bene che siamo in pieno positivismo, anche se in compagnia di importanti predecessori.

Leggi l’inizio di questo componimento poetico di Michelangelo Buonarroti scritto 200 anni prima della Critica del Giudizio

Non ha l’ottimo artista alcun concetto / ch’un marmo solo in sé non circoscriva / col suo superchio, e solo a quello arriva / la man che ubbidisce allintelletto.

Come vedi l’idea era nell’aria anche se nessuno aveva costruito la struttura che Kant ci ha lasciato scomponendo la fruizione estetica dalla conoscenza. Il tempo passa e non solo per l’idea di arte, le elaborazioni filosofiche in chiave kantiana sono proseguite nel pragmatismo americano in particolare nel pensiero di John Dewey che cambierebbe la definizione precedente in Arte come esperienza e nelle analisi di Umberto Eco per poi necessariamente confrontarsi con le scienze cognitive che negli ultimi quarta anni ci hanno fornito mappe delle attività celebrali che, pur parziali, hanno aperto un fronte determinate per le indagini filosofiche trovando un nesso essenziale tra la speculazione e la dimostrazione scientifica. Ma questa è un’altra storia.

Fino a che si parla solo di “bello” ci si riferisce ad un oggetto che sembra contenere in sé le caratteristiche necessarie a produrre piacere, ma appena nella discussione come quella dell’altra sera si affronta “il genio” o, come abbiamo fatto, “l’immaginazione” ci si riferisce necessariamente ad un soggetto creatore e non ad un oggetto.
Quando poi si accenna al proprio “gusto” o peggio ancora al “gusto del tempo” ci si riferisce al soggetto che fruisce dell’opera e che giudica l’oggetto come bello. Non più una proprietà intrinseca, ma una discriminante soggettiva dei sensi e dei sentimenti di ciascuno che sia partecipe di questo processo nella consapevolezza che ciascun artefatto rispecchia opinioni, pensieri, sentimenti di chi lo crea che prendono la loro vita e la loro esistenza nell’ambiente etico, sociale, metafisico, culturale, morale tipico del periodo storico in cui sono stati creati.

Allora ci si chiede se l’autore ( dal verbo latino augere, aumentare, colui che aumenta il valore o il significato di una cosa) e il fruitore possano provare lo stesso sconvolgimento d’animo, secondo la nostra definizione, la stessa esperienza , come avrebbe detto Dewey e quando questo avvenisse l’artefatto diventerebbe una fonte d’ispirazione oltre che di piacere, ma questo può avvenire quando l’autore e il fruitore condividono lo stesso contesto storico filosofico, la stessa civiltà Cosa avviane di fronte a opere d’arte provenienti dal lontano passato?
Avviene che l’oggetto in questione, il fatto, dovrebbe essere trasformato in un farsi o attraverso la didattica che ciascuno di noi conosce nelle scuole e nelle università o attraverso percorsi di avvicinamento alle opere che portino ciascuno spettatore indietro nel tempo a capire e pensare come potevano pensare i contemporanei di quell’oggetto- messaggio. Solo così si ricostruisce la sintonia, come quella di una vecchia ratio degli anni sessanta con una manopola che gracchiava fino al punto magico in cui i rumori si trasformavano in musica, proprio nella musica che cercavamo per passare la serata in pace.

Vedi cara amica, la vita è tutto un problema di sintonia si tratta di trovare la stazione che trasmette quello che ti interessa, voi giovani siete troppo abituati a trovarla avendola memorizzata da qualche parte, un bottone e via la stazione preferita trasmette, basta toccare sempre nello stesso punto per avere quello che ti aspetti.
Per noi anziani è diverso, entrare in sintonia è questione di mano, dovevamo allenare il polso leggero come a cercare la combinazione di una cassaforte immaginaria e tendere l’orecchio al gracchiare di quello che non interessa fino al punto giusto, era li che si annidava il piacere, era come aprire uno scrigno ogni folta diverso.

Kant ha sintonizzato ragione ed emotività dando verso il punto di moltissime teorie che a partire da Kant hanno rielaborato l’estetica verso nuovi approdi fino all’idea che l’arte sia un linguaggio fatto di pieni e di vuoti, come insegnato da Omero, dove i vuoti, sapientemente costruiti intorno al mistero, siano colmati dalla attività intellettuale dello spettatore per produrre conoscenza e indurre grandi passioni fino ad uno stato di estasi (ex stasis)

Un linguaggio che non più esclusivamente patrimonio della parola diventi ineffabile, e che in conflitto con la razionalità possa esprimersi al di sotto della soglia più alta del sublime (sub- limen).

Il tempo, in questo caso, è giudice inflessibile. Esistono artefatti che restano emozionanti e capaci di rappresentare il proprio tempo anche al di fuori del tempo diventando archetipi di un mito e esistono artefatti che non superano il piacere di essere visti o ascoltati per un po’. Questa è la vita, scorre e si tratta di scegliere se lasciarsi trasportare dalla corrente per vivere a cavallo di quell’onda o fermarsi sulla riva e contemplare e studiare l’acqua che passa sempre diversa a se stessa. Io amo questa seconda ipotesi che potrebbe significare la speranza di essere di nuovo invitato a cena e veder passare manicaretti sempre diversi. Verrei volentieri la prossima settimana, mi fai supplì ?

Ti saluto con rinnovato affetto, tuo

Aldo

PS: Vorrei lasciare anche una definizione per i tuoi supplì: artefatto contemporaneo in grado di produrre piacere sensoriale e stimolazione intellettuale, quindi: unione di bellezza e riflessione secondo Kant, esperienza estetica secondo John Dewey, elemento semioforo secondo Umberto Eco.


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